Seguono altri interventi e altre portate. Entra Abinna il lapidarius incaricato del monumento funebre di Trimalchione, accompagnato dalla moglie Scintilla. Il marmista reclama la presenza di Fortunata che si era allontanata. Rientrata in pompa magna, la padrona di casa, si avvicina alla nuova ospite e fa sfoggio del suo oro, come il marito:"eo deinde perventum est, ut Fortunata armillas suas crassissimis detraheret lacertis Scintillaeque miranti ostenderet. ultimo etiam periscelides resolvit et reticulum aureum, quem obrussa esse dicebat" (67, 6), poi si giunse al punto che Fortunata faceva scivolare giù dalle braccia grassissime i suoi bracciali e li mostrava a Scintilla in ammirazione. Alla fine si tolse anche i cerchietti delle caviglie e la reticella aurea che diceva essere d'oro alla pova del fuoco.
Sono mosse simili a quelle che abbiamo visto fare al marito il quale però trova da ridire e da competere con la sua signora:"notavit haec Trimalchio iussitque afferri omnia et:"videtis," inquit "mulieris compedes: sic nos barcalae despoliamur. sex pondo et selibram debet habere. et ipse nihilo minus habeo decem pondo armillam ex millesimis Mercurii factam" (67, 7), Trimalchione notò questi maneggi e si fece portare tutto, poi disse:"vedete i lacci della femmina: così noi gonzi ci lasciamo spogliare. Deve averne sei libbre e mezzo. io stesso ho un braccialetto di non meno di dieci libbre fatto con i millesimi di Mercurio. I millesimi spettanti a Mercurio invero se li è tenuti Trimalchione che evidentemente si è identificato con il dio dei guadagni e dei commerci. Quindi il convitator e i suoi ospiti di riguardo assumono uno stile simile a quello attribuito dai film ai grossi gangster tipo Al Capone. Trimalchione si fece pesare il bracciale d'oro, da tre chili e passa, su una bilancia che poi fece girare; Scintilla a sua volta si tolse un medaglione d'oro che chiamava Felicione e due orecchini per mostrarli a Fortunata elogiando il suo signore che glieli aveva comprati. Ma il lapidarius non ne gioisce e, certamente senza saperlo, si collega al tovpo" della donna "idolo maligno" che abbiamo individuato nell'Ippolito di Euripide. "Quid?" inquit Habinnas "excatarissasti me, ut tibi emerem fabam vitream. plane si filiam haberem, auricolas illi praeciderem. mulieres si non essent, omnia pro luto haberemus, nunc hoc est caldum meiere et frigidum potare" (67, 10), Cosa?-fece Abinna- mi hai pelato per farti comprare la fava di vetro. Di sicuro se avessi una figlia le farei mozzare le orecchie. Se le donne non esistessero valuteremmo tutta questa roba come fango, ora questo è pisciare caldo e bere freddo. L'ultima battuta non è chiara; si può dire che è indecentemente volgare e che per spiegarla si potrebbe forse utilizzare il discorso di Steiner a proposito della donna tubo di scarico.
Le due "signore", sauciae[1], toccate da questo colpo, scoppiano a ridere, ubriache, si scambiano baci e confidenze:"dum altera diligentiam matris familiae iactat, altera delicias et indiligentiam viri" (67, 11), mentre l'una sbandiera la premura di madre di famiglia, l'altra tira fuori i ragazzini favoriti e la trascuratezza del marito. Questo è l'eterno confronto delle donne tra la propria serietà e la superficialità dei loro uomini. Segue, in risposta muta ma significativa alle chiacchiere delle comari, una mossa da bordello del lapidarius: infastidito dall'intesa tra le due donne, probabilmente l'amante e la moglie"dumque sic cohaerent, Habinnas furtim consurrexit pedesque Fortunatae correptos super lectum immisit. 'au au!' illa proclamavit aberrante tunica super genua. composita ergo in gremio Scintillae indecentissimam rubore faciem sudario abscondit" (67, 12-13), mentre erano così unite, Abinna si alzò senza farsene accorgere e afferrati i piedi di Fortunata, glieli mise sopra il letto. "Ahi, ahi", gridò quella, mentre la tunica le scivolava sopra le ginocchia. Ricompostasi quindi in grembo a Scintilla, nasconde con un fazzoletto la faccia più che mai oscena per il rossore. L' indecentia, l'oscenità, caratterizza l'aspetto e lo stile di ragazzi, uomini, donne e animali di questo paese guasto: ricordiamo il puer lippus, sordidissimus dentibus e la catellam nigram atque indecenter pinguem di 64, 6. Seguono altre scene indecenti con il servo di Abinna, Massa, che storpia un verso di Virgilio (V, 1) pronunciando lunghe e brevi fuori posto e mescolando all'Eneide versi dell'Atellana al punto che il classicista Encolpio per la prima volta trova sgradevole Virgilio. Tuttavia Abinna lo elogia in tutto, a parte che è circonciso e russa (recuticus est et stertit, 68, 7). Ma interviene Scintilla aggiungendo una funzione di Massa:"agaga est" (69), è il suo ruffiano.
A questo punto interviene Trimalchione con il suo qui sine peccato est vestrum, primus in illum lapidem mittat :"Scintilla, noli zelotypa esse. crede mihi, et vos novimus. sic me salvum habeatis, ut ego solebam ipsumam meam debattuere, ut etiam dominus suspicaretur et ideo me in vilicationem relegavit " (69, 3), Scintilla non essere gelosa. Credimi, conosciamo anche voi. Mi venga un colpo se non ero solito sbattermi proprio la mia padrona, al punto che anche il padrone sospettava e per questo mi confinò in campagna.-zelotypa è un grecismo, traslittera zhlovtupo" , e fa parte del sermo plebeius dei liberti arricchiti.
"Il plurilinguismo della Cena, cioè il multiforme impasto linguistico con cui Petronio rende il parlato popolareggiante di Trimalchione e dei suoi rozzi commensali, distinguendolo dall'eloquio più elegante, ma anche più controllato e meno creativo di un Encolpio o di un Agamennone, rappresenta senza dubbio il più felice raggiungimento del realismo antico…Trimalchione e i suoi ospiti, da Seleuco a Filerote, da Ganimede a Ermerote, parlano una lingua zeppa di volgarismi e solecismi, grecismi e sgrammaticature che trovano conferma nei graffiti di Pompei e in altre fonti più tarde. E non si tratta solo dell'impasto linguistico: è la cultura stessa dei ceti medio-bassi, fatta di aneddoti e pettegolezzi, proverbi e credenze astrologiche, luoghi comuni e buon senso, sono la mentalità, la psicologia, il carattere, le incoerenze, i salti logici e di umore dei singoli che troviamo rispecchiate nei dialoghi tra i commensali"[2]. Indicherò tra poco incoerenze e sgrammaticature.
A proposito di realismo antico Auerbach sostiene che il Satyricon rappresenta la realtà in maniera più ampia e meno stilizzata dei realisti alessandrini, quali Teocrito nelle Siracusane (XV) o Eroda nel Lenone (III). " Petronio, " come un realista moderno, pone la sua ambizione artistica nell'imitare senza stilizzazione un qualsiasi ambiente d'ogni giorno e contemporaneo, e nel far parlare alle persone il loro gergo. Con ciò raggiunge il limite estremo a cui sia arrivato il realismo antico". Quanto egli debba al mimo romano, aggiunge lo studioso di stilistica, "riman fuori dalla nostra indagine". Quindi prosegue:"Se dunque Petronio ci mostra i limiti estremi raggiunti dal realismo antico, si può dalla sua opera anche conoscere quello che tale realismo non poteva o non voleva dare. La cena è un'opera di carattere puramente comico. I personaggi che vi compaiono sono, sia singolarmente che nei legami con l'insieme, mantenuti coscientemente e secondo un criterio unitario nel gradino stilistico più basso, tanto per la lingua quanto per il modo in cui sono visti; a ciò si collega necessariamente il fatto che tutto quello che, psicologicamente o sociologicamente, accenna a sviluppi seri o addirittura tragici, deve essere tenuto lontano, ché altrimenti distruggerebbe lo stile sotto un peso eccessivo. Pensiamo per un momento agli autori realistici del secolo XIX, a Balzac, a Flaubert, a Tolstoj o a Dostoevskij. Il vecchio Grandet[3] o Fëdor Karamazov non sono soltanto caricature come Trimalcione, bensì terribili realtà da prendere sul serio, avvolte in tragici intrichi, tragici perfino essi stessi, benché anche grotteschi. Nella letteratura moderna ogni personaggio, qualunque sia il suo carattere o la sua posizione sociale, ogni avvenimento, sia favoloso, sia di alta politica, sia strettamente casalingo, può venir dall'arte imitativa trattato seriamente, problematicamente e tragicamente. Ma questa è cosa del tutto impossibile nell'antichità. E' vero che si hanno nelle poesie pastorali e amorose alcune forme intermedie, ma nel complesso vige la legge della separazione degli stili…tutta la bassa realtà, tutto quello che è quotidiano, dev'esser rappresentato solo comicamente, senza approfondimento problematico"[4].
Pesaro 11 settembre 2023 ore 18, 58 giovanni ghiselli
p. s.
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[1] Ricordo che saucia appare già nella Medea exul di Ennio e che l'aggettivo è topico per indicare le ferite amorose. Qui dunque è usato con ironia.
[2] M. Bettini, La letteratura latina, 3, p. 186.
[3] Padre di Eugenie Grandet, eponima del romanzo di Balzac ( 1833).
[4] E. Auerbach, Mimesis, pp. 37-38.
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