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Euripide critica Eschilo: lo chiama ajlazwvn 909) fanfarone, e fevnax , ciarlatano esibizionista (faivnw) impostore che ingannava spettatori ingenui allevati da Frinico- ejxhpavta mwvrou" labw;n para; Frunicw/ trafevnta" (910) .
Erodoto racconta che gli Ateniesi colpirono Frinico, il drammaturgo tragico, con una multa di 1000 dracme poiché la Presa di Mileto (Milhvtou a{lwsiς 492 due anni dopo l’evento) li aveva fatti piangere. Da non confonderlo con il Frinico comico (le Muse alle Lenee del 405) e il Frinico politico appartenente al gruppo dei Quattrocento.
Eschilo dunque, secondo Euripide, metteva prima in scena personaggi muti (kwfa; provswpa), per creare suspense e perché non aveva nulla da dire.
Nemmeno si distinguevano tali comparse: uno poteva essere Achille o Niobe siccome era tutto coperto, neanche la faccia si vedeva e tanto meno parlavano, anzi nemmeno borbottavano gruvzonta" oijdev 913. Erano apparenze esteriori, come un sipario non alzato sulla tragedia.
Il Coro inseriva quattro file di canti di seguito senza interrompersi e quelli tacevano oiJ d j ejsivgwn 915.
Come tante comparse di che vengono invitati alle trasmissioni quali scrittori: ci vanno perché il conduttore mostra il loro libro e fa sperare che se ne venda qualche copia. Costoro devono ingrossare il corteo degli ospiti utili. Non credo che li leggano in molti. Euripide seguita dicendo che quel silenzio dei personaggi tragici, come Niobe, creava attesa negli spettatori mentre il dramma procedeva a forza di canti corali.
In effetti nei drammi di Eschilo il coro ha maggiore spazio e significato che nelle tragedie di Euripide.
Arrivato a metà, Eschilo faceva dire dodici parole grosse come buoi (rJhvmat j boveia dwvdeka 924) con tanto di sopracciglio e cimiero, spauracchi incomprensibili agli spettatori mormorwpa; a[gnwta toi'ς qewmevnoiς. Mai niente di chiaro
Eschilo mormora oi[moi tavlaς (926) poi arrota i denti.
Euripide prosegue: Eschilo scriveva di bronzei aquilogrifoni rampanti sugli scudi e paroloni scosciacavalli rJhvmaq j iJppokrhvmna (929), quasi incomprensibili.
Gli scudi con tanto di immagini sono quelli dei Sette contro Tebe.
Faccio qualche esempio di come Eschilo descrive le figure in vista sugli scudi
Per esempio Partenopeo, nato da montanina madre (Atalanta), si presenta con animo crudo e occhio truce non congruente con il nome verginale. Sul bronzeo scudo ha l’onta della città povlewς o[neidoς la crudivora Sfinge (Sfivgg j wjmovsiton, Sette a Tebe, 541) inchiodata con arte. Un mostro che ha tra gli artigli uno dei Cadmei.
Il sesto è Anfiarao che è pronto a combattere e a morire ma detesta la guerra e biasima Tideo chiamandolo assassino, maestro di sciagure ad Argo dove si era rifugiato in seguito a un delitto compiuto in Etolia. Ad Argo sposò Deipile figlia di Adrasto, mentre Polinice sposò Argia. Chiamando Polinice ne etimologizza il nome dividendolo (poluv nei'koς) e calcandone le sillabe.
Anfiarao esecra la guerra fratricida e come indovino sa che morirà. Il suo scudo dunque è privo di insegne sh'ma d’ oujk ejph'n kuvklw/ (591). Infatti non vuole apparire ottimo ma esserlo ( ouj ga;r dokei'n a[ristoς ajll j ei\nai qevlei, 592) Raccoglie frutti dal solco profondo della mente da dove germogliano saggi consigli.
Alla settima porta c’è Polinice nel suo scudo c’è una donna: Divkh che guida un uomo armato cesellato in oro, e il fumetto dposto in bocca a Dike dice “ricondurrò quest’uomo che riavrà la città e le case paterne” (648).
Dioniso cita parole di un verso dell’Ippolito di Euripide dicendo già altre volte di notte molto tempo vegliai-h[dh pot ejn makrw'/j crovnw/ dihgruvpnhsa - diav, ajgrupnevw sono insonne a[grupno", (931) pensando che razza di animale sia l’ippogallo dorato ( to;n xouqo;n iJppalektruovna 932)
Nell’Ippolito, Fedra dice alle donne di Trezene: h[dh pot’ ja[llwς nukto;ς ejn makrw'/ crovnw già altre volte di notte per molto tempo - pensai come si corrompa la vita dei mortali (375-376).
Eschilo interviene dicendo che quell’ippogallo era shmei'on ejn tai'ς nausivn (933), uno stemma dipinto sulle navi.
Dioniso invece credeva fosse Erissi, un ateniese brutto con una zazzera bionda.
Euripide domanda che bisogno c’era di mettere un gallo in una tragedia.
Eschilo replica chiedendo a Euripide che cosa abbia scritto lui di buono
“Non ippogalli né caprocervi (iJppalektruovnaς, tragelavfouς), come te, quelli ricamati nei tappeti persiani, ma come ricevetti la tua tevcnhn oijdou'san, arte gonfia, di smargiasserie e parole pesanti, i[scnana me;n prwvtiston aujthvn, l’ho snellita e le ho tolto pesantezza (kai; to; bavroς ajfei'lon) con parolette e discussioni (ejpullivoiς kai; peripavtoiς (Rane, 939-942)
Eschilo aggiunge: “e con bietoline bianche (dall’effetto lassativo) e un decotto filtrato dai libri , poi con una cura ricostituente di monodie, e un pizzico di Cefisofonte” (941-942), che sarebbe stato suo collaboratore e amante della moglie.
Queste ultime parole sono state attribuite a Eschilo da Marzullo.
Quindi Euripide riprende: non facevo chiacchiere a caso e non mi gettavo a confondere - oujd j ejmpesw;n e[furon - 945.
In effetti all’inizio dei suoi drammi c’è un prologo espositivo che spiega agli spettatori quanto potrebbero non sapere, tanto più che Euripide apportava spesso delle variazioni al mito tradizionale.
Pregevole è secondo me questa volontà di chiarire tutto. Essa risale a Omero. Pensate alla cicatrice di Odisseo: nel XIX canto ne è spiegata e chiarita la genesi con una digressione di molti versi. Non ricordo di preciso quanti e qui a Pesaro non ho l’Odissea ma sono parecchie decine, più di cento credo.
Omero mette tutto in primo piano e in piena luce come fa notare Auerbach
“I poemi omerici non tengono nulla celato", siccome "in essi non esiste nessuna dottrina né un secondo senso segreto" .
Tradurre ogni parola di Omero potrebbe dare luogo a una ridondanza di indicazioni. Secondo l’autore di Mimesis invece esse sono tutte funzionali alla chiarezza e all'evidenza della sua poesia: "I singoli elementi della rappresentazione vengono ovunque messi in chiarissima relazione reciproca, e un gran numero di congiunzioni, d'avverbi, di particelle e d'altri strumenti sintattici, tutti ben definiti nella loro importanza e finemente graduati, delimitano fra loro le persone, le cose e gli avvenimenti, creando nello stesso tempo un collegamento fluido e continuo. Come le cose singole, così assumono evidenza in una forma perfetta anche le loro relazioni di tempo, di luogo, causali, finali, consecutive, comparative, concessive, antitetiche e limitative, sicché si ha un trascorrere incessante, ritmico e vivace dei fenomeni e non si scorge mai una forma rimasta allo stato di frammento o illuminata a metà, mai una lacuna, una frattura, una profondità inesplorata. E questo trascorrere delle cose avviene in primo piano, vale a dire sempre in assoluta presenza locale e temporale".
Facevo parlare tutti, continua Euripide: e[legen hJ gunhv, cwj dou'loς oujde;n h|tton, - cwj despovthς chj parqevnoς chj grau'ς, la donna e il servo non di meno, e il padrone, la ragazza la vecchia (948-949)
Eschilo non condivide questo dare la parola a persone di ogni genere, età, classe sociale.
Gli sembra un’audacia meritevole di pena capitale (950).
Facevo questo da democratico per Apollo ribatte Euripide ma; to;n j Apovllw: dhmokratiko;n ga;r au[t j e[drwn - 951
Sono parole sante: dove c’è democrazia c’è parresia e gli artisti si rivolgono al popolo con parole chiare. Ora chi cerca di criticare i luoghi comuni viene zittito e minacciato.
Pesaro 21 settembre 2021 ore 17, 58
giovanni ghiselli
p. s
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