|
A. Feuerbach, Iphigenie (1862) |
La mattina seguente, il 30
novembre, mi alzai ancora assonnato. Aperta la finestra però, vidi confortevoli
segni della terra e del cielo: la grande nevicata era finita e la neve si
liquefaceva permettendo il transitare delle donne e degli uomini da casa al
lavoro con qualsiasi mezzo. Anche il cielo si stava schiarendo: tra le nuvole
che andavano diradandosi si vedevano alcuni pezzi di azzurro lucido. Questo,
aiutato da un vento non freddo, apriva la strada ai cavalli del sole che,
usciti dal mare Adriatico, procedevano
risalendo dalla parte dove di mattina il cielo è più vivo. Una nube nera ma
squarciata nel mezzo e sbrindellata sui fianchi non poteva nascondere
l’immagine luminosa, divinamente compatta che saliva rotonda su per il cielo
con i raggi ancora irrorati dalla spuma marina, portando conforto, con
l’augurio di un dì più sereno, a me e agli altri mortali oppressi dal buio
inquieto del lungo pomeriggio nevoso.
Nutrivo nell’anima ancora qualche apprensione per le difficoltà che avrei
dovuto affrontare insieme con la giovane collega e amante malmaritata, tuttavia
non avevo angosce quella mattina poiché dopo aver riposato e osservato la santa
faccia luminosa del primo fra tutti gli dèi, pensavo che la bella ragazza fosse disposta a lottare con me per seguitare
a incontrarci nel talamo nostro dalle cinque alle sette del pomeriggio, e
confidavo che per noi due ci sarebbe stato un futuro pieno di cose belle e
utili da fare insieme. Non solo lussuriosi, libidinosi e dissoluti eravamo
entrambi, ma anche capaci di creare nel bello secondo l’anima. Ifigenia queste
speranze me le aveva dichiarate più volte e quella mattina io le condividevo
mettendo via la sensazione stanca,
rinunciataria, senile che talora mi assaliva.
Quando per le strade oramai
non più ingombre fui arrivato al liceo ed ebbi parcheggiato la nera Volkswagen
nel cortile della scuola, entrai nel piano terreno e lo percorsi tutto senza
incontrare la bella collega mia amante,
quindi salii le scale ed entrai nella sala dei professori.
In settembre avevo iniziato
il terzo anno di insegnamento al Minghetti
che nei due precedenti era stato guidato dal preside gentiluomo Pietro
Cazzani, democratico, colto, intelligente e ancora di bell’aspetto.
Quest’uomo mi aveva aiutato
nella difficile circostanza dell’inserimento nel nuovo ambiente piuttosto
prevenuto nei confronti dei colleghi giovani. Cazzani aveva incoraggiato con
parole umane la mia laboriosa crescita culturale e professionale ancora in
fieri dopo l’esordio imolese dove un altro preside galantuomo mi aveva aiutato.
Altri incoraggiamenti decisivi li avevo ricevuti dalle ragazze e dai ragazzi
miei studenti.
Il preside nuovo arrivato che
non era né bello né buono, quando andai a salutarlo per vedere chi fosse e
farmi conoscere, mi respinse pregiudizialmente dicendo: “Io non l’ho fatta
chiamare”. Tornai indietro parecchio
avvilito da quel modo di fare. Mi tornò in mente l’esordio alla scuola media di
Carmignano di Brenta che tu, lettore, conosci.
“E’ un prepotente maleducato”,
pensai anche questa volta.
Pesaro 29 settembre 2023 ore
9, 33 giovanni ghiselli
p. s.
Statistiche del blog
Sempre1407586
Oggi259
Ieri780
Questo mese8362
Il mese scorso5814
Nessun commento:
Posta un commento