NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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lunedì 11 settembre 2023

Corso di ottobre-novembre XX Satyricon 14. Un adulterio con licantropia. Le streghe. L’amasio di Trimalchione.


 

 


 

Vediamo un adulterio. Nel confronto con altre situazioni erotiche del Satyricon è un gioco pressocché innocente, quasi insipido e parrocchiale. Tale sarebbe stato di sicuro per Messalina l'imperatrice moglie di Claudio  la quale secondo Tacito :"iam...facilitate adulteriorum in fastidium versa ad incognitas libidines profluebat "[1], oramai volta alla noia per la facilità degli adultèri, si lasciava andare a dissolutezze inaudite.

La novitas delle libidini accomuna diversi personaggi della corte imperiale romana: il Petronio di Tacito poco prima di morire, costretto al suicidio dall'invidia di Tigellino e dalla bestialità di Nerone, rinfaccia al princeps,  per iscritto,  " flagitia sub nominibus exoletorum feminarumque et novitatem cuiusque stupri " (Annales , XVI, 19), le vergogne con i nomi dei dissoluti e delle donnacce e la straordinarietà di ciascun obbrobrio.   

Qui nel Satyricon l'adulterio, per non restare sciapo, è condito con un caso di licantropia. Chi parla è il commensale Nicerote che prima di iniziare la fabula dice di temere lo scherno degli scholastici presenti ma poi afferma che narrerà:"satius est rideri quam derideri" (61, 4), è meglio far ridere che essere derisi.

Il racconto è preceduto da una citazione virgiliana con intento parodizzante:"haec ubi dicta dedit[2], talem fabulam exorsus est" (61, 5), come ebbe detto queste parole iniziò questa storia. Questo liberto dunque, quando era ancora schiavo abitava nel vicolo stretto dove aveva una relazione adulterina:"ibi, quomodo dii volunt, amare coepi uxorem Terentii coponis: noveratis Melissam Tarentinam, pulcherrimum bacciballum" (61, 6), lì, come dio vuole, cominciai a fare l'amore con la moglie di Terenzio l'oste: conoscevate Melissa la tarantina, quel magnifico boccone di donna. Melissa, l'ape, che, si ricorderà, è la sposa ideale secondo Semonide, è un bel bocconcino ma Nicerote, che teme la derisione di quella gente di scuola, precisa che non si trattava di un amore volgare:"sed ego non mehercules corporaliter eam aut propter res venerias curavi, sed magis quia benemoria fuit. si quid ab illa petii, numquam mihi negatum fecit. assem semissem habui, in illius sinum demandavi, nec umquam fefellitus sum" (61, 8), ma io per Ercole non l'ho corteggiata per la carne o per fare sesso, ma più perché era di buoni costumi. Se le chiesi qualche cosa, non me l'ha mai negata. Ho guadagnato un soldo, mezzo soldo, l'ho affidato al suo seno, e non sono mai stato ingannato.

Con la negazione del curare corpolariter  (cfr.kata; to; sw'ma , Simposio 2O6b) Nicerote sembra rivendicare un amore platonico per sé e la benemoria Melissa, ma si vede subito che il criterio della moralità è solo il denaro e l'adultera è donna dai buoni costumi perché non ruba soldi all'amante. Segue (62-63) la storia del lupo mannaro (versipellis) che lascio alla curiosità dello studente. Si tratta di un uomo che diventa lupo poi torna a essere uomo con i segni dell'esperienza fatta da lupo. Non la commento poiché non entra nel nostro percorso ma la raccomando attraverso una considerazione di Bettini:" Sottolineiamo anzi il fatto che i Romani utilizzavano un nome preciso per designare l'uomo-lupo. Lo chiamavano versipellis (da verso "rivolto" e pellis "pelle"), colui che sa "voltar pelle": quasi che l'uomo lupo nascondesse la pelliccia sotto lo strato inferiore della propria pelle e, al momento della trasformazione, "rivoltasse" il proprio involucro mostrando finalmente quel pelo che faceva di lui una belva…La fede nell'esistenza dell'uomo-lupo percorre tutta la nostra cultura (…) Si tratta di una di quelle "storie" fondamentali della nostra cultura che tende ad essere ripetuta, variata, arricchita di particolari, ma che mantiene ben salda la propria struttura fondamentale. Al fondo di questo tipo di storie sta la paura che, in realtà, alcune delle persone con cui quotidianamente si vive non siano in realtà se stesse ma qualcos'altro, creature diaboliche e maledette, pronte a trasformarsi in belve per uccidere: il terrore del "lupo tra noi"[3].

Se vogliamo avvicinare questa storia al nostro percorso possiamo pensare che tanti matrimoni falliscono perché uno dei coniugi, o entrambi, con il passare del tempo cambiano pelle. Comunque ciascuno di noi un po’ versipellis lo è. 

 

Le streghe

 Torniamo invece a Trimalchione  il quale resta in tema raccontando una storia di streghe, quindi le definisce:"sunt mulieres plussciae, sunt Nocturnae, et quod sursum est, deorsum faciunt" (63, 9), sono donne che ne sanno di più, sono creature della Notte e quello che sta sopra lo fanno andare in giù.

Una definizione che potrebbe entrare nel capitolo sulla paura che l'uomo ha della donna.

" La forza primaria e dominante dell'istinto si mostra, nel Satyricon, non solo nel prevalere indiscusso delle ragioni del sesso, ma anche nello spazio riservato ad elementi di rilevante interesse antropologico e folclorico, come le favole di licantropia (Nicerote in 61, 6-62, 14) e di streghe (Trimalchione in 63, 3-10), come le magie "priapiche" di Proseleno ed Enothea (133, 4 sgg.), come il cannibalismo imposto dal testamento di Eumolpo ai cacciatori di eredità (141) e da questi, forse, realmente attuato in un agghiacciante regresso ad una ritualità ancestrale"[4].

 

L'amasio di Trimalchione

 Dopo altre parole e altri versi Trimalchione volse l'attenzione al suo amasio che si chiamava Creso e avevamo già (28) intravisto:" puer autem lippus, sordidissimus dentibus, catellam nigram atque indecenter pinguem prasina involvebat fascia panemque semissem ponebat supra torum ac nausia recusantem saginabat " (64, 6), un ragazzo a dire il vero cisposo, dai denti infradiciati, infagottava una cagnetta nera e oscenamente grassa in una sciarpa verde e le poneva accanto sopra il divano una mezza pagnotta e la ingozzava mentre quella riluttava per il disgusto.

Ho visto madri criminali fare di questo a figli obesi.

 Trimalchione si indispettisce per le premure dedicate al cane e sottratte a lui, quindi fa entrare un cane enorme, Scilace, "praesidium domus familiaeque" (64, 7), difesa della casa e della famiglia. La lite tra i due amanti indispettiti viene delegata ai cani: il puer lippus aizza la cagnetta contro il cagnaccio Scilace, skuvlax, il cucciolo, con effetto antifrastico, il quale " taeterrimo latratu triclinium implevit, Margaritamque Croesi paene laceravit" (64, 9), intronò il triclinio con un latrare orrendo e quasi sbranò la Perla di Creso. Oramai i due pervertiti hanno sfogato la rabbia attraverso i cani e, quindi, si giunge ad una tregua:"Trimalchio ne videretur iactura motus, basiavit puerum ac iussit supra dorsum ascendere suum. non moratus ille usus <est> equo manuque plana scapulas eius subinde verberavit, interque risum proclamavit:'bucca, bucca, quot sunt hic?'  " (64, 11-12), Trimalchione per non sembrare turbato da quel disastro, baciò il garzone e lo invitò a salirgli sul dorso. Quello, senza perdere tempo, lo impiegò come un cavallo e con le mani aperte gli batté ripetutamente le spalle e tra le risate gridò:" bocca, bocca, quante ce  n'è qui?".

 In questa scena viene messa in luce la tipica teatralità degli omosessuali, ancora più enfatica ed evidente di quella dei ragazzi e delle donne.

 

Pesaro 11 settembre 2023 ore 16, 49 giovanni ghiselli.

p. s.

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[1]Tacito, Annales , XI, 26.

[2] Eneide, 2, 790. Doopo l'addio della sposa fedele Creusa al marito esemplare, la donna  sparì lasciando Enea in lacrime..

[3] M. Bettini, La letteratura latina, 3, p. 185.

[4] M. Bettini, La letteratura latina, 3, p. 183.

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