lunedì 18 settembre 2023

L’asino d’oro IX libro. Adultere e omosessuali.

 

Apuleio e Boccaccio

L’asino cerca di scappare sed nihil Fortuna rennuente licet homini… e non basta consilium prudens vel remedium sagax a sovvertire le disposizioni divinae providentiae.

 

Nell’Alcesti il Coro dice krei`sson oujde;n jAnavgka~ hu|ron-oude; ti favrmakon (965-966).

Encolpio dopo la fuga dalla nave dice Quin reliqua fortunae demittimus? (Satyricon, 102), perché non rimettiamo il resto alla fortuna?

 

Dopo qualche altra vicissitudine l’asino viene riportato sulla strada crotălis et cymbalis (9, 4) con nacchere e tamburi.

Giungono in un luogo dove Lucio-asino sente raccontare la storia dell’amante nella giara che occupa tre capitoli (9, 5-7).

 

 Boccaccio riprende questa storia in VII-9 . La settima è giornata in cui si ragiona delle beffe le quali le donne per amore o per salvamento di loro hanno già fatto ai mariti. Boccaccio descrive con ammirazione queste beffatrici. Peronella intanto era una bella e vaga giovinetta e l’amante Giannello uno de’ leggiadri. La vicenda avviene a Napoli il giorno di San Galeone.

 

Questa di Apuleio invece è un’uxorcula tenuis, una poveraccia come il marito, un fabbro smunto dalla miseria, ma la donna era et tamen postremā lasciviā famigerabilis (9, 5)[1].

 Un giorno, appena uscito il marito, un temerarius adulter  entrò in casa. Ma il fabbro rientrò, e la mogliettina  fece nascondere l’amante tenacissimis amplexibus expeditum, dolio quod erat in angulo semiobrŭtum, semicoperto , sed alias vacuum (9, 5)

L’adultera dunque aggredisce il marito il quale indica la bótte e dice che ha trovata da venderla quinque denariis. Allora la fallaciosa mulier, tollens cachinnum, fa complimenti ironici al marito per la prodigiosa vendita: lei l’ha venduta septem denariis a uno che ci è entrato per controllarla. L’adulter bellissimus balza su, opportunamente, e critica la bótte. Allora il marito entra nel dolium per pulirlo e l’ uxercula, capite in dolium demisso, indicava i punti da pulire e maritum suum astu meretricio tractabat ludĭcre (7) prendeva in giro il proprio marito con scaltrezza puttanesca[2].

Alla fine il calamitosus faber portò il dolium collo suo ad hospitium adulteri.

 

Filebo e gli altri facevano soldi dando responsi sempre buoni. Poi però commettono un furto sacrilego e vengono arrestati.

 

 L’asino viene venduto a un mugnaio, pistor, e messo di nuovo alla macina. Questa rappresenta il rischio che il suo soffrire venga vanificato.

 Ma Lucio non cede: si comporta con la Fortuna come Menelao con Proteo: non fugge davanti alle trasformazioni. Ogni cosa ha il suo senso a patto che si sappia capirlo.

L’asino alla macina dunque si fermava più volte stupore mentito (9, 9) fingendosi tonto.

 

E’ la tattica di Bruto e di Amleto, ossimori viventi. Il primo, ex industria factus ad imitationem stultitiae Bruti quoque haud abnŭit cognomen (Livio, I, 56, 8).

 

 Ma lo bastonano e si mette a girare rapidamente. Osserva l’orribile condizione degli schiavi. Il sollievo di Lucio è la sua innata curiosità che lo apparenta a Ulisse. Ingenita mihi curiositate recreabar (9, 13). La curiositas è re-creatio, ridà vita.

 

La vita senza indagine non è vita umana, dice Socrate nell’Apologia: oJ de; ajnexevtasto~ bivo~ ouj biwto;~ ajnqrwvpw/ (38a).

 

 Ulisse infatti era vir summae prudentiae e Omero lo cantò.

 

 Anche nella chiusa del De deo Socratis c’è una lode dell’eroe omerico. La conoscenza del mondo porta alla coscienza di sé.  Omero volle sempre che compagna di Ulisse fosse la prudenza che chiamò Minerva: hac comite, omnia horrenda subiit, omnia adversa superavit eā adiutrice. Cyclopis specus introivit sed egressus est, Solis boves vidit sed abstinuit.

 

Addirittura Lucio esprime gratitudine asino meo  (9, 13) che lo ha reso multiscĭum, ricco di esperienza. La condizione miserevole dell’asino conduce a prestare attenzione alle altre miserie.

 Carotenuto sostiene che per accedere all’umanità è necessario regredire a una condizione di stupidità.

 

Seguono tre storie intrecciate con la tecnica dell’incastro.

Il mugnaio padrone di Lucio era bonus vir et modestus ma aveva una moglie pessima nella quale tutti i vizi erano confluiti come in una latrina melmosa in quandam caenosam latrinam: saeva, scaeva, virosa, ebriosa, pervicax, pertinax, in rapinis turpibus avara, in sumptibus foedis profusa, crudele, sinistra, dissoluta, ubriacona, ostinata, caparbia, avida nelle rapine vergognose, scialacquatrice in lussi orribili.

 Inoltre era una furfante bigotta: fingeva una sacrilega fede in un dio che proclamava unico. Si faceva beffe del marito prostituendosi dalla mattina alla sera. La donna per giunta perseguitava l’asino. La crudeltà di costei aveva stimolato la curiosità di Lucio: tw`/ pavqei mavqo~ (Agamennone, 177). L’asino ascoltava quando la donna parlava con la sua ruffiana, una vecchia megera. E approfittava delle grandissime orecchie per captare tutto. Così si consolava dell’errore di Fotide.

Prima storia: Filesitēro, Barbaro, la moglie e lo schiavo Mirmēce. La racconta la vecchia ruffiana.

La vecchia dunque racconta alla moglie del mugnaio come Filesitēro conquistò la moglie del decurione Barbaro (9, 16). Comincia a dire che l’amante di quel momento non valeva niente. Molto più bravo è Filesitero, formonsus et liberalis et strenuus et contra maritorum inefficaces diligentias constantissimus.

Il marito, dovendo allontanarsi, aveva affidato la moglie al servo Mirmēce (formica). Filesitero sa che ogni strada è pervia all’oro.

 

Maledizioni dell’oro.

 Ovidio[3] nel I libro delle Metamorfosi[4] descrive l’età del ferro. E' un’ età prossima alla nostra [5], un’età non più redimibile, quella del male integrale, quando omne nefas , ogni empietà, irrompe nel genere umano:"fugitque pudor  verumque fidesque;/in quorum subiere locum fraudesque dolusque/insidiaeque et vis et amor sceleratus habendi./effodiuntur opes, inritamenta malorum/ iamque nocens ferrum ferroque nocentius aurum/ prodierat: prodit bellum, quod pugnat utroque,/sanguineaque manu crepitantia concutit arma./ Vivitur ex rapto; non hospes ab hospite tutus,/non socer a genero, fratrum quoque gratia rara est [6]./Imminet exitio vir coniugis, illa mariti;/lurida terribiles miscent aconita novercae;/filius ante diem patrios inquirit in annos./Victa iacet pietas, et Virgo caede madentes,/ultima caelestum, terras Astraea reliquit" (I, 129-131 e 140-150) e fuggì il pudore la sincerità, la fiducia; e al posto di questi valori subentrarono le frodi, gli inganni, le insidie e la violenza e l'amore criminale del possesso…si estraggono dalla terra le ricchezze, stimolo dei mali; e già il ferro funesto[7] e, più funesto del ferro, l'oro[8] era venuto alla luce venne alla luce la guerra, che combatte con l'uno e con l'altro, e con mano sanguinaria scuote ordigni  che scoppiano. Si vive di rapina; l'ospite non è al riparo dall'ospite, non il suocero dal genero, anche l'accordo tra fratelli è poco frequente. Il marito minaccia di rovina la moglie, questa il marito; mescolano squallide pozioni velenose le terrificanti matrigne; il figlio scruta la morte anzi tempo negli anni del padre. Giace sconfitta la pietas e la Vergine Astrèa, ultima dei celesti, ha lasciato le terre sporche di strage.

L’oro è Common whore of mankind (Timone d’Atene IV, 3) Cucirà e romperà ogni fede. 

In Romeo e Giulietta l’oro è worse poison (V, 1) del veleno venduto dallo speziale.

 

Mirmece e la donna dunque si vendono execrando metallo (9, 19).

 Quindi l’amante viene introdotto in casa, ma all’inizio dei giochi amorosi arriva il marito. Filesitero riesce a fuggire non visto, però lascia le scarpe sotto il letto. Barbaro le prende e porta Mirmece nel foro, incatenato; Filesitero li vede e aggredisce Mirmece gridando che gli ha rubato le scarpe alle terme. Barbaro così si convinse, a torto, che la moglie non c’entrava.

 

Seconda storia. La pessima moglie del mugnaio e Filesitero. La racconta l’asino

La moglie del mugnaio è affascinata e accoglie Filesitero amatorem illum alăcrem  (9, 22). Ma anche in questa storia  sopraggiunge il marito che era andato a cena da un vicino lavandaio apud naccam proximum. Lucio è molto interessato alle arti della perfida donna. Il marito dunque sopraggiunge celerius opinione. Allora la uxor egregia, imprecando contro di lui, nasconde l’amante spaventato sotto un’angusta cassa di legno. Quindi la donna si mostra al marito sicura in volto e gli chiede che cosa sia successo. L’uomo racconta.

 

Terza storia: la moglie del lavandaio e l’amante. La racconta il mugnaio.

La uxor fullonis aveva nascosto un amante sotto una cesta di vimini coperti di panni posti a imbiancare. Lo zolfo emetteva un fumo che fece soffocare e starnutire il giovane rivelandone la presenza. Il marito furioso lo ha gettato nel vicolo vicino già mezzo morto, l’adultera è scappata e il mugnaio è tornato a casa.

 

Di nuovo la seconda storia raccontata dall’asino.

La mugnaia allora impreca contro l’altra adultera, universi sexus grande dedĕcus (9, 26). Addebat et tales oportere vivas exuri feminas. Poi consigliò al marito di andare a dormire.

Ma il marito voleva mangiare senza fretta e l’asino voleva svelare l’inganno. Appena poté, calpestò le dita di Filetero che urlando svelò l’oscena commedia della donna. Il pistor non fu troppo turbato: disse che voleva portare a letto il ragazzo con la moglie. A me e a lei, disse, piacciono le stesse cose. Poi in realtà chiuse la pudicissima uxor in un’altra stanza, e giacque da solo con Filetero. Arrivato il giorno lo frustò nelle natiche, poi lo sgridò e lo buttò fuori. Quindi cacciò la moglie da casa (9, 28).

 

Boccaccio V, 10. Nella V giornata si ragiona sotto il reggimento di Fiammetta di ciò che ad alcuno amante dopo alcuni fieri o sventurati accidenti felicemente avvenisse.

Racconta Dioneo il quale invita a ridere degli amorosi inganni della donna. In questa novella il marito Pietro di Vinciolo aveva preso moglie per coprire la propria omosessualità. La donna era una giovane compressa “di pel rosso e accesa” e pensava “io offenderò le leggi sole, dove egli offende le leggi e la natura”. La vittima della situazione per Boccaccio è la moglie.

La vecchia ruffiana lamenta la condizione femminile: “Gli uomini nascono buoni a mille cose, ma le femmine a niuna altra cosa che a fare questo e figlioli e per questo son tenute care. Quando ci invecchiamo, né marito né altri ci vuol vedere, anzi ci cacciano in cucina a dir favole con la gatta e ad annoverare le pentole e le scodelle, e peggio che noi siamo messe in canzone e dicono-alle giovani i buoni bocconi, e alle vecchie gli stranguglioni-“. La donna le diede un pezzo di carne salata e la mandò con Dio. Quindi la ruffiana le mandò un garzone dei più belli di Perugia. Il marito era andato a cena da Ercolano ma tornò troppo presto. L’adultera nascose il ganzo in una cesta di polli. Pietro racconta la storia dell’altro adulterio svelato dallo starnuto.

 Quando sente il racconto della prima adultera scoperta, questa rossa dice”Di sì fatte femmine non si vorrebbe avere misericordia; elle si vorrebbero uccidere vive, metter nel fuoco e farne cenere”. Poi un asino pesta l’amante e questo, “grandissimo dolor sentendo, mise un grande strido”. Il marito, Pietro, conosceva quel giovane per averlo corteggiato. Comunque lancia una maledizione biblica: “Voi siete tutte così fatte e con l’altrui colpe guatate di coprire i vostri falli, che venir possa fuoco dal cielo che tutte v’arda, generazione pessima che voi siete!”. La moglie del resto rinfaccia al marito l’omosessualità: “io vorrei innanzi andar con gli stracci indosso e scalza ed esser da te ben trattata nel lettose’ così vago di noi come il can delle mazze”. Quindi Pietro le fece preparare la cena e promise: “disporrò di questa cosa in guisa che tu non t’avrai che rammaricare”. I tre cenarono e andarono a letto insieme. La novella non si impegna in un giudizio morale, se non: “chi la ti fa, fagliele”.

 

Cfr. Eschilo, Agamennone :”mimnei de; mivmnonto~ ejn qrovnw/ Dio;~  -paqei'n- to;n e[rxanta: qevsmion gavr” (Commo, vv. 1563-1564), rimane, finché Zeus rimane sul trono che chi ha agito subisca, è infatti legge divina.

 

Torniamo ad Apuleio. L’adultera moglie del mugnaio cacciata trova una vecchia strega che provoca la morte del mugnaio mandandogli un fantasma. Lucio rivendica ancora una volta la propria curiosità e capacità di osservare.

Queste storie di adulterio screditano il piacere sessuale. I mariti sono vari, ma generalmente dei fessi, le donne sono tutte uguali: lussuriose e fallaci. Ma la figlia del mugnaio vede in sogno il padre morto che le svela la malvagità della matrigna nel frattempo sparita.

 

La proprietà del mugnaio viene venduta e Lucio finisce da un povero hortulanus (9, 31).

Qui soffre freddo e fame. Segue il racconto della rovina di una famiglia di un tale che era stato accolto ospitalmente dall’ortolano. Si assiste a fatti innaturali come una gallina che partorisce un pulcino.

Cfr. Manto nell’Oedipus : Mutatus ordo est, sed nihil propria iacet,- sed acta retro cuncta (vv. 366-367).

 La terra si apre e vomita sangue (9, 34). Un prepotente fa morire i tre figli dell’ospite dell’ortolano. I pauperes non hanno il liberale presidium legum. I rapporti tra gli uomini sono fatti di violenza. Anche il prepotente del resto viene ucciso dall’ultimo figlio che poi si suicida.

Nel Dyskolos di Menandro, Gorgia dice a Sostrato che il ptwco;~ ajdikhqeiv~ è duskolovtaton è pericolosissimo (vv. 295-296).

 Infine il padre dei tre si uccide.

L’ortolano dunque tornando a casa con l’asino e si imbatte in un legionario che parla latino ed è un prepotente. L’ortolano non capisce il latino e non risponde. Allora il soldato gli parla in greco e vuole portargli via l’asino, ma l’ortolano, fingendo di  supplicarlo, lo fa cadere a terra, e lo colpisce più volte, finché quello si finge morto. Quindi l’ortolano scappa in città e va a nascondersi da un suo amico. Il soldato manda dei commilitoni a cercarli. Una spiata li denuncia, ed è l’asino curioso e inquieto per natura a rivelare il nascondiglio sporgendo il collo fuori da una finestra. Un soldato ne vide l’ombra e l’ortolano fu trovato e trascinato in prigione per essere condannato a morte.

 

Pesaro 18 settembre 2023 ore 16, 55 giovanni ghiselli

 



[1] Il contrario di questa uxorcula è la muliercula raccomandata da Lucrezio, la quale, pur deteriore forma, può farsi amare morigeris modis et munde corpore culto (IV, 1279 ss).

 

[2] Nell’Ulisse di Joyce l’astus meretricius è visto piuttosto come istinto della donna: “Tinnulo calessino (quello che porta l’adultero Boylan all’incontro erotico con Molly). Lei voleva andare. Ecco perché. Donna. Tanto vale fermare il mare” (p. 372).

Oppure Emilia nell’Otello: “Let husband know. Their wifes have sense like them: they see and smell, and have their palates both for sweet and sour, as husband have” (IV, 3).

 

[3] Vedi anche 13. 2.

[4] Poema epico di quindici libri in esametri. Narra la storia del mondo dall'origine all'età contemporanea attraverso racconti che hanno in comune il tema della metamorfosi.  Fu composto fra l'1 e l'8 d. C.

[5] “L’età ferrea non siamo noi, data che questa umanità sarà poi cancellata dal diluvio (cfr. v. 188: diversamente Esiodo, Op. 175). L’effetto di romanizzazione è accompagnato dall’eco di un passo del carme 64 di Catullo (397 sgg.) sulla decadenza che segue all’età eroica e da echi più generici della tematica delle guerre civili e delle proscrizioni a Roma. I tempi narrativi accompagnano questa illusione di “presentizzazione” del mito, dato che a partire dal v. 140 una sequenza di perfetti e piuccheperfetti cede il passo a un blocco di verbi al presente; cfr. Landolfi 1996, pp. 84 e 88 sg. Nonostante tutti questi indizi concomitanti, il poeta non dice, come Esiodo, di vivere nell’età ferrea, mentre più tardi ammetterà di essere parte della razza “pietrosa”, iniziata dopo il diluvio (cfr. v. 414 sg.)”, Alessandro Barchiesi (a cura di) Ovidio Metamorfosi, volume I, p. 172.  Noi siamo un genus durum experiensque laborum, una razza dura e rotta alle fatiche, in quanto nati dalle pietre lanciate da Deucalione e Pirra (Ovidio, Metamorfosi, I, 411-415). In questo modo i due vecchi “non sostenendo, come erano sconfortati e disdegnosi della vita, di dare opera alla generazione… restaurarono la specie umana” (Leopardi, Storia del genere umano).

[6] Lucrezio afferma che gli uomini, credendo di sfuggire al terrore della morte, gonfiano gli averi col sangue civile, e ammassano avidi le ricchezze, accumulando strage su strage, godono crudeli dei tristi lutti fraterni, e odiano e temono le mense dei consanguinei "et consanguineum mensas odere timentque " (De rerum natura , III, 73).

 

[7]E' un topos antitecnologico che risale a Erodoto :"  ejpi; kakw'/ ajnqrwvpou sivdhro" ajneuvrhtai, ( Storie, I, 68)  , il ferro fu scoperto  per il male dell'uomo. Euripide nelle Fenicie attribuisce alla strage un cuore di ferro:"sidarovfrwnfovno" " (vv. 672-673). Del resto, anche il ferro, come l’oro e altri metalli può avere significati diversi, persino contrastanti: “nos e terrae cavernis ferrum elicimus, rem ad colendos agros necessariam, nos aeris argenti, auri venas penitus abditas invenimus et ad usum aptas et ad ornatum decoras” (Cicerone, De natura deorum, 2, 151), noi estraiamo dalle cavità sotterranee il ferro, attrezzo necessario per coltivare i campi, noi troviamo vene di bronzo, d’argento, di oro nascoste in profondità appropriate per l’uso e confacenti all’abbellimento.

[8] Si può pensare a quello nero: il petrolio per il quale si è versato tanto sangue.  Che il ferro e l'oro  creino discordia tra gli uomini portando differenziazioni  economiche e sociali lo afferma anche Platone nelle Leggi (679b).

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