Torniamo alla Satira II 1 di Orazio e ai rischi mortali o quasi dell'adulterio, un grave peccato degno di ogni pena per chi crede, o vuole far credere, nella validità matrimonio. E' da notare che diversi tra i più accaniti sostenitori di questa istituzione o non si sposano (come i preti) o divorziano (non pochi politici attuali) o praticano l'adulterio (i potenti di ogni tempo).
"Audire est operae pretium, procedere recte/qui moechos non voltis, ut omni parte laborent/utque illis multo corrupta dolore voluptas/atque haec rara cadat dura inter saepe pericla./ Hic se praecipitem tecto dedit, ille flagellis/ad mortem caesus, fugiens hic decidit acrem/praedonum in turbam, dedit hic pro corpore nummos,/hunc perminxerunt calones; quin etiam illud/accidit, ut cuidam testis caudamque salacem/demeterent ferro. "iure" omnes: Galba negabat./Tutior at quanto merx est in classe secunda,/libertinarum dico-Sallustius in quas/non minus insanit quam qui moechatur. At hic si,/ qua res, qua ratio suaderet quaque modeste/munifico esse licet, vellet bonus atque benignus/esse, daret quantum satis esset nec sibi damno/dedecorique foret. Verum hoc se amplectitur uno,/hoc amat et laudat."matronam nullam ego tango " (37-54), val la pena di sentire, voi che non volete che gli adùlteri la passino liscia, come in ogni modo siano in pena e come sia guastato da molto dolore il loro piacere, ed esso riesca raro tra duri e frequenti pericoli. Questo si è gettato a capofitto giù dal tetto, quello è stato flagellato a morte, questo fuggendo è caduto in una banda feroce di predoni, questo ha pagato denari per il bischero, questo lo hanno sodomizzato i mozzi; che anzi è accaduto pure quel famoso caso che a uno falciassero la coda lasciva e i testicoli. "Ben fatto" tutti: Galba diceva di no. Ma quanto è più sicura una merce di seconda categoria, quella delle liberte dico.- Sallustio del resto per quelle non fa pazzie meno di chi commette adulterio. Ma se volesse essere di buon cuore e generoso per quanto il patrimonio per quanto il buon senso consigliano e per quanto si può essere misuratamente munifico, regalerebbe quanto basta e non gli verrebbe perdita né disonore. Invece solo di questo si appaga, questo ama e vanta:"una matrona che sia una io non la tocco".
moechos: in greco l'adultero è moicov". I verbi corrispondenti sono moiceuvw e moechor.-corrupta dolore voluptas: tale è anche il piacere degli adulteri "moderni" che abbiamo già ricordato: Madame Bovary , Hester Prynne, Vel' čaninov, e Anna Karenina.-testis=testes. Vale "testicoli" e anche "testimoni".
Plauto insiste su questo doppio senso per accrescere la comicità dell'epilogo del Miles gloriosus , una scena" incentrata sulle percosse e sulla minaccia di castrazione, meritata punizione di un adultero (almeno in pectore) con giochi di parole a doppio senso ( testes indica appunto sia i testimoni, sia i testicoli), fonte di irrefrenabile comicità (v. 1416 intestatus; v. 1417 intestabilis; v. 1420 salvis testibus; v. 1426 carebis testibus)"[1]. In tutti questi esempi c'è il doppio significato di cui si è detto: infamato e senza testicoli; coperto di infamia e castrato; salvi i testimoni, quale locuzione giuridica, e con testicoli intatti; rimarrai senza testimoni e testicoli.
-qua=qua via, qua parte.-si…vellet-daret: periodo ipotetico della irrealtà nel presente.-res…ratio:" nella stigmatizzazione di quest'aspetto capitale del peccatum sono sottesi due dati: l'educazione paterna a non dissipare la patria res e a difendere vita e reputazione[2] e la franca denuncia lucreziana"[3].
Questa ratio può essere un esempio di quella "calva assennatezza" di cui parla Rohde di quel" calmo razionalismo… che domina scienza e cultura nel periodo ellenistico..una intelligenza da vecchi, savia e povera"[4].
M. Gigante riporta alcuni i versi del De rerum natura (IV 1223-1124, 1129-1130) che noi abbiamo letto precedentemente.
Sentiamo ancora qualche parola di questo commento:"Non vi può essere voluptas, hJdonhv, insieme col dolor, ajlghdwvn, in mezzo ad una tempesta di pericoli. La hJdonhv è il godimento calmo e sicuro, la gioia pura, l'assenza del dolore; insidiato da una vana opinione il piacere è falso, attaccato da una turba di pericoli si corrompe, diventa marcio…Orazio che annuncia il nuovo ordito (Sat. I 2, 38-40) ha in mente i versi di Lucrezio sull'amore senza dolore, sine poena, sulla pura voluptas che è dei sani e non dei miseri, sugli istinti, sugli impulsi rabbiosi che tolgono purezza al piacere" (p. 65). Segue la citazione di altri versi (1075 sgg.) del IV libro di Lucrezio che abbiamo già analizzato.
Vediamo l'etimologia di hJdonhv. "La radice deriva dall'indoeuropeo *suad- che in greco ha dato come esito Fad-> aJd-, in latino suad-"[5]. Sulla radice greca aJd-/hJd- si formano, oltre hJdonhv, hJduv" , piacevole, aJndavnw, piaccio, et cetera; su quella latina, suavis, piacevole, suadeo, persuado. Stessa origine hanno l'inglese sweet e il tedesco süss, "dolce".
"Gli amanti furiosi presi di mira da Orazio-continua Gigante- sono i moechi che egli rappresenta come una corporazione , quasi il rovescio di una secta filosofica" (p. 65). Di questi moechi sembra fare parte Galba che li approva. Dalla parte opposta c'è un certo Sallustio e nei versi successivi un tal Marsèo che dissipò il suo patrimonio per una mima. Insomma il pericolo dell'insania amorosa è in agguato per tutti i gusti e anche chi schiva il pericolo più grande, quello delle sposate, rischia di cadere in qualche eccesso.
"La liberta nella concezione di Orazio realizza il medium, il rectum, ma l'amore con una liberta che oltrepassi la misura è anch'esso da biasimare, è un vitium. Sallustio è ritratto come un folle, un insanus travolto dalla smania di inondare di doni la donnina del cuore…perciò piomba nel danno e nella vergogna e incede sulla scena, come uno stolto, non ad autocommiserarsi, ma ad autocompiacersi di tenersi fermamente lontano dalle matrone. Sallustio così diventa la caricatura dell'anti-adultero…Orazio gli pone sul labbro il proclama perentorio e assolutistico Matronam nullam ego tango dopo averlo ritratto attraverso il gioco difficilmente riproducibile delle allitterazioni (res ratio, modeste munificus, bonus benignus, damnum dedecus) come ribelle alla ragione, alla misura, all'ethos"[6].
Comunque l'amore per le liberte anche in generale è meno biasimato di quello per le matrone: quando Nerone diciassettenne si incapricciò della liberta Atte gli amici più anziani non lo avversavano poiché egli sentiva ripugnanza per la moglie Ottavia "metuebantur ne in stupra feminarum inlustrium prorumperet, si illa libidine prohiberetur " (Annales , XIII, 12) ed essi temevano che si lanciasse in adultèri con donne di illustre casato se veniva distolto da quella libidine.
Segue il personaggio emblematico di Marsèo che è impazzito d'amore per la mima Origine cui donò la casa e il fondo del padre. Costui si vanta di non avere mai avuto commercio con le mogli degli altri:"nil fuerit mi- inquit- cum uxoribus unquam alienis" (v. 57). Ma anche in questo caso il male c'è stato: "bonam deperdere famam,/rem patris oblimare malum est ubicumque. Quid inter/est in matrona ancilla peccesne togata?" (vv. 61-63), rovinare la buona reputazione, scialacquare la sostanza paterna è un male comunque. Che differenza c'è commettere peccato con una matrona o con un'ancella togata? Che, abbiamo visto, è, all'incirca la prostituta.
Nel caso che prevalga il ruolo dell'ancilla, questa scelta può prefigurare l' Elogio degli amori ancillari di Gozzano:"Gaie figure di decamerone,/le cameriste dan, senza tormento,/più sana voluttà che le padrone" (vv. 11-13). L'autore conclude esclamando:"Lodo l'amore delle cameriste!" che forse ribatte ironicamente al Petrarca il quale viene accusato da Amore, il suo "antiquo…dolce empio signore" e "adversario", di ingratitudine poiché l'innamorato di Laura si lamenta della schiavitù erotica da cui gli è pur derivata la fama, mentre grandi personaggi del mito e della storia, Agamennone, Achille e Annibale furono lasciati cadere "in vil amor d'ancille" (Rime , CCCLX, v. 96).
"Ma Orazio è come preso dall'ossessione dell'adulterio e ai due antiadulteri lascia seguire un adultero di gran classe, un moechator tutto speciale, Villio che misura il piacere dal genus, dall' eujgevneia della stirpe"[7]. Costui fu abbagliato da Fausta, figlia del dittatore Silla, e ne pagò il fio oltre misura:"pugnis caesus ferroque petitus,/exclusus fore, cum Longarenus foret intus" (vv. 66-67), colpito da pugni e inseguito con un coltello, fu tagliato fuori mentre Longareno stava dentro. "Villio allora assume un ruolo ben noto nel mondo ellenistico-romano, il ruolo dell'exclusus amator. E qui l'artista crea il gioco formale fore 'fuori'/foret 'esset' e la contrapposizione di fore/intus una variante della consueta scena dell'amator dinanzi alla porta e alla spietata crudeltà della donna, che difende il corpo se non la verginità, dalla supplichevole preghiera dell'amante pallido e infreddolito. Fausta non è sola, ma concede i suoi favori a un altro, a un Longareno di cui non sappiamo altro che, da uomo qualunque, ha raggiunto il letto di una nobile sposa e ha battuto in breccia il focoso aspirante. Così si è rovesciato un particolare non secondario dello statuto della scena del paraklausithyron: l'amante assedia una fortezza non solo più volte espugnata, ma conquistata di bel nuovo nel momento stesso dell'estremo delirio dello spasimante"[8].
Vediamo qualche altro verso di questa Satira II 1 di Orazio:"Huic si muttonis verbis mala tanta videnti/diceret haec animus "quid vis tibi? numquid ego a te/magno prognatum deposco consule cunnum/velatumque stola, mea cum conferbuit ira?"/quid responderet? "magno patre nata puella est" (68-72), se a costui mentre vede guai così grossi lo spirito dicesse con parole del pene " che cosa vuoi che ti capiti? forse che io ti chiedo una vagina nata da un console grande e avvolta in una stola, quando la mia furia si è messa a bollire?" Cosa risponderebbe? "E' figlia nata da nobile padre".
Ecco qui un dialogo bizzarro, surrealistico, tra mutto, che fa parlare in sua vece l'animus e il fissato con le donne figlie di uomini importanti. Abbiamo già indicato nel Satyricon (132) l'apostrofe-invettiva di Encolpio al pene disobbediente; qui la musa pedestris della satira dà voce al pene che per parlare si sdoppia e nella sua foga mediata dallo spirito è meno pazzo del maniaco cui appartiene.
Sentiamo ancora qualche parola di commento di M. Gigante:"L'Animus parla a Villio: è un paradosso che capovolge la situazione di Odisseo che parla alla sua kradivh[9] o di Archiloco che parla al suo qumov"[10]. E', a breve distanza, un altro rovescio dopo quello dello statuto del paraklausithyron nell'ambito della stessa scena. Dall'epos e dalla parenesi arcaica siamo passati alla commedia: la commedia, come ogni forma drammatica, esigeva il dialogo. E Animus/mutto ha dialogato con Villius" (p. 74).
Orazio comunque considera massimi i pericoli che vengono dalle maritate, per cui la conclusione del discorso è che bisogna evitare gli amori adulterini seguendo la via indicata dalla natura "dives opis natura suae" (v. 74) ricca delle proprie risorse che dobbiamo amministrare recte bene, ossia in maniera misurata ponendo ai piaceri il limite imposto dal dolore che può derivarne.
In questo contesto di sapienza epicurea, che sconsiglia la voluptas mal calcolata, possiamo indicare la conseguenza dell'incapacità di commisurare il piacere trasgressivo alle sue conseguenze dolorose nella fine di Emma Bovary . Cito la descrizione della nemesi che ha colpito l'adultera nel momento in cui questa riceve l'estrema unzione dopo essersi avvelenata con l'arsenico:"il prete recitò il Misereatur e l'Indulgentiam, immerse il pollice destro nell'olio e cominciò l'unzione: prima sugli occhi, che avevano tanto bramato il fasto mondano, poi sulle narici, che erano state tanto avide di tiepide brezze e di profumi amorosi, poi sulla bocca, che s'era tanto aperta alla menzogna, ai gemiti dell'orgoglio, alle grida della lussuria, poi sulle mani, che avevan preso tanto diletto ai dolci contatti, e alla fine sulla pianta dei piedi, che erano stati tanto rapidi nei giorni in cui lei correva a saziare i propri desideri, i piedi che non avrebbero mai più camminato" (Madame Bovary .p. 261).
Altrettanto punitiva è la fine di Anna Karenina che si getta sotto un treno:"Volle sollevarsi, buttarsi indietro, ma qualcosa di enorme, d'inesorabile, la colpì alla testa e la rovesciò sul dorso. "Signore, perdonami tutto!" proferì, sentendo l'impossibilità di lottare" (Anna Karenina, p. 772).
Non così disastrosa è la conclusione de La lettera scarlatta per la sua adultera che del resto non ha mai mentito a Chillingworth; ella con la forza del carattere valorizza l'emarginazione e le sofferenze che i furfanti bigotti le hanno inflitto impiegandole per la sua crescita:"Hester infatti-relegata da tanto tempo in una solitudine così aspra, tetra, selvaggia come la foresta nella quale i due si dicevano parole tanto gravi, e al bando dal consorzio civile-aveva rafforzato la sua naturale energia e aveva acquistato un'indipendenza di pensiero e un'audacia d'azione che il pastore[11] era ben lontano dal possedere…Il suo destino e le sue sventure l'avevano resa libera. La lettera scarlatta[12] era il suo passaporto per talune regioni, nelle quali nessun altra donna avrebbe osato avventurarsi. Vergogna, disperazione, solitudine: ecco i maestri che avevano rinvigorito la sua forza istintiva sebbene con insegnamenti molto difettosi"[13].
Hester era di aspetto nobile e significativo: " La giovane donna era alta e bella: neri e foltissimi i capelli, nei quali il sole accendeva subiti bagliori, e regolari le linee del volto, cui il taglio deciso delle sopracciglia e gli occhi neri e profondi conferivano un che di maestoso e di austero. Si sarebbe detto che ella appartenesse a una casta elevata: il che a quei tempi era attestato dalla nobiltà del portamento, anziché dalla grazia e dalla raffinatezza che sono oggi i segni della signorilità" (p. 38).
La sua bellezza viene come umiliata da quella lettera scarlatta e da una cuffia che le nascondeva la splendidissima chioma. Quando giunge alla resa dei conti, con se stessa e con il padre della bambina, la bella donna diventa quello che è anche togliendosi quei segni:"Non bisogna volgersi indietro-disse-. Il passato è morto. Perché dovremmo fermarci a guardarlo ancora? Vedi? Io lo respingo, lo annullo gettando questo emblema lontano da me". Così dicendo, ella strappò i punti che cucivano la lettera scarlatta all'abito e, staccatala dal petto, la gettò lontano tra le foglie…Liberatasi da quel segno umiliante, Hester trasse un lungo sospiro dal quale parve esalare tutta la vergogna e l'angoscia che per sette anni avevano gravato sull'anima sua. Incomparabile gioia: dall'intensità di questa soltanto ella poté valutare quanto profonda fosse stata la pena. Con un altro gesto istintivo, Hester si tolse la cuffia austera che le imprigionava i capelli e lasciò che questi fliussero, a onde luminose, sulle spalle e restituissero finalmente al suo viso la dolce espressione di un tempo…Ella ridiventava giovane e bella, donna soprattutto, quale era stata in un passato che si crede irrevocabile, come per miracolo: per il miracolo della felicità che ella aveva intraveduta. E per una misteriosa simpatia delle cose d'intorno, quasi che cielo e terra fossero tristi della tristezza di quei due esseri umani, il cielo d'un subito si schiarì e un'ondata di sole scese dall'alto, investì la foresta, rise sopra ogni foglia verde, colorì d'oro ogni foglia morta, accarezzò teneramente i vecchi tronchi grigi e rugosi…L'amore, sia quando nasce, sia quando risorge da un letargo che era sembrato mortale, sprigiona tanta luce che tutto il mondo d'intorno se ne accende; ma quand'anche sulla foresta si fosse disteso ancora il livido cielo di dianzi, essa sarebbe apparsa egualmente inondata di sole agli occhi di Hester e di Dimmesdale" (p. 161). Dopo questo incontro "pieno di destino" e alcune altre vicende il pastore muore tra le braccia di Hester, non senza avere riconosciuto la bimba. Chillinworth, il marito, pure morì, lasciando una cospicua sostanza alla piccola. "Così Pearl, il folletto, la figlia del demonio come alcuni si ostinavano ancora a chiamarla, si trovò ad essere la più ricca ereditiera della Nuova Inghilterra" (p. 206). Poi madre e figlia sparirono ma Hester tornò nel luogo della sua penitenza con il marchio scarlatto di nuuovo sul petto. "L'emblema non lasciò il suo petto; ma negli anni, stanchi e penosi, tutti dediti al bene, che conchiusero la vita di Hester Prynne, la lettera scarlatta cessò di essere il simbolo del castigo e del disprezzo per trasformarsi in segno di bontà e di rispetto. E poiché Hester Prynne non era né egoista né vana, ella diventò la consigliera di tutti i dubbiosi e gli angosciati, che ricorrevano a lei come si ricorre a chi ha molto vissuto e sofferto. E ricorrevano a lei soprattutto le donne: donne cadute in dominio di passioni peccaminose, donne che inutilmente avevano offerto il loro cuore ed erano state o mal comprese o respinte. Hester le consigliava come meglio poteva; ed era lei a trasfondere in loro la fiducia in un tempo migliore, nel quale, se il mondo l'avesse meritato, i rapporti tra uomo e donna sarebbero stati retti da leggi più propizie alla reciproca felicità" (p. 208). E' proprio questa l'idea di un mondo migliore che ho cercato di dare durante questo percorso.
Terminiamo il capitolo tornando alla satira di Orazio:"quare, ne paeniteat te,/desine matronas sectarier, unde laboris/plus haurire mali est quam ex re decerpere fructus" (I, 2, vv. 77-79), perciò, per non pentirtene, smetti di correre dietro alle matrone, dalle quali c'è più da sorbire sciagure che trarre profitto dalla cosa.-sectarier=sectari.
"Dalla teoria Orazio viene alla prassi, vale a dire ritorna al tema concreto: l'adultero non aspetti di pentirsi, ma piuttosto smetta di andare a caccia di matrone; il gioco non vale la candela, il vantaggio è inferiore al costo, il frutto che si ricava è inferiore alla pena, al labor malus, all'afflizione, al dolore: povno" , labor è l'opposto di hJdonhv, la giuntura labor malus contrae il concetto che il dolore è male e perciò è da fuggire. La grandezza del dolore è inferiore al piacere"[14]. Personalmente non ne sono tanto sicuro..
Concludo ricordando i versi cui accennavo molte pagine fa, esametri nei quali Orazio sostiene che non necessariamente la matrona è più bella della liberta, ma è solo più imbellettata e ingannevole anche per quanto riguarda l'aspetto:" nec magis huic, inter niveos viridisque lapillos/sit licet, hoc, Cerinthe, tuum tenerum est femur aut crus/rectius, atque etiam melius persaepe togatae./Adde huc, quod mercem sine fucis gestat, aperte/quod venale habet ostendit nec, si quid honesti est,/iactat habetque palam, quaerit, quo turpia celet" (vv. 80-85), né costei anche se sta in mezzo a gioielli nivei e verdi, ha la coscia o il polpaccio di cui ti intendi, Cerinto, più voluttuosi o dritti, e anzi tante volte li ha migliori un'ancella in toga. A questo aggiungi che porta la merce senza orpelli, e mostra apertamente quello che ha da vendere e se c'è qualche cosa di pregevole non lo vanta né lo ostenta, né cerca di nascondere i difetti.
Gigante spiega Cerinto è "il giudice più competente in fatto di cosce, di mhroiv, non il possessore della più morbida coscia del mondo", quindi indica la fonte dei lussuosi orpelli matronali in alcuni versi di Lucrezio che abbiamo già letto:" Additare la fonte significa anche capire. Lucrezio negli smeraldi montati nell'oro vede uno dei risultati della trasformazione dei beni paterni nei doni per l'amante[15] come unguenti o scarpe o vesti o mitre o diademi: et grandes viridi cum luce zmaragdi/auro includuntur. La matrona oraziana è cromaticamente più ricca: la immaginiamo non solo inanellata, ma anche ornata di perle agli orecchi"[16]. Si tratta comunque di orpelli che non trasformano una racchia e senza i quali una bella non smette di essere bella.
Anzi alla sua bellezza si aggiunge il fatto di essere fine. E’ l’arricchita volgare e spesso racchia che si riempie di gioielli e si camuffa con tanto di fuchi e calamistri.
Pesaro 5 settembre 2023 ore 17, 26 giovanni ghiselli.
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[1] A. Giordano Rampioni, Manuale per l'insegnamento del latino nella scuola del 2000, p 123.
[2] Sat I 4, 110 ss.
[3] M. Gigante, op. cit., p. 68.
[4] Psiche , p.631.
[5] G. Ugolini, Lexis, p. 98.
[6] M. Gigante, op. cit., p. 69.
[7] M. Gigante, op. cit., p. 71.
[8] M. Gigante, op. cit., p. 72.
[9] Odissea, XX, 17 sgg., già ricordato da Encolpio nel Satyricon.
[10] Fr. 67 aD., v. 1, già citato nella scheda sulla Fortuna.
[11] Questo è Dimmesdale, dal quale Hester ha avuto una bambina senza rivelare a nessuno l'identità del padre. I due ex amanti si incontrano in questo XVIII capitolo ma poco dopo l'uomo muore stroncato dal senso di colpa, dai nervi e dalla persecuzione sorda di Chillingworth .
[12] Una A ricamata sul suo corpetto "come un sortilegio che isolasse la donna dal resto dell'umanità e la chiudesse in un cerchio di mistero" (p. 39). Doveva essere indicativa del suo peccato e della sua condizione di adultera.
[13] La lettera scarlatta, p. 158.
[14]M. Gigante, op. cit., p.76.
[15] Lucr. De rer. nat. IV 1126 s.
[16]M. Gigante, op. cit., p.78
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