Amministratori disonesti. Empietà e sterilità della terra
Un altro convitato, Filerote, fa l'elogio funebre del morto sepolto da poco, pur senza nasconderne i difetti poiché, afferma:"linguam caninam comedi" (43, 3), ho mangiato lingua di cane, cioè ho assunto la spudoratezza dei cani. Dopo questo modo di dire proverbiale, e probabilmente popolare siccome non attestato da fonti letterarie[1], nel geniale pastiche linguistico di Petronio troviamo una nota espressione dell' Edipo re di Sofocle il cui protagonista dice:" Io, stimando me stesso figlio della Fortuna (pai'da th'" Tuvch") /di quella che dà il bene, non rimarrò senza onore" (vv. 1080-1081). E Filerote:" plane Fortunae filius, in manu illius plumbum aurum fiebat " (43, 7), davvero figlio della Fortuna, in mano sua il piombo diventava oro. Il modello sofocleo viene degradato dal fatto che la presunzione di essere pai'" th'" Tuvch" a Edipo dovrebbe portare onore, mentre questo morto è considerato plane Fortunae filius per i miseri quattrini che ha accumulato.
I soldi del resto hanno aiutato il liberto oramai estinto a portare bene l'età fin oltre i settanta, a non diventare canuto ("aetatem bene gerebat, niger tamquam corvus", probabilmente si tingeva ), mentre il figlio di Laio per la vergogna del disonore e per lo schifo dei suoi errori si cava gli occhi dopo avere esecrato ricchezza e potere (v. 380 e sgg.). Ma Edipo è altro tipo d'uomo:"Il nocciolo di quella vita era nobile, era di razza, poiché non mirava ai miseri quattrini, mirava alle stelle"[2], potremmo dire di lui come fa H. Hesse per un suo personaggio.
Quindi (44) parla Ganimede dando voce a credenze popolari che si trovano anche nella letteratura alta: che la carestia (annona) e la siccità (siccitas) dipendano dalla malvagità e, in ultima analisi, dall'empietà umana.
E' la tesi dell' Edipo re di Sofocle dove la peste (loimov" ), la fame (limovvv" ) e la sterilità, sono causate dal mivvasma provocato dai delitti dal tuvvranno".
Secondo questo liberto c'è una combutta degli edili, gli ispettori del mercato, con i fornai:"itaque populus minutus laborat; nam istae maiores maxillae semper Saturnalia agunt", e così il popolino sta male; infatti questi ganascioni fanno sempre carnevale. Nel buon tempo antico invece il pane costava quasi niente:"asse panem quem emisses, non potuisses cum altero devorare" (44, 11), il pane che avessi comprato con un asse non saresti riuscito a mangiarlo in due. Ma ultimamente le cose vanno di male in peggio:"nunc oculum bublum vidi maiorem. heu, heu, quotidie peius. haec colonia retroversus crescit tamquam coda vituli" (44, 12), ora ho visto un occhio di bue più grande. Ahi, ahi, ogni giorno peggio. Questa colonia cresce all'ingiù come la coda di un vitello.
Seguono altre espressioni colorite e geniali che traggono origine, nell'autore del Satyricon, dall'osservazione del popolo e dalla conoscenza di Aristofane:"sed quare nos habemus aedilem trium cauniarum, qui sibi mavult assem quam vitam nostram?…sed si nos coleos haberemus, non tantum sibi placeret. nunc populus est domi leones, foras vulpes" (44, 13-14), ma perché ci teniamo un edile che vale tre fichi secchi uno che preferisce un asse per sé alla nostra vita?…ma se noi avessimo i coglioni non sarebbe tanto soddisfatto di sé. ora la gente in casa è fatta di leoni, fuori di volpi.
-domi leones, foras vulpes: espressione analoga si trova nella Parabasi della Pace di Aristofane (del 421):"o[nte" oi[koi me;n levonte",-ejn mavch/ d' ajlwvpeke" "(vv. 1189-1190), in casa sono leoni, in battaglia volpi.
La causa più vera però è l'ira degli dèi per l'immoralità e l'irreligiosità, l'idolatria degli uomini adoratori del denaro, la decadenza della pietas negli uomini e nelle donne:"ego puto omnia illa a diibus fieri. nemo enim caelum caelum putat, nemo ieiunium servat, nemo Iovem pili facit, sed omnes opertis oculis bona sua computant. antea stolatae ibant nudis pedibus in clivum, passis capillis, mentibus puris, et Iovem aquam exorabant. itaque statim urceatim plovebat: aut tunc aut numquam: et omnes redibant udi tamquam mures. itaque dii pedes lanatos habent, quia nos religiosi non sumus, agri iacent…" (44, 17-18), io credo che tutto questo derivi dagli dèi. Nessuno infatti considera il cielo cielo, nessuno rispetta il digiuno, nessuno stima un pelo Giove, ma tutti a occhi chiusi fanno il conto dei loro possessi. Prima le matrone in stola salivano a piedi nudi sul colle del Campidoglio, con i capelli sciolti, i cuori puri, e supplicavano Giove per l'acqua. E così subito pioveva a catinelle: o allora o mai più: e tutti tornavano bagnati come topi. ora gli dèi hanno i piedi felpati. Poiché non abbiamo religione, i campi sono abbandonati.
-opertis oculis: Lamento analogo si trova nella Bibbia a proposito degli idolatri:"Gli idoli dei popoli sono argento e oro, opera delle mani dell'uomo. Hanno bocca e non parlano; hanno occhi e non vedono; hanno orecchi e non odono; non c'è respiro nella loro bocca. Sia come loro chi li fabbrica e chiunque in essi confida" (Salmi, 135, 15-18).
Ora guardano i telefonini e on vedono altro.
Nell' Edipo re lo spengersi degli oracoli procede parallelamente al declinare della città e il Coro depreca la miscredenza nei confronti dei responsi, in particolare dei vaticini delfici:" Infatti già estirpano/gli antichi vaticini di Laio consunti/e in nessun luogo Apollo/risplende per gli onori/e tramontano gli dei (e[rrei de; ta; qei'a) " ,vv. 907-910.
Sofocle insomma fa dipendere dalla dussevbeia (empietà) la decadenza della vita umana fino alla sterilità delle donne e perfino a quella della terra e degli animali. L'empietà è la noncuranza degli oracoli, l'abbandono dei riti antichi, e più in generale, avverte Isocrate nell'Areopagitico (del 356) sta nello sconvolgimento delle tradizioni antiche:" ejnovmizon ei\nai th;n eujsevbeian...ejn tw''/ mhde;n kinei'n w|n aujtoi'" oiJ provgonoi parevdosan" (30), ritenevano che la devozione stesse nel non cambiare niente di quello che gli antenati avevano loro tramandato. Al tempo di Solone, di Clistene e dell'auge dell'Areopago, sostiene il principe della retorica, gli Ateniesi erano più religiosi, rispettosi, e stavano meglio.
Viceversa Lucrezio con la sua visione razionalistica e materialistica smonta questo tipo di pietas e confuta il " tristis… vetulae vitis sator atque vietae (II, 1168), il rattristato coltivatore della vigna vecchia e vizza, il quale "temporis incusat nomen saeclumque fatigat,/et crepat, antiquum genus ut pietate repletum/perfacile angustis tolerarit finibus aevum,/cum minor esset agri multo modus ante viritim./ Nec tenet omnia paulatim tabescere et ire/ad capulum spatio aetatis defessa vetusto " (vv. 1169-1174), accusa il corso del tempo e insulta la sua età,/e brontola che l'antico genere umano pieno di devozione/sosteneva assai facilmente la vita entro confini ristretti,/sebbene molto minore fosse prima la misura del campo per testa.
E non capisce che tutto a poco a poco si consuma e va verso la tomba, spossato da lungo spazio di tempo. Sono gli esametri conclusivi del secondo libro.
La moderna cultura europea è fondata "non su un modello, ma sul risveglio della problematizzazione, con il ritorno all'origine greca, che permette il risveglio della filosofia e lo sviluppo della scienza: nello stesso tempo questa cultura si fonda su una dialogica (relazione al contempo antagonista e complementare tra religione e fede, da una parte, e ragione e dubbio dall'altra"[3].
Pesaro 11 settembre 2023 giovanni ghiselli ore 10, 49
p. s.
Statistiche del blog
Sempre1400780
Oggi27
Ieri133
Questo mese1556
Il mese scorso5814
Nessun commento:
Posta un commento