. Tucidide antepone la modernista. Tito Livio e Tacito quella antichista.
Tucidide sostiene che lo storiografo serio deve raccontare imprese grandi e recenti
Tacito invece antepone la storia e la storiografia antica, quella della repubblica, ricca di grandi personaggi e grandi avvenimenti, alla recente, di minor levatura:" Pleraque eorum quae rettuli quaeque referam parva forsitan et levia memoratu videri non nescius sum " Annales ( IV, 32), mi rendo conto che gran parte degli avvenimenti che ho riferito e riferirò appaiono forse piccoli e indegni di ricordo; mentre chi espose il passato raccontava "ingentia bella...expugnationes urbium, fusos captosque reges ", grandi guerre, città espugnate, re sbaragliati e fatti prigionieri, per quanto riguarda la politica estera; e per quanto concerne quella interna"discordias consulum adversum tribunos, agrarias frumentariasque leges, plebis et optimatium certamina libero egressu memorabant ", raccontavano conflitti tra consoli e tribuni, leggi agrarie e frumentarie, lotte tra plebei e patrizi, spaziando liberamente. Perciò la fatica dei contemporanei si occupa di un campo ristretto, ed è senza gloria:" nobis in arto et inglorius labor" . Lo stesso contenuto del racconto storico si restringe nel passaggio dalla repubblica all'impero.
Pure Tacito, si diceva, è uno degli elogiatori del costume antico. Ebbene, di quell'antiquus mos e dell' antica virtù fanno parte sia l'amore e la presenza della libertas, sia l'assenza del pudendus luxus , il lusso sfacciato, sia la coltivazione della terra senza la quale "Italia externae opis indiget "[1], l'Italia ha bisogno di prodotti importati dall'estero[2]. In Italia infatti non ci sono campi coltivati ma boschi e ville:"Ac nisi provinciarum copiae et dominis et servitiis et agris subvenerint, nostra nos scilicet nemora nostraeque villae tuebuntur " (Annales, III, 54), e se le risorse delle province non basteranno più ai padroni, agli schiavi e alle terre, evidentemente ci salveranno i boschi e le nostre ville, afferma ironicamente Tiberio parlando in senato.
Ma quel buon costume antico era fatto anche, forse soprattutto, dalla pudicitia, maschile e femminile, e, più in generale dalla virtù dei maschi e delle femmine umane. Per quanto sono caste le abitudini delle donne germaniche, tanto sono guaste quelle delle matrone romane.
Per illustrare il cambiamento, e, secondo i tradizionalisti, la decadenza del costume femminile, si può pensare alla già ricordata Lucrezia di Tito Livio (I, 57, 9) che a notte inoltrata era intenta alla lana, tra le ancelle, e che si uccise per non sopravvivere al disonore della pudicizia violata. Valerio Massimo nella sua preghiera alla dea Pudicitia la ricorda come "dux romanae pudicitiae"[3], guida della pudicizia romana. Questo filum di tradizionalismo infatti passa pure per Livio, e lo avviluppa forse anche più di quanto non faccia con Sallustio e Tacito, poiché il Patavino nell'antichità degno di ricordo e rimpianto comprende pure la pietas religiosa .
Il passato remoto viene celebrato nella Praefatio come il tempo della virtù:"nulla umquam res publica nec maior nec sanctior nec bonis exemplis ditior fuit " (11), mai nessuno stato fu più grande né più virtuoso né più ricco di buoni esempi. L'autore è affascinato da questo tempo grande e morale al punto che, nel raccontarlo, il suo animo diviene, misteriosamente, antico:"Ceterum et mihi vetustas res scribenti nescio quo pacto anticus fit animus "(43, 13, 2). Del resto quel passato esemplare è irrimediabilmente perduto: i mores si sono un po’ alla volta rilassati con la disciplina "donec ad haec tempora, quibus nec vitia nostra nec remedia pati possumus perventum est " (Praefatio, 9), finché si è giunti a questi tempi nei quali non siamo più capaci di sopportare né i nostri vizi né i rimedi. Probabilmente i remedia mal sopportati alludono alle leggi moralistico-matrimoniali di Augusto che abbiamo ricordato molto sopra.
E' da notare che Livio, come fa Virgilio, insieme con la castità delle donne celebra la pietas dei comandanti: Furio Camillo, che nel 390 a. C. cacciò i Galli da Roma e fu chiamato "Romulus ac parens patriae conditorque alter urbis haud vanis laudibus"[4], Romolo e padre della patria e secondo fondatore di Roma con lodi non immeritate, era "diligentissimus religionum cultor " (5, 50, 1), scrupolosissimo nell'osservanza dei riti e, parlando all'assemblea dei cittadini che, aizzati dai tribuni della plebe, intendevano emigrare a Veio, disse:"invenietis omnia prospera evenisse sequentibus deos, adversa spernentibus" (5, 51, 5), troverete che tutto è andato bene a quelli che hanno seguito gli dèi, tutto storto a quelli che li hanno disdegnati. E poco più avanti:"Urbem auspicato inauguratoque conditam habemus; nullus locus in ea non religionum deorumque est plenus; sacrificiis sollemnibus non dies magis stati quam loca sunt in quibus fiant. Hos omnes deos publicos privatosque, Quirites, deserturi estis?" (5, 52, 2), abbiamo una città fondata dopo che erano stati presi gli auspici e gli augurii; in essa non vi è luogo che non sia pieno di culti e di dèi; per i sacrifici solenni non sono fissati i giorni più dei luoghi nei quali devono essere fatti. E voi Quiriti intendete abbandonare tutti questi dèi pubblici e privati?
p. s. Lettere antiche o moderne? Quando mi iscrissi all’Università non ebbi dubbi e anche oggi sceglierei di fare l’antichista. Certo non senza confronti con il moderno.
Allora passai per antiquato. Ma alcuni tra quelli che mi criticarono quasi ideologicamente allora, oggi riconoscono di avere sbagliato loro a escludere il greco perché la cultura ellenica è la base senza la quale le altre europèe non stanno in piedi e spesso si riducono spesso a chiacchiere.
Non ho ancora rinunciato del tutto a tenere questo corso in ottobre. Vedremo: il futuro verrà: to; mevllon h{xei come si legge nell’Agamennone di Eschilo (v. 1240) e saprò comunque valorizzare questo mio lavoro ottimo e grande.
Pesaro 19 ottobre 2023 ore 19, 53 giovanni ghiselli
p. s
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