Feci un segno di approvazione entusiastica, con gli occhi.
Päivi continuò: “Sempre che non arrivi qualche segno contrario, un uccellaccio di malaugurio, malamente ominoso diresti tu, oppure, che so io, addirittura una cornacchia decrepita, guercia, grassa, zoppa e ributtante”.
“Non ci saranno cornacchie, ma passeri agili e bene auguranti con il frullare veloce delle loro ali. Ci saranno anche Venere, Cupido e Priapo. Venerem iungemus per mille figuras[1] e la più ovvia di queste renderemo bella come un’opera d’arte, come sei tu, al punto che i sacerdoti santi benediranno la nostra lussuria”
“Vedo che ti piace molto usare il latino oltre il greco. Ogni tanto utilizzi anche Shakespeare.”
“Sì quel bardo geniale è uno dei miei autori - accrescitori. Il latino lo uso non solo per piacere ma anche per evitare le parolacce: infatti questa madre della mia lingua madre, la mia lingua nonna potrei dire assai banalmente, mi aiuta a rispettare il pudore: non potrei mai parlati di fellare in inglese o in italiano. Tanto meno proportelo. Mi vergognerei come un ladro”.
“Non c’è bisogno che tu lo traduca. Fellatio è un termine invalso in psicologia”.
“Anche io credo che faremo l’amore oggi, Päivi mia. Lo stiamo già facendo con le parole e con gli occhi. Mi sembra che ci specchiamo l’uno nell’altro. Noi siamo uno l’ego dell’alter o l’alter dell’ego, come preferisci.
“Scegli tu”
“E’ lo stesso: nam et tu es Ioannes , et ego Päivi sum [2].
In noi due che ci amiamo, anzi, c’è del narcisismo. Non seì narcisista tu sola”.
“Lo vedo”.
“Nel nostro caso comunque, essere narcisisti non è male. Abbiamo motivi seri per piacerci. Ci scambieremo gioia, conoscenza preziosa, e virtù.”
“Che cosa è la virtù, secondo te?”
“E’ una delle cose diritte: et haec recta est, flexuram non recipit” secondo Seneca[3]. E’ una capacità ascetica. Non intendo l’ascesi della rinuncia ma quella del rafforzamento della propria persona.
Diventare se stessi, realizzarsi completamente e aiutare gli altri, questa è virtù. Virtù non senza morale. Noi due ci aiutiamo a vicenda, e questo non è un sofisma. La felicità che provo nel comunicare con te tutto il bene che sento solo a guardarti, è un aiuto grande per me, per la mia crescita, e per la tua. Tu sei mia accrescitrice quanto e più degli auctores. Ne ho la certezza già ora. Fra quarant’anni magari ne riparleremo”.
“Ci tieni a vivere tanto a lungo?”
“Io sì, anche più a lungo, finché posso imparare”.
“Come Solone[4], vero? Ti capisco: anche per me imparare è lo scopo più grande della vita”.
“Il mio è fare l’amore con te”.
“Sei carino, davvero. Io però non ho da raccontarti storie interessanti come quella dei fichi malintesi da Crasso.”
“ Tu hai di meglio. Tu hai molto di più di quei fichi incompresi. Tu incarni uno stile esemplare per me. Con te posso essere me stesso al livello più alto, poiché ti piace ciò che è bello e fine, come sei tu”.
Pesaro
2 settembre 2021 ore 11, 56
giovanni ghiselli
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[1] Ovidio, Ars amatoria II, 679
[2] Cfr. “non errasti - inquit - mater nam et hic Alexander est” in Curzio Rufo, Historiae Alexandri Magni 3 12, 17 - Non hai sbagliato, madre, disse, infatti anche questo è Alessandro. Lo disse Alessandro Magno di Efestione quando, dopo la battaglia di Isso, la madre di Dario, fatta prigioniera, aveva creduto che Efestione, più prestante, fosse il re vincitore, ossia Alessandro.
[3] Ep. 71, 20. Questo è per te, lettore
[4] Päivi qui allude a ghravskw d’ aijei; polla; didaskovmeno~, invecchio imparando sempre molte cose
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