Io e Päivi li guardavamo con meraviglia cupa.
“Neanche avessero davanti agli occhi la mantiglia rosa della toreadora di Manet”, bisbigliai con sarcasmo pretenzioso ricordando Nabokov.
Bruno si accorse di essere osservato con supponenza maligna, e disse con un forte accento romanesco: “A Gia’, non fare tanti discorsi seri con quella finnica, ché non ne vale la pena. Le donne vogliono stare allegre e afferrare il concreto, il solido priapesco [1] “l’omo ha da esse omo, lo sai bene anche tu: non siamo pupi nato l’altro ieri”.
“Può essere, Bruno. Priapo lo venero anche io: tutte le mattine quando mi sveglio, e tutte le sere prima di andare a dormire, gli rivolgo ringraziamenti per i suoi lauti favori, ma questa ragazza non sa e non vuole comunicare a muggiti”.
Confesso che usai un tono acido, da professorino pedante, mentre nel richiamo del povero Bruno non c’era alcuna avversione per me, anzi, voleva comunicare, scuotermi dal mio presuntuoso narcisismo, invitarmi a giocare con loro.
La mors immatura di quel ragazzo con cui ebbi qualche attrito, pur piccolo, mi dà ancora un vago senso di colpa.
Devo confessare che quando mi trovavo da solo con loro, con i maschi italiani, mi lasciavo andare io pure ad atti goliardici, a giochi insensati, infantilmente, e lo faccio ancora nonostante l’età.
Ma quando c’erano donne come Helena, o Kaisa di cui ho già raccontatato o come Päivi di cui ti sto raccontando, lettore, allora facevo come un onesto uccello in amore: riassettavo tutte le mie piume e mettevo in mostra gli atti, i versi e le parole migliori tra quelle che avevo a disposizione.
Insomma con le donne che mi piacevano assai e mi intimidivano, mettevo la maschera cui volevo uniformare il mio volto: quella del giovanotto riflessivo, riservato, buono, studioso, sportivo e pure, o se preferisci eppure, geniale. Mi pregiavo anche di essere un comunista colto, aristocratico: lo consideravo elegante oltre che morale. Volevo apparire, per poi diventarlo, uno studioso, un atleta e un artista.
Prima di identificarmi del tutto in quel ruolo e di recitarlo bene, potevo assumerne altri. All’epoca ero abbastanza camaleontico e in questo il mio modello poteva essere Alcibiade [2], o Andrea Sperelli [3] di D’Annunzio. Non voglio dire che mi prendevo gioco delle mie donne migliori: ero davvero innamorato di loro, o piuttosto lo ero del progresso e del raffinamento identitario che ricavavo dalle pose assunte, dal ruolo che dovevo recitare molto bene, se volevo piacere a queste Beatrici che mi rendevano felice siccome attraenti molto, intelligenti assai e poco caste per fortuna mia e loro.
Ma per ora basta di questo.
Dopo la mia risposta per niente amichevole, si ruppero i contatti verbali tra noi due e gli altri quattro.
Non ne fui contento, poiché quando esco in compagnia mi piace scambiare impressioni, idee, sguardi di intesa e gesti cordiali con tutti i compagni.
Tra me e Päivi del resto niente mancava. Mi domandò chi fosse Priapo.
“E’ uno dei miei protettori, il dio dell’erezione. Un altro è Giovanni Battista, il santo delinquente [4] politico, il provdromo", precursore del Nazareno crocifisso, il decollato che “per salti fu tratto al martiro” [5] come ricorda Dante, il grande profeta di cui Gesù disse: “Non surrexit inter natos mulierum maior Ioanne Baptista” [6].
Päivi mi fece una carezza sul volto e disse: “Hai un bel naso romano”. “Magari anche da ebreo”, risposi. “Può essere” fece lei.
Mi venne in mente un complimento analogo che mi aveva già fatto Helena nel 1971. Da allora il mio naso, sebbene piuttosto pronunciato e un poco ricurvo, da uccello rapace, piace molto anche a me.
Una donna ci dà la vita, diverse donne ce la fanno amare, qualche donna pulirà il nostro corpo e piangerà nell’ora estrema. Dopo però le ritroverò tutte, ridenti.
Il più tardi possibile, per carità.
Pesaro
2 settembre 2021 ore 19, 39.
E’ tempo di andare a fare la spesa
giovanni ghiselli
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1 Priapo è il dio dell’erezione.
2 Plutarco aveva scritto di Alcibiade che era capace di imporsi trasformazioni più rapide e radicali del camaleonte ("ojxutevra" (...) tropa;" tou' camailevonto""), il quale infatti non è creatura altrettanto versatile in quanto non in grado di assumere il colore bianco, mentre per quest'uomo, che passava con uguale disinvoltura attraverso il bene e il male, non c'era niente di inimitabile né di non provato: " jAlkibiavdh/ de; dia; crhstw'n ijovnti kai; ponhrw'n
oJmoivw" oujde;n h'jn ajmivmhton oujd j ajnepithvdeuton": a Sparta faceva sport (gumnastikov"), viveva sobriamente (eujtelhv"), teneva un' espressione austera (skuqrwpov"); in Ionia faceva il raffinato (clidanov"), il gaudente (ejpiterphv"), l'indolente (rJav/qumo"); in Tracia si ubriacava (mequstikov") e andava a cavallo ( iJppastikov"); e quando frequentava il satrapo Tissaferne superava nel fasto e nel lusso la magnificenza persiana("uJperevballen o[gkw/ kai; poluteleiva/ th;n Persikh;n
megaloprevpeian" Plutarco, Vita di Alcibiade., 23, 5.). Insomma assumeva di volta in volta le forme e gli atteggiamenti più consoni a quelli cui voleva piacere, o per dirla con Cornelio Nepote era "temporibus callidissime serviens " Cornelio Nepote, Vite, 7, 4.abilissimo nell'adattarsi alle circostanze.
3 Quanto al personaggio di D’Annunzio, Sperelli stesso pensa di sè:"Io sono camaleontico , chimerico, incoerente, inconsistente. Qualunque mio sforzo verso l'unità riuscirà sempre vano. Bisogna omai ch'io mi rassegni. La mia legge è in una parola: NUNC . Sia fatta la volontà della legge" - D'Annunzio, Il Piacere , p. 278.
4 Ossimoro simile si trova nell’Antigone dove l’eroina di Sofocle dice alla sorella Ismene a proposito della sepoltura del loro fratello Polinice: “io amata, giacerò con lui, con l'amato,/dopo avere compiuto un'illegalità santa (o{sia panourghvsa" ) poiché è più lungo il tempo/nel quale bisogna che piaccia a quelli di sotto che a questi qua sopra" vv.73 - 75
5 Dante, Paradiso, XVIII, 135
6 NT, Matteo, 11, 11
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