mercoledì 29 settembre 2021

Le Rane di Aristofane. XXXII parte. La pesatura dei versi. Eschilo è in vantaggio

 

Maria Callas nella Medea di Pasolini
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Dioniso fa una battuta: anche questo mi tocca, dei kai; tou`tov' me, ajndrw'n poihtw'n turopwlh'sai tevcnhn (1369) vendere come il formaggio l’arte dei poeti.

 

Pensate ai libri mostrati dai conduttori televisivi come prodotti commerciali messi sui banchi del supermercato.

 

Al coro la trovata di pesare i versi pare un prodigio nuovo (tevraς - neocmovn 1371-1372) cui non avrebbe mai pensato.

I due rivali si avvicinano ai piatti della bilancia e ognuno recita un verso.

Euripide il primo della sua Medea “ei[q j w[fel j jArgou`" mh; diaptavsqai skavfo"” Medea 1, Rane 1383).

 

Riporto la mia traduzione dei primi 15 versi della tragedia di Euripide

“Oh se lo scafo di Argo non fosse passato a volo attraverso

le cupe Simplegadi fino alla terra dei Colchi,

e nelle valli boscose del Pelio non fosse caduto mai

il pino reciso, e non avesse attrezzato di remi le mani

degli eroi eccellenti che andarono a cercare il vello

tutto d'oro per Pelia. Infatti la signora mia,

Medea, non avrebbe navigato verso le torri della terra di Iolco

sconvolta nel cuore dal desiderio di Giasone;

né, dopo avere convinto le figlie di Pelia ad ammazzare

il padre, sarebbe venuta ad abitare questa terra corinzia

con il marito e i figli, cercando di riuscire gradita

ai cittadini dei quali giunse alla terra in esilio

e, pur rimanendo se stessa, di convenire in tutto a Giasone;

e questa appunto è la più grande salvezza:

quando la donna non sia in disaccordo con l'uomo”.

 

Segue un ponderoso verso dal Filottete di Eschilo “Fiume Spercheo e dimore di pascoli di buoi”, v. 1383) e il piatto della bilancia scende di più poiché, spiega Dioniso a Euripide: “su; d j eijsevqhka" tou[po" ejpterwmevnon” (Rane, 1388), tu ci hai messo un verso con le ali (cfr Medea, v. 1 diaptavsqai è infinito aoristo III da diapevtomai passo volando ), mentre Eschilo ci ha posato un fiume e ha inzuppato d’acqua il suo verso, come fanno i mercanti di lana (ejriopwlikw'~, 1386).

Il pubblico delle Rane poteva ricordare il primo verso della Medea poiché l’attenzione è più vigile nelle parti incipitarie delle rappresentazioni e la memoria relativa alle prime battute è più tenace .

 

Euripide quindi recita un altro dalla sua Antigone : “oujk e[sti Peiqou'ς iJero;n a[llo plh;n lovgoς” (1391), non c’è altro tempio della Persuasione che la Parola.

"La nostra civiltà si è decisamente allontanata dal posto che la persuasione occupava nella latinità. Suada infatti - come del resto Peitho ("persuasione" in greco ) - era una Dea, e suadeo, con la sua radice di suavis , ha a che fare con "il rendere dolce, piacevole", come un tenero amante che conosce l'arte delle dolci parole e sa come dare piacere per rendere la vita amabile, gradevole. Nel mondo greco, Peitho compariva per lo più come una figura a sé stante o come un attributo associato ad Atena e Afrodite. La persuasione è essenzialmente un potere di seduzione, attraverso la parola intelligente e convincente (Atena) oppure attraverso il fascino dei modi e la bellezza della figura (Afrodite). Il dono maggiore di Peitho è la retorica, il dono dell'eloquenza convincente" .

La forza della persuasione continua comunque a essere uno strumento decisivo per il successo. Sopra tutti quello politico, quello lavorativo e quello erotico.

"Non formosus erat, sed erat facundus Ulixes/et tamen aequoreas torsit amore deas ", bello non era, ma era bravo a parlare Ulisse, e pure fece struggere d'amore le dee del mare, scrive Ovidio nell'Ars amatoria (II, 123-124) Sono versi non per caso citati da Kierkegaard nel Diario del seduttore.

Non si può persuadere senza piacere: persuadeo latino è etimologicamente imparentato con aJndavnw, "piaccio". Per piacere bisogna essere belli assai, oppure si deve essere bravi, emozionanti nel parlare.

Cicerone fa notare l'equivalenza tra la Peiqwv dei Greci e la Suada dei latini : “Peiqwv quam vocant Graeci, cuius effector est orator, hanc Suadam appellavit Ennius” , quella che i Greci chiamano Peiqwv, Ennio chiama Suada, e chi la produce è l’oratore.

 

Qundi sta ad Eschilo: “Solo Morte tra gli dèi non ama i doni”

Dioniso nota che il piatto di Eschilo scende: “qavnaton ga;r eijsevqghke, baruvtaton kakw'n (1394) poiché ci ha messo la morte, il male più grave di tutti.

Euripide protesta contro l’arbitro rivendicando l’eccellenza del proprio verso

Ma Dioniso replica che Peiqwv invece è cosa leggera (kou'fon) e non ha pensiero 1396.

 

Pesaro 29 settembre 2021 ore 21, 52

giovanni ghiselli

 

p. s.

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