lunedì 11 settembre 2023

Corso di ottobre-novembre XVII. Satyricon 11. Le chiacchiere dei liberti Ermerote e Seleuco

 

Continua il banchetto con diverse sorprese culinarie, quindi compare la moglie del padrone, Fortunata, sulla quale un commensale, Ermerote fornisce alcuni ragguagli ad Encolpio che gli aveva domandato:" quae esset mulier illa, quae huc atque illuc discurreret" 37, chi fosse quella donna che correva di qua e di là.

 

In versione moderna e più pretenziosa ci sono le donne di T. S. Eliot che banalizzano le grandi figure dell'arte europea :"In the room the women come and go/Talking of Michelangelo " (The love song of J. Alfred Prufrock[1]), nella stanza le donne vanno e vengono parlando di Michelangelo.

 

    Fortunata una che ha fatto, con il marito, un'arrampicata sociale, misura i soldi con lo staio (nummos modio metītur, 37, 2) ha scalato il cielo ed è il factotum di Trimalchione:" in caelum abiit et Trimalchionis topanta est " (37, 4). Sembra che il collante della loro unione sia l'interesse economico: anzi degli smisurati beni del marito assente pare si occupi solo la moglie onnipresente:"ipse nescit quid habeat, adeo saplutus est; sed haec lupatria providet omnia, est ubi non putes. est sicca, sobria, bonorum consiliorum-tantum auri vides,-est tamen malae linguae, pica pulvinaris. quem amat, amat; quem non amat, non amat" (37, 6-8), lui  nemmeno sa quanto possieda tanto è straricco; ma questa troia vede e provvede a tutto, è dove tu non penseresti. E' astemia, frugale, di buoni propositi, vedi altrettanto oro, tuttavia ha una brutta lingua, una gazza da cuscino. Chi ama ama, chi non ama non ama. E’ la chiacchiera pettegola che ci disturba ogni giorno.

 

Auerbach nel suo libro, a noi già noto, Il realismo nella letteratura occidentale riporta alcune di queste frasi e giudica il linguaggio di Ermerote, "quello un po’ becero e snervato d'un mercante cittadino incolto, pieno di frasi fatte" e, aggiunge, "vi si sente il tono sanguigno con cui vengono espressi sentimenti vivaci ma triviali"[2].

 

 Qui si vede che la buona moglie è tale per la sua funzione di amministrare il denaro: ella stessa anzi diviene un mucchio d'oro (tantum auri) il bene più prezioso per questi nuovi signori del mondo che sono i liberti il cui motto può essere una sentenza dello stesso Trimalchione:" credite mihi: assem habeas, assem valeas; habes, habeberis" (77), credetemi, hai un asse, vali un asse; hai, sarai considerato.

Si può notare la struttura paratattica, senza il si.

Se Fortunata sia bella o no non è detto, e non ha alcuna importanza; quello che conta è che sia assimilata all'oro la cui brama ha offuscato e stravolto tutti i valori, come sosterrà più avanti (88) il vecchio poeta e libertino Eumolpo che Encolpio incontrerà in una pinacoteca.

Il presentatore Ermerote poi dà altre informazioni sull'ambiente e "il denaro resta il criterio unico di giudizio"[3].

"Infatti a base di tutte le sue parole sta la convinzione che la ricchezza sia il bene maggiore, quanto maggiore tanto meglio ("tanta est animi beatitudo"), che la bontà della vita non stia che nell'abbondanza di ottime cose e nello sguazzarvi, e che ogni uomo, com'è perfettamente naturale, agisce per il suo utile. E con tutto ciò non è egli stesso che un piccolo uomo, pieno di rispetto e di ammirazione per i ricchissimi. Così dunque costui descrive non soltanto Fortunata, Trimalcione e i suoi commensali, ma, senza saperlo, anche se stesso. A dir la verità, come vediamo, egli ha un punto di vista alquanto unilaterale, parla più per sentimenti e per associazioni che per logica, ma dice le cose estesamente e, per così dire, plasticamente, parla col cuore sulle labbra e senza peli sulla lingua, non lascia nulla nel buio, vuota il sacco…"[4].

L'idea che la ricchezza per i più sia  il sommo bene e che esso sia del resto ingannevole, anzi mortale, si trova già nella Medea di Euripide tra i testi che abbiamo trattato.  Quando la protagonista dice a Giasone che invierà alla sua nuova fidanzata un peplo fine e una corona d'oro (v. 949) il seduttore risponde che non ce n'è bisogno poiché la principessa preferirà lui alle ricchezze; ebbene, allora la "fantastica donna oltraggiata" ricorda che i doni a quanto si dice persuadono anche gli dèi; inoltre "cruso;" de; kreivsswn murivwn lovgwn brotoi'"" (v. 965), l'oro per i mortali ha più forza di infinite parole.

Una forza distruttiva in questo caso. Altrettanto nel De ira dove Seneca   ricorda che i re incrudeliscono e compiono rapine e distruggono Stati costruiti con lunga fatica di secoli per cercare oro e argento dentro le ceneri delle città:"reges saeviunt rapiuntque et civitates longo saeculorum labore constructas evertunt ut aurum argentumque in cinere urbium scrutentur " (III, 33, 1).

 

Il culto idolatrico del denaro porta all'annientamento di ogni altro valore. D. H. Lawrence fa su questo tema una riflessione che si può collegare anche a quanto si è detto a proposito del cambiamento dei significati delle parole in certi periodi:" Tutte le grandi parole, pensava Connie, erano diventate vane per la gente della sua generazione; amore, gioia, felicità, casa, padre, madre, marito, tutte quelle grandi parole erano presso che morte ora, e andavano morendo di giorno in giorno. La casa non era che un luogo dove si viveva; l'amore una cosa che non ingannava più; la gioia una parola da applicarsi a un bel charleston; la felicità un termine ipocrita usato per ingannare gli altri; il padre era una persona che si godeva la vita; il marito un uomo con cui si viveva e si cercava di tenere il buon umore. E quanto al sesso, l'ultima grande parola, non era che un nome da cocktail applicato a una eccitazione fugace che divertiva un istante e lasciava più flaccidi di prima…Il denaro? Forse era un'altra cosa. Si aveva sempre bisogno di denaro. Il denaro, il successo, la dea-cagna…erano necessità permanenti…Per far muovere il meccanismo della vita, si ha bisogno di denaro. Bisogna averne. Bisogna avere denaro. Non si ha veramente bisogno di nient'altro, in fondo. Tutto qui! Non è colpa nostra se viviamo; e, dal momento che viviamo, il denaro è una necessità, la sola necessità assoluta. Di ogni altra cosa, alla peggio, si può fare a meno. Ma non del denaro. Per l'ultima volta: tutto qui!"[5].

 

Trimalchione, secondo Ermerote, va anche oltre il denaro: egli è l'incarnazione dell'onnipotenza che viene dalla proprietà della roba, al punto da non avere più nemmeno bisogno del tramite del denaro:"Nec est quod putes illum quicquam emere. omnia domi nascuntur: lanae, credrae, piper; lacte gallinaceum si quaesieris, invenies" (Satyricon, 38), non c'è da pensare che quello compri qualche cosa. Tutto gli nasce in casa: lana, cedri, pepe; se ti metterai a cercare il latte di gallina lo troverai. A proposito della falsa onnipotenza della roba tra poco ricorderemo i verghiani Mazzarò e Mastro Don Gesualdo.    

 

Quindi (39)  prende la parola Trimalchione stesso, questa volta  sfoggiando cultura con una citazione dell'Eneide (sic notus Ulixes?[6] ) e menzionando, per la prima ma non ultima volta, l'eroe omerico che nella cultura occidentale significa la personificazione dell'intelligenza, e pure lo scelerum inventor [7], l'orditore di misfatti.

Comunque anche in mezzo a una cena, si elogia da solo il padrone di casa, bisogna dare prova di avere fatto studi letterari:"oportet etiam inter cenandum philologiam nosse" (38, 4).

Seguono infatti altre citazioni, per lo più spropositate, con le quali il liberto arricchito cerca di autorizzarsi come persona colta, risultando invece risibile e patetico, al pari di alcuni politici nostri quando provano a mettere le mani sul latino. La prima competenza sfoggiata è quella astrologica sulla scorta degli Astronomica  un poema di cinque libri, in esametri, che descrivono le costellazioni e l'influsso degli astri sul destino degli uomini. L'autore, Manilio, visse sotto Augusto e Tiberio. Alcune caratteristiche attribuite ai nati sotto i vari segni sono rimaste simili: gli scorpioni, per esempio, tendenzialmente sono venenarii et percussores, avvelenatori e assassini.

 

Macbeth che ha ucciso il suo re, e ha il pensiero avvelenato, dice alla moglie che l'ha aizzato:"O, full of scorpions is my mind, dear wife! " (III, 3), ho l'anima piena di scorpioni, moglie cara!

   Una curiosità per chi si diletta di astrologia che ancora attribuisce a questo segno tendenze del genere. Lo scorpione era l'emblema delle coorti pretorie e il segno zodiacale dell'imperatore Tiberio che aveva concentrato questa milizia scelta a Roma nei castra praetoria , se non l'aveva addirittura fondata. La tradizione senatoriale confluita in Tacito e in Svetonio ne ha fatto un ipocrita sanguinario fraintendendo spesso la moderatio di questo princeps :" come tutti gli uomini incerti, egli è apparso o vile o mendace; come tutti i dubbiosi (egli si doveva sentire assai piccolo in confronto col suo grande predecessore), è apparso un ipocrita"[8]. Tacito sembra confermare la reputazione, ancora viva, che lo scorpione sia il segno degli assassini:"nam legem maiestatis reduxerat " (Annales , I, 72), infatti -Tiberio-aveva rimesso in vigore la legge di lesa maestà, promuovendone la più spietata applicazione.

 

Vengono definiti tutti dodici i segni i cui influssi corrispondono abbastanza a quelli attribuiti dagli astrologi moderni: sotto i gemelli (in geminis ) nascono bighe buoi coglioni" et qui utrosque parietes linunt" (39, 7), quelli che tengono i piedi in due staffe si dice ora. Trimalchione invece è un cancro:"in cancro ego natus sum, ideo multis pedibus sto, et in mari et in terra multa possideo; nam cancer et hoc et illoc quadrat" (Satyricon , 39, 8), io sono nato sotto il cancro, perciò mi reggo su molti piedi e possiedo molto  mare e in terra; infatti il cancro fa quadrare da una parte e dall'altra. E' una definizione sintetica della sua identità di "gigante dell'intrapresa privata"[9]. Anche Manilio attribuisce ai nati sotto il segno del Cancro abilità nel fare i soldi (Astronomica , IV, 162 sgg.).

 

Tale competenza astrologica  suscita l'applauso dei parassiti, un omaggio  sicuramente atteso e gradito da Trimalchione:" Sophos!" universi clamamus et sublatis manibus ad camaram iuramus Hipparchum Aratumque comparandos illi homines non fuisse" (40), bene, gridiamo tutti insieme e, sollevate le mani al soffitto, giuriamo che Ipparco e Arato non sono stati uomini da paragonare con lui.

 

Sophos traslittera sofw''" , opportunamente per adulare uno che si picca di conoscere la philologia ; Ipparco di Nicea è uno dei massimi astronomi greci, del II sec. a. C. , e Arato di Soli (315 ca.-240 ca. a. C.) vissuto  a lungo alla corte di Antigono Gonata re di Macedonia  scrisse un poemetto astronomico in 1154 esametri, i Fenomeni che fu tradotto in latino da Varrone Atacino, Cicerone e Germanico, il nipote di Tiberio.

 

Dopo l'ingresso di altri cibi sempre preparati e disposti con il fine di sbalordire gli invitati, intervengono altri commensali. Seleuco esordisce con un'affermazione contraria alla forma di cultus minima che è il lavarsi:"ego-inquit-non cotidie lavor; baliscus enim fullo est, aqua dentes habet, et cor nostrum cotidie liquescit" (42), io, disse, non faccio il bagno tutti i giorni; infatti il bagno è un lavandaio, l'acqua ha i denti, e il nostro cuore si liquefa ogni giorno.

Potrebbe essere una posa di origine cinico-socratica: infatti questo liberto procede con qualche velleità filosofica tornando sul tema della vanitas ispirato da un funerale dal quale è appena tornato:" heu, eheu. utres inflati ambulamus. minoris quam muscae sumus, <muscae> tamen aliquam virtutem habent, nos non pluris sumus quam bullae" (42, 4), ahi ahi, giriamo come otri gonfiati. siamo meno delle mosche; le mosche almeno qualche capacità ce l'hanno, noi non siamo più che bolle.

 

La virtus delle mosche sembra anticipare il cavallo geniale che "matura in Ulrich la convinzione di essere un uomo senza qualità".  Il protagonista del romanzo di Musil "Con meravigliosa acutezza vedeva in sé-ad eccezione del saper guadagnare denaro, che non gli occorreva-tutte le capacità e qualità che il suo tempo apprezzava di più, ma aveva perduto la capacità di applicarle; e poiché in fin dei conti, se ormai anche i giocatori di calcio e i cavalli hanno genio, soltanto l'uso che se ne fa può ancora salvarne il carattere particolare, decise di prendersi un anno di vacanza dalla vita per cercare un uso appropriato delle sue capacità"[10].

 

   Segue una tirata, "catoniana" contro i medici che hanno mandato in rovina Crisanto, l'amico morto; il medico  quando non fa danno è solo una consolazione dello spirito depresso:" medicus enim nihil aliud est quam animi consolatio" (42, 5).

 

Quest'ultima affermazione mi sembra acuta. Voglio aggiungerne un'altra di Proust, un malato cronico, ancora più radicale contro la genia aborrita da Catone, e non solo:"Per un'affezione che guariscono con i loro medicamenti (almeno, c'è chi sostiene che qualche volta ciò accade), i medici ne provocano altre dieci, in molti soggetti sani, inoculando loro quell'agente patogeno, cento volte più virulento di qualunque microbo, che è l'idea di una malattia"[11].

 

 Poiché la moglie del defunto è stata avara di lacrime, Seleuco conclude con una tirata contro le donne:"sed mulier quae mulier milvinum genus" (42, 7), ma una donna che sia una donna è una razza rapace, e con la diagnosi catastrofica del mal d'amore che abbiamo già citato:"sed antiquus amor cancer est ".

Pesaro 11 settembre 2023 ore 9, 22. giovanni ghiselli.

p.s.

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[1] Il canto d'amore di J. Alfred Prufrock del 1917.

[2] E. Auerbach, Mimesis, Il realismo nella letteratura occidentale, p. 32.

[3]Luca Canali, L'erotico e il grottesco nel Satyricon, p.38.

[4] E. Auerbach, Mimesis, Il realismo nella letteratura occidentale, p. 32.

[5] D. H. Lawrence, L'amante di Lady Chatterly (del 1928), p. 80.

[6] II, 44, così poco conoscete Ulisse? detto da Laocoonte.

[7] Cfr, Eneide, II, 164.

[8] S. Mazzarino, L'impero romano , vol. I, p. 138.

[9] Luca Canali, L'erotico e il grottesco nel Satyricon, p. 24.

[10] R. Musil, L'uomo senza qualità , pp. 42-43.

[11] I Guermantes, p. 327.

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