Nel Satyricon al quale torniamo dunque, il poeta Eumolpo, molto più avanti, afferma la medesima necessità di una cultura letteraria assai ampia e profonda per il raggiungimento di risultati significativi :"ceterum neque generosior spiritus vanitatem amat, neque concipere aut edere partum mens potest nisi ingenti flumine litterarum inundata" (Satyricon, 118, 3), del resto uno spirito di razza non ama il vuoto, né una mente può concepire o produrre un'opera se non è inondata dall'ampio fiume della letteratura.
La polemica verte contro le velleità dei dilettanti che improvvisano. E' questo un discorso specifico sulla poesia che richiede comunque grande disciplina: i modelli sono Omero, i lirici, Virgilio e la curiosa felicitas (118, 5) l'accurata fecondità di Orazio. Chiunque vorrà comporre un'opera impegnativa come le guerre civili "nisi plenus litteris, sub onere labetur " (118, 6), se non sarà colmo di cultura letteraria, cadrà sotto il peso.
I gusti di Petronio "in letteratura sia latina che greca sono classici: la sua critica a Lucano e al Bellum civile stesso indicano che è un ammiratore ortodosso della pratica poetica di Virgilio"[1].
Eumolpo in questo capitolo in effetti indica come modelli Omero e i lirici Virgilio e Orazio e prescrive:"curandum est ne sententiae emineant extra corpus orationis expressae" (118, 5), bisogna evitare che le sentenze risaltino staccate dall'insieme della composizione.
La frase staccata dall'insieme caratterizza lo stile della decadenza: poiché" la vita borghese è micrologia, visione analitica e riduttiva nella quale l'esistenza non fa più balenare un senso globale che la illumini e le dia valore… Come per Nietzsche e Musil–così per Svevo- la vita non dimora più nella totalità, un'anarchia dei singoli atomi corrode le grandi unità del discorso e dell'esistenza, ogni particolare acquista autonomia a spese del tutto"[2].
Insomma "L'arte deve soprattutto e innanzitutto abbellire la vita, cioè rendere noi stessi sopportabili, e se è possibile graditi agli altri: con questo compito davanti agli occhi, essa ci modera e tiene a freno, crea forme di relazione, lega i non educati a leggi di convenienza, di pulizia, di cortesia, del parlare e tacere a tempo giusto. Poi l'arte deve nascondere o trasformare nell'interpretazione tutto ciò che è brutto…e far brillare ciò che è significativo di fra ciò che è inevitabilmente o invincibilmente brutto"[3].
Ora però torniamo alla fase iniziale del romanzo e al maestro di retorica Agamennone che procede nel biasimo nei confronti dei genitori i quali, resi troppo frettolosi dall'ambitio, non impongono né lasciano agli studi dei figli i lunghi tempi necessari alla formazione di una buona cultura e di buoni oratori:"primum enim sic ut omnia, spes quoque suas ambitioni donant. deinde cum ad vota properant, cruda adhuc studia in forum impellunt et eloquentiam, qua nihil esse maius confitentur, pueris induunt adhuc nascentibus. quod si paterentur laborum gradus fieri, ut sapientiae praeceptis animos componerent, ut verba atroci stilo effoderent, ut quod vellent imitari diu audirent, <ut persuaderent> sibi nihil esse magnificum, quod pueris placeret: iam illa grandis oratio haberet maiestatis suae pondus" (4, 2- 3), per prima cosa infatti sacrificano all'ambizione, come ogni altra cosa, anche le proprie speranze. Poi, siccome si affrettano verso i desideri, spingono nel foro talenti ancora acerbi e fanno indossare l'eloquenza a ragazzini nemmeno nati del tutto l'eloquenza di cui pure riconoscono che non c'è nulla di più grande. Se lasciassero, dico, che si scalassero i gradini della fatica, in modo da ordinare le menti con le regole della sapienza, in modo da scavare le parole con penna inesorabile, in modo da ascoltare a lungo quello che vogliono imitare, in modo da convincersi che niente di ciò che piace ai ragazzi è magnifico: allora quella grande oratoria avrebbe il peso della sua maestà.
Insomma il maestro sudato ripete l'antica regola esiodea: davanti al valore gli dèi hanno posto il sudore[4]. La stessa gnwvmh si trova nella favola di Eracle al bivio che conosciamo. La troviamo ancora nell'Operetta morale di Leopardi Il Parini ovvero della gloria :"quando tu con sudori e con disagi incredibili, sarai pure alla fine riuscito a produrre un'opera egregia e perfetta".
Invece i giovani non sono più sottoposti a prove severe[5] che richiederebbero grande disciplina:"nunc pueri in scholis ludunt, iuvenes ridentur in foro, et quod utroque turpius est, quod quisque<puer> perpĕram didicit, in senectute confiteri non vult " (4, 4), ora i ragazzi nelle scuole giocano, da giovani fanno ridere nel foro, e cosa che è più vergognosa di entrambe queste, quello che ciascuno da ragazzo ha imparato male, in vecchiaia non vuole ammetterlo.
Commenterei quel ludunt dicendo che finché giocano non c'è nulla di male, anzi il gioco tante volte si addice alla paideia:"lusus hic sit "[6] sia questo un gioco consiglia Quintiliano[7] a proposito dei primi passi dell'educazione. Il gioco si pratichi per lo meno nell'intervallo:"Danda est tamen omnibus aliqua remissio"[8], bisogna dare comunque a tutti un poco di riposo. E, poco più avanti:"Nec me offenderit lusus in pueris; est et hoc signum alacritatis…Sunt etiam nonnulli acuendis puerorum ingeniis non inutiles lusus, cum positis invicem cuiusque generis quaestiunculis aemulantur. Mores quoque se inter ludendum simplicius detegunt " (Institutio oratoria, I, 3, 10-12), né mi dispiacerebbe il gioco nei ragazzi; è anche questo un segno di vivacità…Ci sono anche alcuni giochi non inutili ad acuire gli ingegni, quando, postisi vicendevolmente dei piccoli quesiti di ogni genere, fanno a gara. Anche i caratteri si scoprono in maniera più diretta nel gioco.
Tuttavia bisogna evitare che i ragazzi si abituino a non prendere niente sul serio, altrimenti c'è il rischio che trovino irrisori o insignificanti i sentimenti, le idee, i princìpi o addirittura la stessa vita. Agamennone conclude la sua arringa con un esempio di improvvisazione, del resto elaborata, in coliambi. In questa ribadisce la necessità di una disciplina austera e di impiegare come esempi i maestri sommi, ossia Omero, Demostene e Cicerone. Cicerone è indicato come modello non certo in quanto oratore accusato di asianesimo: Quintiliano ci fa sapere che alcuni contemporanei lo accusavano di essere "tumidiorem et Asianum et redundantem et in repetitionibus nimium " (Inst. XII, 10, 12), troppo enfatico e Asiano e ridondante ed eccessivo nelle ripetizioni. Il Cicerone esemplare "sembra quello espresso nell'Orator e nel De optimo genere oratorum, che supera la controversia asianico-atticista e preferisce la teoria dello stile piano, elevato e intermedio, ciascuno adatto a tipi diversi di argomenti o per produrre effetti diversi"[9]. Anche Petronio, vedremo, usa diversi sermones, l'urbanus o il plebeius, variando lo stile a seconda di chi pronuncia il discorso.
Pesaro 8 settembre 2023 ore 17, 40 giovanni ghiselli
p. s.
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[1] J. P. Sullivan, op. cit., p. 81.
[2] C. Magris, L'anello di Clarisse , p. 191 e p. 195.
[3] F. Nietzsche, Umano troppo umano, II, p. 64.
[4] Opere, 289.
[5] Si pensi, volendo attualizzare, alla progressiva facilizzazione dell'esame di maturità in questi ultimi cinquant'anni.
[6] Inst. , I, 1, 20.
[7] Maestro di retorica, tenne la prima cattedra statale di eloquenza per volontà di Vespasiano. Visse fra il 35 e il 97 ca d. C. L' Institutio oratoria in dodici libri uscì nel 96 d. C.
[8] Quintiliano Institutio oratoria, I, 3, 8.
[9] J. P. Sullivan, op. cit., p. 159.
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