mercoledì 27 settembre 2023

Ifigenia XXII e XXIII

A. Feuerbach, Iphigenie (1862)
L’ultima cena con
 Esculapia
 
Esculapia non raccolse le ultime parole, anzi le ignorò o finse di ignorarle perché non voleva sentire subito la verità.
Sicché riprese a parlare risalendo alle corse e alle pedalate che avevo dichiarato: “adesso dunque avrai una gran fame. Chiamo il babbo e cominciamo la cena”. Non disse l’ultima ma doveva avere capito che non ce ne sarebbero state altre per noi due insieme.
“Vuoi lavarti le mani?”, aggiunse e se ne andò senza aspettare risposta. Era una donna restìa ad ascoltare. Preferiva parlare cercando sempre di imporsi. Cosa antierotica al massimo.
La madre era già in cucina. Rimasi qualche minuto da solo, senza impazienza. Il babbo era la persona più interessante della famiglia: faceva il maestro elementare  e parlava del nostro lavoro di educatori con entusiasmo e vivo interesse per la formazione mentale dei bambini. Il lavoro dei maestri mi è sempre interessato per via delle mie zie e mi dispiace il fatto che in sette decenni abbondanti di insegnamento non abbia mai avuto occasione di insegnare ai bambini delle elementari. L’unico ordine di scuola che ho frequentato solo da scolaro. Il  bravo maestro dunque entrò per primo nella sala da pranzo e ci salutammo con simpatia. Sentivamo di essere persone dello stesso stampo. Subito dopo fecero il loro ingresso le due nutrici: la madre portava sulle mani, trionfalmente, il vassoio colmo di pastasciutta fumante. La figlia teneva sulle braccia il secondo di carne e contorni. Il pane e le bevande erano già sulla tavola.
Cominciammo a mangiare. Il sughino in effetti era buono: non grasso come usa a Bologna. Osservando e ascoltando il maestro che parlava di scuola e di educazione con volto raggiante pensai che Esculapia si era interessata a me per una certa somiglianza spirituale che avevo con il padre suo.
Quando interrompemmo il nostro discorso per lasciare spazio alle donne che non sembravano interessate a parteciparvi, il dialogo cambiò tono del tutto: che tempo faceva, quant’era buona la pasta, se il formaggio ci stava bene, quanto erano ladri i bottegai, quanto crescevano i prezzi: perfino le patate erano rincarate terribilmente. Mi sembrava di essere passato dal Simposio platonico alla cena di Trimalchione.
A un certo punto però Esculapia mi obbligò a prendere una posizione precisa nei propri confronti davanti al babbo e alla mamma.
“Bene, Giovanni Ghiselli - cominciò solennemente dopo un momento di generale silenzio - dimmi quali sono i tuoi piani per il nostro futuro”
“Temo che non abbiamo un futuro insieme - risposi - siccome non ci sono interessi comuni tra noi: per giunta io voglio darmi completamente allo studio dei classici e all’educazione degli adolescenti”
“E questo dedicarsi tutto alla scuola basterà a riempirle la vita?” intervenne la madre
“Sì, mi terrà occupato ogni pomeriggio feriale e le giornate festive dalla mattina alla sera esigendo tutto il mio tempo. Per diventare un educatore di ottimo formato come suo marito, adesso devo rivendicarmi a me stesso.
La citazione di Seneca, che il maestro conosceva, voleva sottolineare il  significato morale della mia scelta.
Il bravo maestro allora mi domandò: “come mai lei e la mia figliola in tre mesi di frequentazione non avete trovato uno scopo comune? Forse non vi piacete o non vi stimate abbastanza”.
“Suppongo che sia come dice lei - confermai guardandolo in faccia, sicuro che avrebbe capito - I nostri rispettivi interessi sono talmente lontani tra loro che non troviamo argomenti comuni, e questo a lungo andare ci ha allontanati l’uno dall’altro”
“Allora smettete di frequentarvi presto e del tutto - suggerì il padre suo - perché così perdete tempo e vi rendete peggiori a vicenda”
“E’ proprio così, ma di questo voglio parlare più tardi da solo con la vostra figliola se permettete”.
Quindi lasciammo cadere questo argomento e seguitammo a cenare parlando del più e del meno.
 
 
L’Addio a Esculapia

Uscimmo da casa insieme per l’ultima volta. Quando finalmente riebbi sopra la testa la grande apertura del cielo, le dissi che non me la sentivo più di fare l’amore con lei perché mi ero innamorato di una collega con la quale avevo più interessi in comune, più parole da dire e cose da fare.
Dissimulai tacendole il fatto che Ifigenia era più bella, più fresca in tutti i sensi e mi piaceva molto di più.
Esculapia ribatté che sarebbe stata felice se avessi contraccambiato il suo amore. L’aveva sperato perché una volta quando ero prossimo a lei e all’orgasmo, avevo sussurrato “tesoro”.
Quindi si intenerì e versò alcune lacrime.
Probabilmente pensavo a Ifigenia ma non glielo dissi.
“Non te la prendere - cercai di consolarla - non eravamo fatti l’uno per l’altra. Siamo orientati in direzioni diverse”.
“Sarà così Ghisus, ma io volevo il tuo amore perché non sei una canaglia”.
“Credo che il mio bello stia nel fatto che non dò importanza al denaro. Mi basta lo stipendio statale per modesto che sia: non ho mai fatto ripetizioni pagate togliendo tempo alla preparazione delle lezioni belle che devo ai miei studenti della scuola pubblica. Io sono comunista, sono contro il privato”.
“In effetti su questo non mi trovo d’accordo con te”
“Ma questo per me è importante: è un criterio di scelta irrinunciabile. Sono addirittura incapace di una vita privata”.
“Ho capito - concluse - addio comunista caro sebbene gratuito”
La accarezzai e salutai. Me ne andai senza rimorsi né rimpianti.
 
Pensavo ai miei studenti quattordicenni, a Ifigenia venticinquenne, giovani ancora educabili, recuperabili a una vita bella e morale. Dovevo educare anche me stesso a questo: eliminare i residui di meschinità lazzarona che mi rimanevano addosso dagli anni scorsi, passati non tutti santamente come sai bene lettore  che mi segui da tempo. I giovani che si affidavano a me sarebbero diventati creature, opere mie e dovevo farne dei capolavori. Ne avrei potenziato le qualità naturali, li avrei condotti ad amare la vita. Questa è l’etica vera senza la quale non può esserci felicità né pace.
Era un momento di lucidità che verrà offuscata diverse volte nel tempo a venire, come vedrai, caro, affezionato lettore.
 
Pesaro 27 settembre 2023, ore 11, 11 
giovanni ghiselli  

p. s.
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