Dopo avere mostrato qualche altra trovata stupefacente, Trimalchione affranca i servi e nomina erede Fortunata. Gli schiavi sono uomini, proclama l'anfitrione rimasticando dottrine stoiche:"et servi homines sunt et aeque unum lactem biberunt, etiam si illos malus fatus oppresserit. tamen me salvo cito aquam liberam gustabunt. ad summam, omnes illos in testamento meo manu mitto " (71), pure gli schiavi sono esseri umani e hanno bevuto lo stesso latte, anche se un destino cattivo li ha schiacciati. Comunque, mi venisse un colpo, presto assaggeranno l'acqua libera. Insomma tutti quelli li affranco nel mio testamento.
Si noti che fatus (invece di fatum) è uno di quegli errori grammaticali denunciati dianzi. Non è l'unico caso del genere: troviamo balneus (41) per il neutro balneum, bagno, vinus (12) per vinum, caelus (45, 3) per caelum, lasanus (47, 5) per lasanum, vaso da notte, e altri ancora. "Più rari sono gli ipercorrettismi da maschile a neutro (libra 46, 7; nervia 45, 11; thesaurum 46). Nel passaggio dal latino all'italiano il genere neutro scompare, e i neutri latini sono diventati in italiano maschili. Il latino volgare anticipa dunque tale evoluzione, e ci fa capire tra l'altro come poté avvenire concretamente questa "scomparsa" di una categoria grammaticale: a poco a poco tutte le parole neutre divennero maschili"[1].
Per quanto riguarda il contenuto queste parole sembrano echeggiarne alcune dell'epistola 47 di Seneca:"Servi sunt". Immo homines", sono schiavi, sì ma anche uomini. Del resto Trimalchione aveva usato anche un'espressione di spregio nei confronti dei suoi schiavi:"obiter et putidissimi servi minorem nobis aestum frequentia sua facient" (34), nel frattempo questi fetentissimi schiavi ci daranno meno afa con il loro affollarsi.
Comunque nel Satyricon è presente Seneca la cui morte, descritta anch'essa da Tacito[2] è pure confrontabile con quella dell'autore del Satyricon della quale sembra il rovesciamento.
Bettini afferma che il Satyricon stesso sembra "nutrito di idee senecane: ma ribaltate. Tutto ciò che Seneca disprezza o bandisce diventa comportamento istintivo, pratica corrente dei personaggi del Satyricon."
Subito dopo però il latinista antropologo riconosce delle analogie, certo non sistematiche, tra i due autori:"Non di rado, in verità, i personaggi di Petronio parlano utilizzando concetti di Seneca, servendosi persino delle parole stesse di Seneca: nell'improvvisare qualche verso moraleggiante (ad esempio, sull'esecrata onnipotenza del denaro: cap. 14, 2[3]), o quando la circostanza suggerisce loro delle tirate di travolgente eloquenza (come quella di Encolpio di fronte al cadavere di Lica: 115, 12-19[4]). Ma si tratta, non a caso, di performances volutamente enfatiche, di scoperte esercitazioni retoriche che non implicano alcun ravvedimento, ma solo un temporaneo e fortemente ironico contatto con quel mondo dei valori che si sa che esiste, ma dal quale, senza vero rammarico o ripensamento, si fugge"[5]. Questa è una semplificazione affrettata e funzionale a una tesi contraddetta invece dalle parole del testo.
Quanto alla posizione della classe dirigente romana nei confronti degli schiavi stranieri, dopo l'assassinio del prefetto di Roma da parte di un liberto, l'ex console Gaio Cassio Longino, genero di Germanico, si esprime più o meno come un razzista contemporaneo a proposito dei lavoratori extracomunitari:"Postquam vero nationes in familiis habemus, quibus diversi ritus, externa sacra aut nulla sunt, conluviem istam non nisi metu coercueris " (Annales , XIV, 44), dopo che nella nostra schiavitù abbiamo queste razze che hanno usi diversi, riti stranieri o nessuno, questa spazzatura non si può reprimere se non con la paura. Siamo nel 61 d. C. : l'uomo politico impiega parole che abbiamo sentito ripetere in tempi recenti. Sono i penultimi che temono di essere raggiunti dagli ultimi che odiano quelli al di sotto di loro.
Vediamo alcune parole di Seneca che configurano un'ideologia opposta a quella di Trimalchione e dei suoi amici:"In homine quoque nihil ad rem pertinet quantum aret, quantum feneret, a quam multis salutetur, quam pretioso incumbat lecto, quam perlucido poculo bibat, sed quam bonus sit" (Ep. 76, 15), anche[6] nell'uomo dunque non conta quanto ari, quanto denaro presti, da quanti venga salutato, quanto sia prezioso il letto dove si stende, quanto fulgente la coppa dove beve, ma quanto sia buono.
Io credo che Petronio prenda sul serio la letteratura e l'arte in genere, con l'atteggiamento di un classicista intelligente il quale sta dalla parte della bellezza e dell'ordine, pur sapendo che ciò è inutile e non cambierà il caos nel quale si va gettando il genere umano.
Dopo il testamento, Trimalchione dà disposizioni al lapidarius per il proprio monumento funebre che deve essere, come per Seneca , l'immagine della sua vita, un'immagine capovolta rispetto a quella del filosofo, e infatti riassunta dalla inscriptio satis idonea, l'iscrizione abbastanza adatta, così:"C. Pompeius Trimalchio Maecenetianus hic requiescit. huic seviratus absenti decretus est. cum posset in omnibus decuriis Romae esse, tamen noluit. pius, fortis, fidelis, ex parvo crevit, sestertium reliquit trecenties, nec umquam philosophum audivit. vale: et tu"( 71, 12), Paio Pompeo Trimalchione Mecenaziano, qui riposa. Gli fu decretato l'incarico di seviro in sua assenza. Pur potendo essere a Roma in tutte le decurie, non volle. Pio, forte, fedele, venne su dal nulla, lasciò trenta milioni di sesterzi, e non ascoltò mai un filosofo. Stai bene: anche tu.
Il seviratus[7] e le decuriae [8] erano cariche non prestigiose in quanto relative a incarichi subalterni.
A questo punto gli scholastici Encolpio e Ascilto tentano di scappare ma, terrorizzati dal cane di guardia, cadono nella piscina. Vengono tratti in salvo dal portiere che, però, non permette loro di uscire. Segue la riflessione di Encolpio:"quid faciamus homines miserrimi et novi generis labyrintho inclusi, quibus lavari iam coeperant votum esse? " (73), cosa possiamo fare uomini disgraziatissimi e rinchiusi in un labirinto di nuovo tipo, per i quali lavarsi già cominciava ad essere un miracolo ?
Il labirinto significa assenza di progresso e il lavarsi come votum sembra alludere a una purificazione sempre più desiderabile e difficile.
"La struttura del romanzo, per quanto possiamo giudicare, intreccia ad un andamento lineare progressivo (da Marsiglia all'Egitto?) un andamento circolare, che riporta periodicamente sulla strada di Encolpio personaggi già incontrati e già lasciati, in una sorta di ritorno indietro nel tempo che ha i tratti angosciosi dell'inutile andirivieni del labirinto. L'immagine del labirinto (esplicitamente rievocata in 73) descrive assai bene l'apparente inutilità del continuo ritrovarsi in luoghi chiusi di Encolpio (questo o quell'albergo, l'arena, la prigione, il lupanare, la casa di Quartilla o di Trimalchione, la nave di Lica, il letto di Circe, la stamberga delle maghe) e del suo continuo evadere"[9].
Il labirinto del resto allude anche al mondo infero: non è un caso che nel VI dell'Eneide il protagonista prima di scendere agli Inferi veda raffigurato il labirinto cretese nel tempio di Apollo: “Dalla parte opposta, elevata sul mare, corrisponde la terra di Cnosso:/qui lo scellerato amore del toro e, postasi sotto furtivamente,/Pasife e la genesi promiscua e la prole bimembre/il Minotauro c'è, ricordo di una Venere infame;/qui la famosa fatica del palazzo e l' inestricabili giro (hic labor ille domus et inextricabilis error );/ma di fatto, commiserato il grande amore della fanciulla regale,/Dedalo stesso distrìca gli inganni e le tortuosità del palazzo/guidando le cieche orme con un filo"" (vv. 23- 30).
Il Minotauro prefigura l'incontro con i mostri dell'Inferno che è poi incontro con una parte di se stessi.
Infatti quando andai a girare la Grecia con la bicicletta, l'ultima volta, quasi tre anni fa, una donna, amante e feroce nemica , mi scrisse:" Ecco che vanno, novella spedizione alla ricerca del Minotauro...ma se lo trovate non uccidetelo, fatelo volare come nel raccontino di Tabucchi (Sogni di sogni )".
Seguono dei bagni con altre putidissimae iactationes, fetentissime bravate, di Trimalchione, poi succede un atto di superstizione con il quale viene ammazzato un gallo il cui cantare era considerato un cattivo presagio, quindi è la volta di un'altra scena di gelosia che turba l' hilaritas del convito:" nam cum puer non inspeciosus inter novos intrasset ministros, invasit eum Trimalchio et osculari diutius coepit" (74, 8), infatti quando tra i servi del secondo turno fu entrato un ragazzo non brutto, Trimalchione gli saltò addosso e si diede a baciarlo con insistenza. A questo punto la moglie del pederasta si arrabbia e dà del cane al vecchio libidinoso. Sentiamo questa gentildonna :"itaque Fortunata, ut ex aequo ius firmum approbaret, male dicere Trimalchionem coepit et purgamentum dedecusque praedicare, qui non contineret libidinem suam. ultimo etiam adiecit:'canis' " (74, 9), allora Fortunata, per far valere i suoi solidi diritti alla pari, cominciò a inveire contro Trimalchione e a mettere in evidenza che era feccia e un obbrobrio poiché non controllava la propria libidine. Alla fine gli gettò in faccia anche:"cane".
Il lettore che conosce l'Odissea può assimilare, con un sorriso, il pervertito anziano alla bellissima Elena la quale, nella veste di adultera pentita, chiama se stessa kunw'pi" (IV, v. 145), faccia di cagna. Tuttavia cob sovrana sprezzatura.
Trimalchione reagisce da par suo gettando in faccia alla moglie un calice e coprendola di insulti:"quid enim" inquit "ambubaia non meminit se. de machina illam sustuli, hominem inter homines feci. at inflat se tamquam rana, et in sinum suum non spuit, codex non mulier. sed hic qui in pergula natus est aedes non somniatur. ita genium meum propitium habeam, curabo domata sit Cassandra caligaria" ( 74, 13), e che? -disse- la suonatrice di piffero non ricorda chi sia. L'ho tirata fuori dal palco degli schiavi, l'ho resa un essere umano come gli altri. Eppure si gonfia come una rana, e non si sputa in seno, un ceppo del supplizio, non una donna. Ma chi è nato in una capanna un palazzo non se lo sogna. Ma basta che mi assista il mio genio, farò in modo di domare questa Cassandra scarparia.
-ambubaia: è sostantivo formato sulla parola siriaca abbub=tibia, flauto. La usa, al plurale, Orazio nella satira che abbiamo visto:" Ambubaiarum collegia" (II, 1), corporazione delle suonatrici di flauto riunite in una sola razza (genus), spregevole,di pharmacopolae,mendici,mimae, balatrones, spacciatori di farmaci, mendicanti, mime, buffoni.
-non spuit : sputarsi in seno voleva dire allontanare il malocchio e Fortunata avrebbe dovuto farlo per la precarietà della sua fortuna.-aedes:"indica propriamente il "focolare domestico" (cfr. gr. ai[qein "bruciare"; aestus "ribollimento", "calore"), in particolare "abitazione" o "sede" di un dio, "tempio"; al plur. vale normalmente "casa" in quanto composta di più stanze o ambienti"[10].
Poi questo gentiluomo minaccia di ripudiare la moglie e ordina ad Abinna di non mettere la statua di lei nel suo sepolcro:"ne mortuus quidem lites habeam" (74, 17), per non litigare almeno da morto. Anzi, conclude questa prima invettiva proibendo alla sua metà di baciarlo da morto.
Post hoc fulmen (75), dopo questo fulmine, si ricordi quello di Eros[11], Abinna gli chiede di deporre l'ira:"nemo-inquit-nostrum non peccat. homines sumus, non dei.", nessuno di noi non sbaglia. Uomini siamo, non dèi. Una variante del tovpo" della comprensione che abbiamo trovato nel Vangelo e in Menandro.
Scintilla aggiunge una preghiera a Trimalchione "ut se frangeret " (75, 2), perché si intenerisse e la coppia di amici della coppia in collera ottengono l'effetto voluto: il padrone di casa prima piange poi giustifica l'amore per quel tesoro del puer :" puerum basiavi frugalissimum, non propter formam, sed quia frugi est: decem partes dicit, librum ab oculo legit, thraecium sibi de diariis fecit, arcisellum de suo paravit et duas trullas. non est dignus quem in oculis feram? sed Fortunata vetat. (74, 4)", ho baciato un ragazzino bravissimo, non per la sua bellezza, ma perché è bravo: sa dividere per dieci, legge un libro appena lo vede, si è fatto una tunica tracia tagliando dalla sua paghetta, col suo denaro si è comprato una poltrona e due vasi. Non si merita che me lo porti negli occhi? Ma Fortunata non permette.
Sembra che Trimalchione voglia presentare il suo amore come fondato su un'intesa spirituale ma quel de diariis ricorda il diaria non sumo" (24) di Quartilla ed evoca prestazioni sessuali ricompensate.
Poi l'anfitrione se la prende di nuovo con la moglie:"ita tibi videtur, fulcipedia? suadeo, bonum tuum concoquas, milva, et me non facias ringentem, amasiuncula: alioquin experieris cerebrum meum" (74, 5-6), ti sembra donna dai piedi puntellati? Dà retta: digerisci la tua fortuna, avvoltoio, e non mi far ringhiare, amantucola: altrimenti farai esperienza della mia testa calda.-bonum tuum concoquas: è la versione plebea del "non seppe digerire la grande felicità" dell' Olimpica I di Pindaro (vv. 56-57) che si riferisce alla colpa di Tantalo.-milva: Trimalchione ha fatto tesoro della sentenza di Seleuco:" sed mulier quae mulier milvinum genus (42, 7), una donna che sia una donna è una razza di avvoltoi. Dopo tutto Fortunata rimane una vera donna e un'amante, sia pure, da strapazzo (amasiuncula). Quindi il convitator fa un altro complimento agli ospiti, inveisce ancora contro Fortunata, ed esalta la sua carriera di imprenditore partito dalla prostituzione del proprio corpo. Del resto Svetonio, come abbiamo visto [12], sostiene che cominciò così anche la non meno fulgida carriera di Ottaviano che divenne Augusto, per cui non è assurdo che Petronio abbia voluto raffigurare in Trimalchione uno dei Cesari.
Do la parola a Fedeli:" E' esemplare la carriera di Trimalchione: anche egli è stato a modo suo un heredipeta, come i Crotoniati e come il captator di testamenti "par excellence": l'imperatore (e mi chiedo se proprio questo motivo non abbia un' importanza decisiva). Trimalchione è capitato in una famiglia priva di eredi e, una volta entrato nelle grazie del padrone, si è dovuto limitare-alla stessa stregua degli abitanti di Crotone- ad attenderne pazientemente la morte, per essere nominato coerede insieme con l'imperatore. A questo punto ha avuto inizio la sua irresistibile ascesa, grazie a un sagace impiego delle ricchezze (76, 1-11). L'exemplum, però, è al tempo stesso il limite e il simbolo di un ceto per Petronio destinato a sua volta a perire: Trimalchione, infatti, non solo non potrà mai trasmettere i suoi beni a una propria discendenza a causa della sterile unione con Fortunata (e anche questo motivo lo avvicina, in un certo qual modo, ai Crotoniati, che si negano la possibilità di avere figli: anche se Trimalchione reca in sé il cruccio di tale situazione); ma, proprio come i Crotoniati, è come se fosse già morto, tanto più che conosce il momento esatto della morte (77, 2) e si è preoccupato di farselo costantemente ricordare dal trombettiere e dalla macchina del tempo"[13].
Ma ora sentiamo Trimalchione stesso:"nam ego quoque tam fui quam vos estis, sed virtute mea ad haec perveni. corcillum est quod homines facit, cetera quisquilia omnia. bene emo, bene vendo; alius alia vobis dicet. felicitate dissilio" (75, 8-9), infatti anche io sono stato come siete voi, ma con la mia capacità sono arrivato a questi traguardi. E' questo cuoricino che fa gli uomini, il resto sono tutte bazzecole. compro bene, vendo bene; un altro vi dirà altro. io scoppio dal successo.
-virtute: ancora la virtus senza morale che sarà codificata dal nostro Machiavelli, il contrario di quella platonico-senecana e poi cristiana.-corcillum: anche il cuore ha un significato ben diverso da quello che gli danno di solito i poeti e i filosofi.-bene emo, bene vendo: potrebbe essere il motto emblematico di Trimalchione.
Segue un'altra stoccata alla moglie:"tu autem, sterteia, etiamnum ploras? iam curabo fatum tuum plores", poi tu russona continui a piangere? oramai ci penso io a farti piangere il tuo cattivo destino. Poi continua la rievocazione della propria carriera, il percorso in ascesa di un uomo intraprendente, ricco di corcillum, virtus e frugalitas :"sed, ut coeperam dicere, ad hanc me fortunam frugalitas mea perduxit. tam magnus ex Asia veni, quam hic candelabrus est. ad summam, quotidie me solebam ad illum metiri et ut celerius rostrum barbatum haberem, labra de lucerna ungebam. tamen ad delicias |femina| ipsimi |domini| annos quattuordecim fui. nec turpe est, quod dominus iubet. ego tamen et ipsimae |dominae| satis faciebam. scitis, quid dicam: taceo quia non sum de gloriosis" (75, 10-11), ma, come cominciavo a dire, a questo successo mi ha portato il mio essere una brava persona. Arrivai dall'Asia tanto grande quanto questo candelabro. Insomma tutti i giorni ero solito misurarmi con quello e per avere il muso barbuto più in fretta mi ungevo le labbra con la lucerna. Tuttavia a quattordici anni soggiacqui alle voglie del mio padrone. Non è vergognoso quello che il padrone comanda. Io del resto accontentavo anche la padrona. Capite quello che dico: taccio poiché non sono di quelli che si vantano.
Nietzsche considera segno positivo di paganesimo la non conoscenza del peccato:"Si prenda in mano un libro veramente pagano, per esempio Petronio, in cui in fondo non si fa, non si dice, non si vuole e non si giudica niente che non sia, secondo un criterio cristianamente ipocrita, peccato, anzi peccato mortale. E tuttavia, che senso di benessere nell'aria più pura, nella superiore spiritualità dell'andatura più veloce, nella forza liberata e traboccante, sicura del proprio avvenire! In tutto il Nuovo Testamento non si trova una sola bouffonerie: ma con ciò è un libro confutato…Paragonato a quel libro, il Nuovo Testamento rimane un sintomo di una cultura decadente e della corruzione- e come tale ha operato, come fermento della putrefazione"[14].
Più avanti il filosofo rincara faziosamente la dose:"Vediamo che cosa fa "il vero cristiano" di tutto ciò che non si raccomanda al suo istinto: l'insudiciamento e la denigrazione della bellezza, dello splendore, della ricchezza, dell'orgoglio, della sicurezza di sé, della conoscenza, della potenza-insomma dell' intera cultura: il suo intento è quello di togliere la buona coscienza…Si legga Petronio immediatamente dopo il Nuovo Testamento: come si respira, come si spazza via da sé quella maledetta aria da baciapile!"[15].
Secondo me invece, con Petronio, Eros ha già ricevuto del veleno da bere ed è diventato un vizio.
Ma sentiamone ancora una:"Quale ristoro dopo il Nuovo Testamento prendere in mano Petronio! Come ci si sente subito rimessi in piedi! Come si sente la vicinanza di una spiritualità sana, tracotante, sicura di sé e malvagia! E alla fine ci si trova di fronte alla questione:"non ha forse il sudiciume antico ancora più valore di tutta questa piccola arrogante saggezza e bigotteria dei cristiani?"[16].
Contrappongo a questo un' attualizzazione, credo calzante, inserendo brani di una cronaca del quotidiano "la Repubblica" del 2 settembre 2001 sull'elezione del più bello d'Italia a Pescara. Il titolo è Mister Italia pronto a tutto, l'inviata Romana Liuzzo. "E' così, il variegato mondo di un concorso di bellezza: al mattino ci si fa la ceretta a vicenda, poi si ritocca il rimmel (se lo mettono tutti) discutendo di quanto siano state drammatiche le scene del G8 di Genova. E infine il sesso:"Uomini o donne non si guarda in faccia nessuno-spiega la gran parte dei concorrenti-proposte indecenti se verranno si vedrà. Il nostro motto? Mai dire mai". Il vincitore, a detta della cronista, "il più femminile di tutti", ha dichiarato:"Mi sono sempre depilato, anche sul sedere, detesto i peli, fin da piccolo". Quando gli hanno chiesto se accetterebbe proposte indecenti, il più bello d'Italia ha risposto:"Inutile essere ipocriti: perché no?".
Pesaro 12 settembre 2023 ore 9, 34 giovanni ghiselli
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[1] M. Bettini, La letteratura latina, 3, p. 190.
[2] Annales, XV, 62:"imaginem vitae suae relinquere testatur , dichiara per testamento che lascia l'immagine della sua vita.
[3] Che abbiamo già citato.
[4] Dove si trova la già ricordata sentenza di sapore senecano:"si bene calculum ponas, ubique naufragium est" cui segue un obiezione immaginata, poi una risposta e infine un'altra sentenza del medesimo gusto:" at enim fluctibus obruto non contingit sepultura. tamquam intersit, periturum corpus quae ratio consumat , ignis an fluctus an mora quicquid feceris, omnia haec eodem ventura sunt" (115, 17), ma in effetti a quello sommerso dai flutti non tocca la sepoltura. come se facesse differenza, quale agente consuma il corpo destinato a morire, il fuoco o l'acqua o il tempo. Qualunque cosa tu avrai fatto andranno tutte a finire nel medesimo luogo.
[5] M. Bettini, La letteratura latina, 3, p. 180.
[6] Come nelle cose che hanno valore quando compiono bene la loro funzione.
[7] Un collegio di sei persone istituito in onore di Augusto.
[8] Un collegio di dieci membri
[9]M. Bettini, La letteratura latina, 3, p. 183.
[10] I. Dionigi, Verba et res, p. 91.
[11] Plutarco, Vita di Alcibiade , 16.
[12] Vita di Augusto , 68.
[13]Petronio: Crotone o il mondo alla rovescia, "Aufidus" 1, 1987.
[14] Scelta di frammenti postumi, 1887-1888, p. 256.
[15] Scelta di frammenti postumi, 1887-1888, pp. 308-309.
[16] Scelta di frammenti postumi, 1887-1888, p. 318.
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