domenica 17 settembre 2023

Apuleio terza parte Vita e opere più o meno autobiografiche di Apuleio.

 

 Visse tra il 125 e il 170. Nasce a Madaura (Numidia-Getulia, Algeria), nell’Africa proconsolare romana la cui capitale era Cartagine.

Nei Florĭda (IX) Apuleio si vanta del fatto di non avere abilità manuale come aveva Ippia di Elide, ma una pluralità di conoscenze che non hanno bisogno di applicazione materiale. Questo mi è congeniale.

Cfr la  scientia desultoria, l’acrobatica scienza, del primo capitolo del romanzo. Apuleio sa scrivere poesie liriche, commedie, tragedie, satire, enigmi, orazioni, dialoghi, sia in greco sia in latino.

 

I Florĭda sono un’antologia di 23 passi di conferenze, brani oratòri. L’ambientazione è africana. Ci sono loci communes utili a improvvisare conferenze.

Nel De inventione  il giovane Cicerone aveva definito i loci communes: "argumenta quae transferri in multas causas possunt" (2, 48), argomenti che si possono utilizzare per molte cause. Sono strumenti del parlare e dello scrivere. Dall’inventio parte il lavoro dell’oratore. Seguono dispositio, elocutio, memoria, actio. Si tratta di trovare l’argomento, disporlo in diversi capitoli, metterlo in forma elegante e persuasiva, imparare il testo a memoria, rercitarlo espressivamente. Bisogna colpire la sfera emotiva e quella intellettuale del lettore. Chi prepara un discorso, e ne so qualcosa, non può trascurare nessuno di questi punti. Cfr. la Retorica di Aristotele e l’Institutio oratoria di Quintiliano.

 

 

Queste conferenza Risalgono alla diarchia di Marco Aurelio e Lucio Vero (161-169). Apuleio è un seguace della nuova sofistica ma si attribuisce la qualifica di neoplatonico. E’ un seguace del platonismo medio[1] che contamina temi accademici e peripatetici.

I nuovi sofisti greci erano forbiti conferenzieri che viaggiavano per le terre dell’impero. I più noti sono Dione (Crisostomo) di Prusa (40-115), Erode Attico (101-177), Elio Aristìde (120-190), discepolo di Erode Attico che fu maestro di Marco Aurelio. Predicavano l’esemplarità del passato ed erano in sintonia con il potere romano dal quale ricevono onori e privilegi. Nel 144 Elio Aristìde pronunciò un discorso in lode di Roma.

Cfr. L’asino d’oro 11, 17  quando i fedeli entrano nel tempio e i pastŏphori (pastov~ è  il reliquario) dissero parole di augurio al sommo imperatore, al senato, ai cavalieri, all’intero popolo romano . Il rito non ha niente di eversivo dunque.

 

La lingua dei retori latini è connotata dall’arcaismo come quella dei poeti. L’Africa diventa una delle regioni più attive dell’impero. Sono africani Frontone, capofila del gusto arcaizzante, Apuleio, Tertulliano, Minucio Felice. Alla morte di Comodo, la successione toccherà a Settimio Severo (193-211) un africano di Leptis Magna. Dilaga l’irrazionale.

 

Apuleio si vanta di coltivare molti generi (XX).

Nel VI discorso parla dei Ginnosofisti l’entità più ammirevole dell’India. Non fanno altro che coltivare la sapienza sapientiam percŏlunt tam magistri senes quam discipuli iuniores. Odiano l’ozio e il torpore dell’animo torporem animi et otium odērunt.

 

Cfr l’etimologia di sistro in De Iside et Osiride di Plutarco.

To; sei`stron o{ti seivesqai dei` ta;; o[nta kai; mhdevpote pauvesqai fora`~ (De Iside, 376D), il sistro perché le cose che sono vanno scosse e non devono mai cessare dal moto.

 

 

I maestri non danno da mangiare ai giovani se non hanno fatto qualche cosa di buono o non hanno appreso niente di buono.

Nel X Apuleio dice che l’Amore è una di quelle potenze intermedie che non si vedono ma si sentono.

Il XVII è un discorso tenuto a Cartagine: la città è bella ma quello che conta è convenientium ratio et dicentis oratio, l’attenzione dei convenuti e l’orazione dell’oratore.

Apuleio conosceva bene il greco e il latino: nel De Magīa l’autore ricorda che i suoi stessi nemici dcono di lui nequāquam Grecae linguae imperītum (87), per niente inesperto di greco.

 

 

De Magīa. Processo tenutosi nel 158 a Sabrăta a 50 km. da Oea (Tripoli).

Il genere autobiografico a scopo educativo era nelle corde della seconda sofistica: il saggio vuole ammaestrare il prossimo.

Apuleio era accusato perfino di essere bello. Accusamus apud te philosophum formosum et tam Graece quam Latine-pro nefas! -disertissimum (IV).

Guarda un po’  quale delitto!

 Apuleio risponde con i versi con i quali Paride invita Ettore a non spregiare I doni amabili dell’aurea Afrodite: “dw`r j ejrata; crusevh~

 jAfrodivth~ (Iliade, III, 64). Del resto anche Pitagora era bello e pure Zenone di Elea. Quanto ai versi erotici, Apuleio (XI) risponde con Catullo: “Nam castum esse decet pium poetam;/ipsum vericulos nihil necesse est “(16, 5-6).

Se richiesto, presenterò anche il lepidus libellus di Catullo.

Lo specchio riflette la persona con precisione. Gli uomini di aspetto passabile si guardano allo specchio e i lasciano ritrarre. Non lo fanno i deformi come Agesilao. Demostene ripeteva le sue orazioni davanti allo specchio. La povertà non è un disonore. Gli dèi sono superiori agli uomini perché non hanno bisogno di nulla. Antistene in Diogene Laerzio: “qew`n me;n i[dion ei\nai mhdeno;~ dei`sqai. Altrettanto leggiamo nell’Eracle di Euripide 1345-1346.

Sono seminumida e semigetulo come Ciro fu semimedo e semipersiano. Comunque bisogna considerare non dove è nato uno, ma come è costumato. Mago non è un’offesa. Presso i Persiani il mago era come il sacerdote da noi. La magia buona è gradita agli dèi. Anche i filosofi che scrutano la Provvidenza, come Epimenide, Orfeo, Empedocle, lo stesso Platone, venivano accusati di magia; quelli che cercano l’ajrchv invece, Anassagora, Democrito, Epicuro, sono accusati di ateismo.

L’accusa relativa ai pesci[2]:  Qui pisces quaerit, magus est?.

 Tra dei e uomini ci sono divinità intermedie che governano i miracoli della magia (43). Pudentilla aveva bisogno di un marito, ma Apuleio, peregrinationis cupiens, desideroso di viaggiare e di imparare, schivava l’ostacolo del matrimonio: “impedimentum matrimoni recusaveram” (73). La magia buona ha della forza, ma più forte è il destino: Fatum  rei cuiusque veluti violentissimus torrens neque retineri potest neque impelli (84). Sposa dunque Pudentilla perché era destino ma senza mirare al denaro di lei.

 

Il terzo coro del Thyestes  di Senecasi chiude ribadendo il topos con altre parole e applicandolo ai regnanti:"Omne sub regno graviore regnum est;/quem dies vidit veniens superbum,/hunc dies vidit fugiens iacentem./Nemo confidat nimium secundis,/nemo desperet meliora lapsis:/miscet haec illis, prohibetque Clotho/stare fortunam; rotat omne fatum./Nemo tam Divos habuit faventes,/crastinum ut posset sibi polliceri:/res Deus nostras celeri citatas/turbine versat" (vv. 612-622), ogni regno si trova sotto un regno più potente; quello che il giorno spuntando ha visto arrogante, questo il giorno al tramonto lo ha visto steso a terra. Nessuno si fidi troppo dei successi, nessuno disperi nel meglio di quanto è caduto: mescola il bene e il male Cloto e non permette alla sorte di stare ferma: fa girare ogni fato. Nessuno ha avuto gli dèi così favorevoli, da potersi promettere il domani: Dio fa girare le nostre vicende velocizzate da un rapido turbine.

 

Pudentilla aveva due figli Ponziano e Pudente, e aveva 40 anni, non 60.

Apuleio non aveva motivo di lucro: per lui la ricchezza è la concordia e la pienezza dell’amore coniugale. Apuleio è un  philosophus spernens dotīs (92). Rufino, il suocero di Ponziano, voleva tutto, ma quasi caeca bestia in cassum hiavit (97), rimase inutilmente a gola aperta.

Morto Ponziano, la vedova di costui si muove come una catapulta verso il letto di Pudente che si lascia abbindolare. Lo zio paterno di Pudente, Emiliano, e il suocero di Ponziano, Rufino sono compari. Pudente viene diseducato dallo zio Emiliano. Dimentica perfino il greco e il latino e parla punico. Pudentilla, spinta da Apuleio del tutto disinteressato al denaro, ha lasciato Pudente come erede, il che estirpa la radice del processo: l’odioso sospetto di un’eredità bramata ed estorta (101).

Nell’ultimo capitolo (De Magia, 103) Apuleio ripete le accuse e le controbatte con due parole ciascuna

Dentes splendĭdas (rendi brillanti i denti): ignosce munditias, perdonami la pulizia

Specula inspicis-debet philosophus

Versus facis-licet fieri

Piscis explōras-Aristoteles docet.

Lignum consĕcras (uno scheletro di legno che significava Mercurio)-Plato suadet

Uxorem ducis-leges iubent

Prior nata ista est-solet fieri

Lucrum sectatus es-testamentum lege.

Il testamento di Pudentilla, ripeto, che dietro suggerimento dello sposo, lo stesso Apuleio del tutto disinteressato al denaro, aveva spinto la moglie a lasciare erede un figlio avuto dal matrimonio precedente.

Il modello in questo può essere Socrate: nei Memorabili  di Senofonte il maestro  si difende con queste parole dall'accusa, mossagli da Antifonte sofista, di essere un pezzente: “mi sembra Antifonte, che tu creda che la felicità sia lusso e la possibilità di spendere molto; io invece credo che sia tipico del divino non avere bisogno di niente (ejgw; de; nomivzw to; me;n mhdeno;~ devesqai qei'on ei\nai) e l’avere bisogno di niente è la condizione più vicina al divino"(I, 6, 10).

Similmente nel De tranquillitate animi di Seneca: “Respice agedum mundum: nudos videbis deos, omnia dantes, nihil habentes” (8, 5), avanti, guarda l’universo: nudi vedrai gli dèi che tutto danno e nulla possiedono. 

 

 

  Lo stile di Apuleio è calcolato per piacere all’orecchio. Ci sono arcaismi, espressioni vernacolari, vecchie parole riesumate, nuove parole coniate. La sintassi non è strettamente classica ma nemmeno dirompente.

Filippo Beroaldo il Vecchio (1453-1505) erudito di Bologna dove insegnò poetica e retorica, scrisse Commentarii su Apuleio.

 

Pesaro 17 settembre 2023 ore 10, 15

 

p. s.

Questa mattina mi hanno svegliato finissimi sistri d’argento scossi freneticamente non dalle cavallette ma dalla schiera delle mie donne, consanguinèe, amanti, amiche. Mi sono alzato e ho gridato: “questi sono tutti squilli annunciatori di gloria e di gioia. Voglia di fare, voglia di fare!”.

Qualche cosa di non volgare ho già fatto. Procederò

 

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[1] Il neoplatonismo è quello di Plotino che nasce in Egitto nel 205 e muore nel 270.

[2] Metamorfosi I, 25 c’è l’edile che fa schiacciare i pesci. Pitagora salvò dei pesci. Cfr. Schopenhauer con Luca 5.

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