sabato 23 settembre 2023

Ifigenia II e III. Autunno 1978

A. Feuerbach, Iphigenie (1862)
L’invito a uscire dalla scuola durante l’intervallo 
  
In quella giovane bruna, vivace, bramosa di afferrare la sua porzione di bene e pure desiderosa di donarmi qualche cosa di sé, mi sembrò che rivivesse tutta la bellezza luminosa dell’arte e della terra greca che l’empia teocrazia del lucro non è riuscita a nullificare; osservando con attenzione l’aspetto incensurabile delle sue forme, sentendo l’odore della sua pelle vicina, ammirando il colore dei suoi capelli e quello dell’incarnato reso bronzino dal sole, a un tratto in quel mio trentaquattresimo autunno già cupo di ombre sentìi rifiorire i maggi odorosi della prima adolescenza quando alle sette di sere ancora illuminate dal sole andavo nella chiesa vicina di Cristo re a seguire le funzioni dedicate alla Madonna, e cercavo di imparare un po’ di latino non senza osservare con ammirazione i capelli, le caviglie sottili e i polpacci sodi delle ragazze più carine che potevano dare un significato alla mia vita di solitario studioso, sportivo e carente di affetti.
Quella mattina il tempo si rinnovava grazie al giovane angelo che veniva a confermare la mia speranza di sempre: stava per annunciarmi il diritto alla felicità meritata grazie a tante fatiche impiegate con volontà e intelligenza. Immaginavo che presto Ifigenia mi avrebbe offerto il suo amore e provavo la sensazione che il mio triennio di studio continuo, intenso e speranzosissimo, stava per diventare un’esperienza reale e completa: mentale e carnale. Con il mio incessante lavoro, un’ascesi spirituale e corporea quasi fanatica, avevo attirato una creatura ambita da chissà quanti uomini di tutte le età, senza essere ricco, senza essere ben vestito né particolarmente giovane e bello, senza avere alcun potere, anzi, andato in pensione il galantuomo Piero Cazzani, era subentrato un  preside nuovo, un butto tipo che mi era ostile e mi ostacolava siccome ero diverso da lui.
 Intanto il corridoio del liceo si stava affollando e mi sembrò troppo gremito perché potessi parlare  a mio agio con quella fanciulla che stava aspettando di sentirsi dire qualcosa di significativo e piacevole da come simpaticamente mi guardava. Sicché le dissi: “andiamo fuori a bere un caffè. Nell’intervallo ne ho proprio bisogno. Vorrei di parlare con te e sentirti parlare, Ifigenia”.
“Sì gianni, volentieri. Usciamo di qui”
Et coepit me praecedere. Pensai che quella ragazza significasse il destino.
In effetti si stava aprendo un altro capitolo di questa mia vita mortale.
 

Il dialogo nel bar. L’inconcludente, pauroso gesuita

Uscimmo e ci avviamo verso un bar dove probabilmente non avremmo incontrato i colleghi: non il caffè più vicino. Volevo camminare trionfalmente nella luce del sole per osservare la ragazza illuminata dai suoi raggi e pure per compiacermi dell’ombra delle mie membra che dopo l’estate si trovano sempre nella loro forma migliore.
 
Entrai subito in medias res in modo diretto dicendo: “ allora, ragazza, quale donna e collega vuoi che faccia di te?”.
“Non so da dove cominciare” fece lei sentendosi forse aggredita.
“Inizia dal nocciolo della questione. Vai subito al centro siccome ci restano solo otto minuti” le dissi con un sorriso serio, incoraggiante.
“Va bene. Io mi sento molto attirata da te. Credo che tu possa aiutarmi e spero di contraccambiarti con il poco che ho”. Calcava la voce sulle parole per significarmi che le diceva sul serio.
“Tu non hai poco da dare a chi ti va - la incoraggiai - sei giovane, bella e fine: hai stile”.
 
Mi lanciò un’occhiata piena di gratitudine e di luce. Poi disse: “Tu comunque mi vai!”
Aspettavamo i caffè e ci chiedevamo come procedere.
Ero tentato di accarezzarla, per lo meno, ma non feci nemmeno questo gesto preliminare, mi sembrò prematuro: la ragazza era lei e doveva darmene il permesso. Mentre aspettavo una sua mossa, pensavo che se avessi fatto l’amore con Ifigenia, richiesto da lei, non ci sarebbe stato inganno poiché le sue membra mi piacevano assai, il suo animo non doveva essere volgare dato che voleva imparare, imparare proprio da me per giunta, e a me piaceva insegnare. Era la prima volta che tale richiesta mi arrivava da una collega giovane e bella molto. I conti tornavano, tutti i conti.
Pensavo questo mentre si beveva il caffè e non si parlava.
 
A un tratto lei fece: “Tu che cosa vuoi fare con me?”
Nell’anima mia si aprì una finestra che fece entrare tutta la luce del cielo
“Quello che vuoi tu, quello che mi chiederai”.
Ebbi paura però di essermi lasciato andare troppo alla felicità che un’educazione pretesca mi aveva sempre indicato come colpa se associata all’amore o, peggio. al sesso, “la cosa più sporca del mondo” secondo i furfanti, scellerati bigotti chierici traditori di Cristo e pure laici perbenisti, omacci magari sposati e frequentatori abituali di prostituite.
Sicché restrinsi l’apertura delle parole precedenti e quella della finestra che splancata mi aveva inondato di luce.
“Ascoltami creatura: io potrei essere quasi tuo padre o per lo meno un fratello maggiore cui ti stai affidando spero non incautamente. Possiamo frequentarci anche fuori dalla scuola, se vuoi, per quanto ce lo consente il lavoro, ma  limitiamoci all’amicizia per ora”.
Mentre parlavo mi accorsi che il discorso aveva un suono falso, stonato.
Faceva male a entrambi.  Infatti Ifigenia di fronte a tanta ipocrisia e viltà si ribellò e  rispose polemicamente:
 “Puoi dirmi con chiarezza che cosa vuoi da me? Se mi hai portata fuori dalla scuola di certo vuoi qualcosa, qualche cosa che non hai il coraggio di dire”.
L’essenziale l’aveva capito e l’aveva detto. Era intelligente e coraggiosa oltre che molto giovane e bella. Provai ammirazione e mi eccitai.
 
Tuttavia mantenni la mia vena gesuitica iniettata al dritto e a rovescio.
Da una parte la smania sessuale dall’altra la paura e il senso di colpa nel soddisfarla.”You fearful jesuit” dissi a me stesso ricordando l’Ulisse di Joyce.
Quindi risposi dicendo solo una mezza verità. “Te l’ho detto, tesoro: cerco la tua amicizia. In te posso trovare un a sorella giovane, vitale, e genuina spero: una collega-allieva con cui potrò parlare apertamente di tutto e praticare gli sport che amo e so fare bene: correre a piedi e in bicicletta, d’inverno. Poi nuotare d’estate”.
L’avevo chiamata tesoro per rabbonirla lasciando uno spiraglio all’amore, ma non le bastò.
 

Bologna 23 settembre 2023 ore 20,02 
giovanni ghiselli

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