Percorso amoroso XI, Satyricon 4. La disciplina.
Quindi è il maestro di retorica Agamennone che parla, da esperto, dello stato, non buono, della scuola. Egli è uno che ha sudato nella scuola (ipse in schola sudaverat, 4, 1). La colpa della decadenza secondo lui è degli allievi e dei loro genitori, non dei maestri qui necesse habent cum insanientibus furere (3, 2) , i quali sono costretti a delirare con i pazzi e, per avere uditori, devono dire quanto i ragazzi possono approvare comportandosi "sicut ficti adulatores cum cenas divitum captant, nihil prius meditantur quam id quod putant gratissimum auditoribus fore: nec enim aliter impetrabunt quod petunt, nisi quasdam insidias auribus fecerint"(3, 3), come i parassiti adulatori delle commedie, quando danno la caccia alle cene dei ricchi, niente escogitano prima di quanto ritengono sarà graditissimo agli ascoltatori: né infatti otterranno ciò che agognano in altro modo se non avranno teso qualche trabochetto alle orecchie.
Quindi il maestro di eloquenza deve fare come il pescatore se vuole catturare l'attenzione dei giovani:"sic eloquentiae magister, nisi tamquam piscator eam imposuerit hamis escam, quam scierit appetituros esse pisciculos, sine spe praedae morabitur in scopulo" (3, 4), se, come un pescatore non avrà messo sugli ami l'esca di cui sappia che i pesciolini avranno appetito si attarderà sullo scoglio senza speranza di preda.
Viene in mente l'immagine di Musil:"viveva con la disperata ostinazione di un pescatore che getta le sue reti in un fiume asciutto"[1].
Anche i genitori sono meritevoli di rimproveri di un maestro abituato a "insudare molto nelle cose[2]":"parentes obiurgatione digni sunt, qui nolunt liberos suos severa lege proficere" (4, 1) poiché non vogliono che i loro figli migliorino con una dura disciplina.
Simile rimprovero ai genitori lo rivolge Messalla nel Dialogus de oratoribus [3] di Tacito:"Quis enim ignorat et eloquentiam et ceteras artis descivisse ab illa vetere gloria non inopia hominum, sed desidia iuventutis et neglegentia parentum et inscientia praecipientium et oblivione moris antiqui?" (XXVIII, 2, 2), chi non sa infatti che l'eloquenza e le altre arti sono decadute da quella gloria antica non per carestia di uomini, ma per l'infingardaggine della gioventù e la noncuranza dei genitori e l'oblio del costume antico?
L’ozio, vizio seducente
La desidia , la pigrizia, l’ ozio di chi sta seduto a lungo (desideo) è uno dei principali vizi umani già denunciati dalla Fedra di Euripide come "diletto . 384 cattivo" ( scolh; terpno;n kakovn, Ippolito , vv); ebbene lo stesso Tacito nell'Agricola (del 98) segnala la pericolosità dell'inerzia per l'ingegno e gli studi in quanto essa crea l'assuefazione e la dipendenza :" ut corpora nostra lente augescunt, cito extinguuntur, sic ingenia studiaque oppresseris facilius quam revocaveris: subit quippe etiam ipsius inertiae dulcedo, et invisa primo desidia postremo amatur " (3, 1), come i nostri corpi lentamente crescono, in fretta si estinguono, così le attività dell'ingegno si possono più facilmente schiacciare che risvegliare: infatti si insinua anche il piacere dell'inerzia stessa e l'inattività dapprima odiosa finisce col farsi amare.
Excursus sulla disciplina
Del buon costume antico una delle colonne, tanto nell'esercito quanto a scuola, era la severa disciplina, tant'è vero che Messalla premette questo argomento:"prius de severitate ac disciplina maiorum circa educandos formandosque liberos pauca praedixero" (Tacito, Dialogus de oratoribus, XVIII, 2, 2) , dirò prima poche parole sulla severità e la disciplina dei nostri antenati riguardo l'istruzione e l'istruzione dei figli.
Per quanto riguarda la disciplina militare è emblematico l'episodio di Tito Manlio Torquato. Questo console durante la guerra contro i Latini (340-338 a. C.) condannò a morte il figlio che aveva osato combattere contro il suo ordine, di capo e di padre, dopo averlo accusato in questo modo:" tu, T. Manli, neque imperium consulare neque maiestatem patriam veritus, adversus edictum nostrum extra ordinem in hostem pugnasti, et, quantum in te fuit, disciplinam militarem, qua stetit ad hanc diem Romana res soluisti " (Tito Livio, VIII, 7) tu, Tito Manlio, senza riguardo per il comando dei consoli e per l'autorità paterna, hai combattuto il nemico contro le nostre disposizioni, fuori dallo schieramento, e, per quanto è dipeso da te, hai dissolto la disciplina militare, sulla quale sino ad ora si è fondata la potenza romana.
Con questa pena capitale il console volle dare un esempio deterrente per chi avesse pensato di trasgredire:"triste exemplum sed in posterum salubre iuventuti erimus", saremo un esempio doloroso ma salutare per la gioventù in futuro.
Su un piatto della bilancia il console mette la caritas per il figlio e pure l'ammirazione per la sua virtus del ragazzo che però è stato ingannato da una vana imagine decŏris (vana immagine di onore); sull'altro ci sono i consulum imperia , gli ordini del console e la disciplina militare. Il conto finale è l'ordine secco dell'esecuzione capitale:"I, lictor, deliga ad palum " (I, 8, 20), vai littore, legalo al palo.
G. De Sanctis commenta questa guerra notando che la forza vincente dei Romani era "la consuetudine di sfruttare nella lotta per l'esistenza tutte le forze fino al limite estremo senza alcuna compassione di sé"[4]. A me T. M. Torquato fa venire in mente Creonte dell'Antigone in particolare quando dice :"Non c'è male più grande dell'anarchia (ajnarciva" de; mei'zon oujk e[stin kakovn) ./Essa manda in rovina le città, questa ribalta/le famiglie, questa nella battaglia spezza/ le schiere dell'esercito in fuga; invece le molte vite/di quelli che vincono, le salva la disciplina (sw/vzei ta; polla; swvmaq j hJ peiqarciva)", vv. 672-675 .
La bellezza della disciplina militare viene rimpianta anche dall'eroe Germanico durante la rivolta delle sue legioni dopo la morte di Augusto (14 d. C.): parlando ai soldati che poi gli si sottomettono, domanda loro dove fossero finiti la modestia militaris, ubi veteris disciplinae decus (Annales , I, 35) la subordinazione militare, dove lo splendore dell'antica disciplina.
Così dovrebbe essere anche nella scuola e in casa secondo i tradizionalisti. Noi studenti laureandi nel 1968 contestavamo ogni forma di disciplina, esagerando. Ora trovo che non sia mai esagerato l’uso della critica contro chi pretende la cieca subordinazione mentale.
Sentiamo ancora la polemica di Messala di sapore catoniano contro la cultura moderna [5]:"Nam pridem suus cuique filius, ex casta parente natus, non in cellula emptae nutricis, sed gremio ac sinu matris educabatur, cuius praecipua laus erat tueri domum et inservire liberis " (Tacito, Dialogus, XXVIII, 4, 2), infatti nei tempi antichi a ciascuno il figlio nato da casta madre veniva allevato non nella cella di una nutrice prezzolata ma nel grembo e nel seno della madre la cui lode particolare era custodire la casa e prestare le proprie cure ai figli.
L'ottima maestra iniziale dunque deve essere la madre e la prima educazione sana si succhia con il latte materno. Questa affermazione potrebbe entrare benissimo anche nel riquadro della buona moglie. In certi momenti poteva fare le veci della madre una parente anziana (maior aliqua natu propinqua ) che doveva essere comunque probatis spectatisque moribus, di eccellenti e specchiati costumi e davanti a lei nessuno poteva dire parole turpi o fare atti sconvenienti. Tale donna era prima di tutte la madre, come Cornelia per i Gracchi, Aurelia per Cesare, Azia per Augusto. Questa disciplina severa (quae disciplina ac severitas ) conservava la integrità della buona natura, la motivava alle arti liberali e a dedicarsi completamente allo studio del ramo prescelto, fosse questo l'arte militare, il diritto o l'eloquenza.
E' un elogio della disciplina come mezzo per temprare e rendere ottime le nature buone:" Indizi di una natura aristocratica: non degradare mai i propri doveri, pensando che siano i doveri di tutti; non voler rinunciare mai alla propria responsabilità e non volere dividerla con nessuno"[6].
Ma, lamenta Messalla ora è tutto cambiato innanzitutto poiché i genitori non si occupano dei figli e l'educazione avviene per delega:" At nunc natus infans delegatur Graeculae alicui ancillae" (Tacito, Dialogus, XXIX, 1, 1)), ora il bambino appena nato si affida a un'ancella greca, cui si aggiungono un paio di schiavi dei peggiori.
Viene fuori qui l'antipatia dei tradizionalisti italici per la razza dei graeculi, l'antipatia che forse spinse Virgilio a cercare capostipiti troiani piuttosto che greci per i Romani di alto lignaggio.
Ora la delegata è la televisione. Del resto gli stessi genitori non sono migliori dei loro servi nella decadenza :"Quin etiam ipsi parentes non probitati neque modestiae parvulos adsuefaciunt, sed lasciviae et dicacitati, per quae paulatim impudentia inrēpit et sui alienique contemptus " che anzi gli stessi genitori non abituano i fanciulli all'onestà e alla moderazione ma alla sfrenatezza e alla maldicenza attraverso cui a poco a poco si insinuano l'impudenza e il disprezzo di sé e degli altri. Si ricorderà l'alta considerazione del pudore nelle Nuvole dove il Discorso Giusto (Lovgo" Divkaio" ) racconta che al tempo dell'antica educazione la moderazione (swfrosuvnh, v. 962) era tenuta in gran conto, mentre il ragazzo educato dai cattivi maestri viceversa, oltre essere impudente, è negatico e controversico (ejxarnhtiko;"- kajntilogikov" , vv. 1172-1173), ossia lui pure incline alla dicacitas, alla maldicenza.
Quindi Messalla biasima i vizi particolari di Roma propria et peculiaria huius urbis vitia , che sono quasi insiti nel DNA dei Romani si direbbe ora:"paene in utero matris concipi mihi videntur, histrionalis favor et gladiatorum equorumque studia" (Dialogus, 29), sembrano quasi concepiti nello stesso grembo materno, la simpatia per gli istrioni, la passione per i gladiatori e i cavalli. Nell'animo dei ragazzi occupatus et obsessus, occupato e bloccato da tali studia non rimane spazio per l'interesse nei confronti delle arti liberali. Perfino i maestri si adeguano ai gusti della plebaglia:"colligunt enim discipulos non severitate disciplinae nec ingenii experimento, sed ambitione salutationum et inlecĕbris adulationis ", infatti raccolgono i discepoli non con la severità della disciplina né con la prova dell'ingegno, ma con la compiacenza interessata degli omaggi e con le lusinghe dell'adulazione. La scuola, continua Messalla ( Dialogus, 30), non fa più studiare gli autori né l'antichità, né la storia. Si cercano solo le lezioni dei retori. Anche negli ultimi tempi si leggono poco gli auctores mentre si dà grande importanza al didattichese, alla retorica delle "conoscenze" e "competenze" vuote o semivuote di contenuti, e i pochi testi presi in considerazione vengono commentati soltanto con il mostrare le figure retoriche. Vesciche piene d'aria.
La disciplina di una volta esigeva che gli oratori possedessero un'ottima cultura generale: Cicerone, che Messalla indica come un modello, nel Brutus dopo avere fatto la storia dell'eloquenza indica la complessità della sua preparazione che spaziava dal diritto civile, alla filosofia, alla geometria, alla musica, alla grammatica, alla logica, all'etica, alla fisica, non senza le arti liberali. Dunque:"ex multa eruditione et plurimis artibus et omnium rerum scientia exundat et exuberat illa admirabilis eloquentia " (30), da una grande istruzione e moltissime discipline e da una cultura completa trabocca e fluisce quella meravigliosa eloquenza.
Per la necessità della disciplina e contro la mollezza nella scuola e nell'educazione in generale si schiera anche Quintiliano:" Mollis illa educatio, quam indulgentiam vocamus, nervos omnis mentis et corporis frangit. Quid non adultus concupiscit, qui in purpuris repit? Nondum prima verba exprimit, iam cocum intellegit, iam conchylium poscit " (Inst., I, 2, 6), quella molle educazione che chiamiamo indulgenza, spezza tutte le forze della mente e del corpo. Che cosa non desidera da adulto quello che si trascina nella porpora? Ancora non pronuncia le prime parole, già capisce il cuoco, già esige le ostriche.-mollis educatio: sembra ricordare il già diverse volte citato: filosofou'men a[neu malakiva" di Tucidide ( II, 40, 1). omnis=omnes . Educazione severa non significa botte ai bambini:"Caedi vero discentes…minime velim. Primum quia deforme atque servile est et certe, (quod convenit, si aetatem mutes), iniuria est (Inst., I, 8, 13), non vorrei che gli scolari venissero battuti. Prima di tutto poiché è cosa brutta e da schiavi e certamente, (cosa che è adatta se cambi l'età) è un'offesa. I bambini devono essere trattati con riguardo:"in aetatem infirmam et iniuriae obnoxiam nemini debet nimium licere" (I, 8, 17), a nessuno deve essere consentito troppo nei riguardi di un'età debole ed esposta alle offese. Lo stesso, e ancora di più in Giovenale:"Maxima debetur puero reverentia" (XIV, 47), massimo rispetto si deve al ragazzo.
Prima di tornare al Satyricon, concludo questo excursus sulla disciplina notando con dispiacere che l’antipatia per la classicità greco-latina sta tornando in auge. Giorgia Meloni ha detto che il vero liceo classico è l’Istituto agrario. Voglio vedere se manderà sua figlia a studiare in questo tipo di scuola.
Nel quotidiano “la Repubblica” di oggi, leggo questo titolo a pagina 37
Perché i classici
Ci fanno tanta paura.
L’articolo sottostante firmato da Marco Politi dà notizia di un professore di Storia antica all’Università di Princeton. Questo docente, tal Padilla originario della Repubblica Domenicana “individua nei classici stessi, nella loro cultura e storia, la matrice della cultura schiavista e suprematista bianca, sessista e colonialista. Da quel momento inizia a chiedere l’abolizione delle discipline classiche, e la fine dell’insegnamento di latino e greco”.
Chi legge i miei post e segue le mie conferenza sa che nella letteratura greca e in quella latina c’è dell’ altro e ben altro.
I classici secondo me fanno paura a chi non vuole sottomettersi alla disciplina per studiarli e a chi non ha l’intelligenza per capirli, né la sensibilità per amarli. Costoro restano dei maleducati bene che vada.
Pesaro 7 settembre 2023 ore 21, 02. giovanni ghiselli
p. s.
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[1] L'uomo senza qualità, p.247.
[2] Cfr. Machiavelli, Il principe, 25.
[3] Ambientato tra il 75 e il 77 e redatto, probabilmente, un quarto di secolo più tardi.
[4]Storia Dei Romani , vol II, p. 261.
[5] Ricorda quella del Discorso Giusto delle Nuvole di Aristofane contro la nuova educazione propugnata dal Discorso Ingiusto.
[6]Nietzsche, Di là dal bene e dal male , p.202.
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