mercoledì 20 settembre 2023

Percorso sull’amore ultimo capitolo. Seconda parte


 

Commento della seconda parte di Tacito, Germania, 19.

 

-in tam numerosa gente: espressione di valore concessivo in opposizione semantica con paucissima.-poena praesens et maritis permissa: l'allitterazione trimembre con la labiale sorda sembra sottolineare l'immediatezza e la durezza della pena la quale del resto non comporta l'uccisione della donna come neppure la lex Iulia de adulteriis  emanata da Augusto nel 18 a. C. Qui non si menziona il complice dell'adulterio il quale invece nel caso del delitto d'onore difeso da Lisia è l'unico a pagare, oltretutto con la vita.

-abscisis crinibus : ablativo assoluto. Da abscido (abs+caedo) . E' una forma di umiliazione che venne inflitta anche alle italiane "collaborazioniste" alla fine dell'ultima guerra.-nudatam: participio congiunto con un sottinteso adulteram , presenta la variatio  rispetto alla costruzione precedente.-expellit domo maritus: di recente le donne stanche dei mariti insignificanti hanno imparato ad andarsene di loro volontà, anche contro quella del consorte. I criminali mentecatti putroppo talora le ammazzano

Sul termine maritus riferisco una riflessione di Benveniste:" Maritus è proprio del latino. D'altronde non esiste un termine indoeuropeo che significhi 'marito'. Si usa a volte 'signore', sanscr. pati, gr. povsi" , senza che nulla indichi in modo particolare il rapporto coniugale; a volte si usa 'uomo', lat. uir, gr. ajnhvr, mentre maritus qualifica il marito nella sua condizione giuridica…maritus significherà 'provvisto, in possesso di mari-'…In latino *mari- deve aver designato la fanciulla in età da marito, e maritus significherà così 'colui che possiede una fanciulla'"[1].

-per omnem vicum verbere agit: un trattamento che, secondo Tito Livio, il tiranno di Sparta Nabide (dal 206 al 192 a. C.) in guerra con Tito Quinzio Flaminino, inflisse agli Iloti accusati di avere voluto passare al nemico. Questi poi furono anche uccisi :"transfugere voluisse insimulati, per omnes vicos sub verberibus acti necantur " (XXIV, 27, 9). La donna che tradisce insomma diventa una nemica. Vicus deriva da una radice indoeuropea *ụoik- che ha dato come esito i greco Foik>oijk-, da cui oi\ko~ casa, famiglia; in latino vic-. Verbere : verber deriva dall'indoeuropeo *Ųrb- che ha dato come esito in greco Frab->rJab-, in latino verb- "[2]. In greco abbiamo rJavbdo" , bastone da cui  rabdomante, chi trova qualche cosa nel sottosuolo con una bacchetta.

-pudicitiae: la castità in generale, anche quella dei giovani maschi è molto reputata presso i Germani:"Sera iuvenum venus, eoque inexhausta pubertas. Nec virgines festinantur; eadem iuventa, similis proceritas; pares validaeque miscentur, ac robora parentum liberi referunt " (20, 3), viene tardi l'amore per i giovani, perciò la virilità non è indebolita. Neppure alle vergini si fa fretta; hanno lo stesso vigore giovanile, un analogo sviluppo fisico; si maritano ugualmente vigorose, e i figli rinnovano il vigore dei genitori.

 Fa parte della serietà delle donne anche il fatto che i figli non vengano allattati per delega ma ogni madre nutra i suoi con il  proprio seno:"Sua quemque mater uberibus alit, nec ancillis ac nutricibus delegantur "(20, 1), ciascun bambino viene nutrito da sua madre con le mammelle né sono affidati ad ancelle e nutrici.

 Le matrone romane viceversa potevano arrivare a vergognarsi di avere partorito e allattato i figli poiché dopo non potevano più essere eccitanti con un bel seno. Lo ricavo da Properzio che esorta l'amante alla rixa amorosa nella luce:"necdum inclinatae prohibent te ludere mammae:/viderit haec, si quam  iam peperisse pudet " (II, 15, 20-21), non ancora le mammelle cadenti ti impediscono tali giochi: badi a questo una se si vergogna di aver partorito.

 

Il rifiuto dell'allattamento, anzi del latte come liquido materno che è quasi un antidoto all'assassinio dettato dall'ambizione, si trova in lady Macbeth che prima rimprovera la natura del marito di essere too full o' milk of human kindness , troppo piena del latte della bontà umana, quindi vuole cedere il suo agli spiriti latori di pensieri mortali, ministri dell'assassinio, in cambio del loro fiele:"come to my woman's breasts, and take my milk for gall " Macbeth, I, 5), venite alle mie mammelle di donna e prendete il mio latte in cambio del fiele. Il latte e l'allattamento dunque non si conciliano né con il ludere erotico né con l'ambizione che ha bisogno del fiele e dello spirito del male, afferma l'istigatrice del delitto:" Thou wouldst be great; Art not without ambition: but without The illness should attend it ", tu vorresti essere grande; non sei senza ambizione: ma senza il malvolere che dovrebbe accompagnarla, ciò che desideri sommamente, tu lo vorresti avere santamente.

"Quando ella ragiona da sola si vede che "ambizione", "grande", "sommamente" e persino "malvolere" sono per lei semplicemente termini di lode, e "santamente" e "bontà umana"  semplicemente termini di biasimo. In questa esaltazione non esistono per lei distinzioni morali; o, piuttosto, esse sono invertite:"bene" significa per lei la corona e qualunque cosa si richieda per ottenerla, "male" qualunque cosa si trovi a sbarrare la via per il raggiungimento di essa"[3].

 In questa donna il desiderio del potere supera ogni altra passione:"i suoi occhi sono fissi alla corona e ai mezzi per raggiungerla; ella non bada alle conseguenze…E dal principio alla fine la volontà non le viene mai meno…Per quanto spaventosa possa essere, ella è sublime."[4].  

 

Per quanto riguarda l'ambizione che soffoca tutti i sentimenti, nelle donne perfino l'istinto materno, fermiamoci un poco su Lady Macbeth. La fonte di Shakespere è Raphael Holinshed che scrisse The Chronicles of Englande, Scotlande, and Irelande (1577) le quali per la Scozia dipendono da Hector Boethius che nel 1527 pubblicò le Historiae Scotorum libri XVII . Il dodicesimo libro conteneva la leggenda di Macbeth. Qui i personaggi della leggenda cominciano ad assumere i lineamenti che Shakespeare definirà nella sua tragedia. Macbeth è praestantissimus bello, sanguinis avidus e in crudelitatem propensus . "Anch'egli, come il Macbeth shakespiriano, agisce sotto l'impulso di tre forze che lo dominano ciecamente, delle quali una procede dalla sua natura stessa, cioè l'ambizione; le altre due sono al di fuori di lui: cioè, la suggestione di occulti poteri rivestiti di strane forme muliebri, e gli incitamenti aspri e continui della moglie, cupida nominis regii …Nel racconto di Boethius la regina di Scozia non ha più un nome, come non lo ha in Holinshed, e neppure in Shakespeare; essa non è più Gruach della storia…è semplicemente la moglie di Macbeth: uxor eius…è la prima genesi gloriosa di Lady Macbeth. E' noto, infatti, che la grande eroina della tragedia shakespiriana deriva, direttamente, dal seguente passo di Holinshed:"but speciallie his wife lay sore upon him to attempt the thing, as she that was verie ambitious, burning in unquenchable desire to beare the name of a queen "[5], ma specialmente sua moglie gli stava pesantemente addosso perché tentasse la cosa, siccome lei era molto ambiziosa, e bruciava per un inestinguibile desiderio di portare il nome di ragina. L'ardore amoroso è annientato da quello dell'ambizione. Ed ecco la fonte di questo passo nel latino di Boethius:"Instigabat quoque uxor eius cupida nominis regii, impotentissimaque morae, ut est mulierum genus, proclive ad rem aliquam concipiendam, et ubi conceperint nimio effectu prosequendam", lo istigava pure sua moglie bramosa del nome regale e del tutto insofferente di indugio, com'è la razza delle donne, incline a concepire qualche disegno, e, una volta concepito, a perseguirlo anche con esecuzione piena di eccessi. "Ma v'ha di più: Hector Boethius nel suo racconto insiste, con altri particolari, sulla ferrea volontà e sulla fermezza della moglie di Macbeth, la quale rampogna, con aspre parole, il marito, chiamandolo debole e vile, di fronte alla grande impresa, voluta anche dal fato, di sopprimere Duncano, e di giungere, con la vilenza, al regno, che il cugino aveva, indebitamente, usurpato. Subito dopo le poche righe testè citate, il cronista, infatti, prosegue:"Saepius itaque virum, haud alioqui segnem et suopte ingenio postrema regis contumelia accensum, acerrimis dictis incitat, ignavum ac timidum appellans, qui cantibus superis fatisque portendentibus, aggredi rem non audeat tam egregiam tamque praeclaram, quam multi, magnitudine nominis incitati, nullaque spe alia sint adorti "[6], molto spesso infatti aizzava con  parole feroci il marito non indolente del resto e già per suo carattere infiammato dall'ultima offesa del re[7], chiamandolo ignavo e vile, poiché, mentre voci superiori e i fati gliela mettevano davanti non osava affrontare una situazione così egregia e splendida che molti, spinti dalla grandezza del titolo avrebbero attaccato anche senza nessun'altra speranza. Honlished poi accolse nelle sue cronache queste notizie traducendo il latino di Boethius e Shakespeare le utilizzò. "Cosicché, in sostanza, Hector Boethius indirettamente è la vera fonte originale del dramma shaksperiano"[8].

 

Un caso di ambizione smodata, tra le donne di Tacito, un'ambizione che prevale sull'istinto di sopravvivenza, possiamo trovarlo in Agrippina, la madre di Nerone che fu uccisa dallo stesso figlio per il cui potere aveva tramato. Ella, avvisata dai Caldei, aveva presofferto questa sua fine:"Nam consulenti super Nerone responderunt Chaldaei fore ut imperaret matremque occideret; atque illa "occīdat" inquit, "dum imperet " (Annales, XIV, 9), infatti a lei che li consultava su Nerone, i Caldei risposero che sarebbe divenuto imperatore e avrebbe ucciso la madre, ed ella disse "la uccida, purché diventi imperatore.               

 

I Germani nel De Bello Gallico.

 Anche Giulio Cesare nel capitolo già considerato mette in rilievo l'alta considerazione della castità presso i Germani:"Qui diutissime impuberes permanserunt, maximam inter suos ferunt laudem: hoc ali staturam, ali vires nervosque confirmari putant " (De Bello Gallico , VI, 21) quelli che più a lungo hanno conservato la castità, conseguono la massima considerazione tra loro: alcuni ritengono che questo aumenti la statura, altri che corrobori le forze e i nervi.

 Con grande acume Cesare e Tacito comprendono che i costumi sessuali costituiscono uno dei caratteri fondamentali dei popoli.

 

Differenze tra Germani e Celti.

 Un'altra caratteristica peculiare dei Germani secondo Cesare è l'atteggiamento religioso che li distingue dai Celti:"Egli cerca, anche in questo caso, l'essenziale. Il suo ragionamento è semplice: i Germani non hanno una casta sacerdotale, non fanno sacrifici: dunque, sono diversi dai Galli. "I Germani" dice "hanno costumi ben diversi dai Galli: non hanno druidi, che presiedano al culto degli dèi, e curano poco i sacrifici, Considerano dèi solo quelli che vedono, e di cui ricevono apertamente i benefici: il Sole e Vulcano e la Luna[9]; degli altri non hanno sentito neanche parlare. Tutta la loro vita consiste nelle cacce e nelle occupazioni militari: sin da fanciulli si abituano a una vita laboriosa e dura".

Di rado l'ingegno umano ha raggiunto un così alto grado di sensibilità sociologica: conquistare il concetto di una differenza fra popoli generalmente confusi tra loro, fondandosi soltanto sulla caratteristica essenziale-l'atteggiamento religioso, cioè la concezione del mondo, dei popoli in questione"[10].

A questo punto critichiamo il critico: invero Tacito afferma che i sacerdoti sono i giustizieri dei Germani "neque animadvertere neque vincire, ne verberare quidem nisi sacerdotibus permissum non quasi in poenam nec ducis iussu sed velut deo imperante quem adesse bellantibus credunt " (Germania 7), non è permesso giustiziare, imprigionare, frustare se non ai sacerdoti, non come per un castigo né per ordine di un capo ma come se lo ordinasse un dio che credono assista i combattenti,

 La vecchia prospettiva, continua Mazzarino, "metteva tutti in un fascio i popoli dell'Europa settentrionale, della "Celtica" ; la prospettiva cioè che trovammo nell'ultima pagina della Giugurtina di Sallustio. La prospettiva di Cesare emerge, invece, dall'azione; è tutt'uno con la sua idea fissa di spezzare per sempre ogni alleanza fra Germani e Celti. Proprio nel diverso modo di governarsi egli vede un'altra differenza radicale: i Galli si preoccupano di assicurare ai plebei la difesa contro i più potenti, e di qui sorgono presso di essi "le fazioni"; i Germani invece "raffrenano la plebe" attraverso il comunismo dei beni"[11].

Cesare nel capitolo 11 del VI libro De bello gallico afferma che non gli sembra fuori luogo (alienum) presentare le diversità tra Galli e Germani.

In Gallia dunque, dappertutto ci sono le factiones i cui principes hanno prestigio e autorità ne quis ex plebe contra potentiorem auxilii egeret , perché nessuno della plebe resti senza aiuto contro un potente. I Germani, oltre quanto si è detto sulla religione e la castità, la disposizione per la caccia e la guerra, "agricolturae non student " (22) non attendono all'agricoltura, si nutrono di latte, cacio, carne. Inoltre nessuno possiede una determinata misura di terreno o ha confini propri (neque quisquam agri modum certum aut fines habet proprios) ma  magistrati e i capi assegnano terre a gruppi familiari per la durata di un anno. Questo perché non preferiscano l'agricoltura alla guerra, perché non bramino grandi proprietà dalle quali i più forti scaccino i più deboli, perché non costruiscano case comode contro il freddo, perché non sorga cupidigia di denaro da cui a loro volta nascono fazioni e discordie (ne qua oriatur pecuniae cupiditas, qua ex re factiones dissensionesque nascuntur), e finalmente:"ut animi aequitate plebem contineant, cum suas quisque opes cum potentissimis aequari videt " (22), per frenare la plebe con il sentimento dell'uguaglianza, quando ognuno vede che i suoi mezzi sono parificati a quelli dei potenti. Inoltre :"Latrocinia nullam habent infamiam, quae extra fines cuiusque civitatis fiunt, atque ea iuventutis exercendae ac desidiae minuendae causa fieri praedicant "[12], il brigantaggio non porta alcun disonore se viene fatto fuori dai confini della tribù, anzi affermano che si fa per esercitare i giovani e combattere la pigrizia.

Altrettanto non disonorevole è la pirateria nell'Odissea  (III, 73-74), a proposito  del sistema militare prestatale germanico di Codino. Nell'Odissea tuttavia c'è  anche anche una condanna dei predatori, espressa da Eumeo  (XIV, 85 sgg.).  Pure Tucidide del resto afferma che nei tempi antichi la pirateria non aveva nulla di disonorevole ( I, 5).

 Una considerazione comune a Cesare e Tacito è quella sull'ospitalità dei Germani. Onorare gli ospiti è una legge di quel codice arcaico tripartito la cui formulazione risale ad Eschilo: nelle Eumenidi il Coro delle Erinni afferma che devono pagare il fio, come Oreste che ha versato il sangue della madre, quanti  hanno peccato commettendo empietà contro un dio o l'ospite o i loro genitori ("h] qeo;n h] xevnon tin j ajsebw'n-h] tokeva" fivlou" " vv. 270-271). Una legge temuta anche da Macbeth quasi quanto Amleto irrisoluto nell'uccidere il re:" Egli è qui sotto doppia garanzia: prima di tutto poiché gli sono parente e suddito, forte motivo, entrambe le cose, contro questo misfatto; then as his host, poi perché sono suo ospite, gli offro ospitalità (Macbeth, I, 7).

 Nel De bello gallico leggiamo:"Hospitem violare fas non putant; qui quacumque de causa ad eos venerunt, ab iniuria prohibent, sanctos habent, hisque omnium domus patent victusque communicatur " (VI, 23), ritengono sacrilego violare l'ospitalità; quelli che per qualsiasi ragione si sono recati da loro, li proteggono da ogni offesa, li considerano sacri, per questi sono aperte le case di tutti e il cibo viene messo in comune.

 Similmente, e ancora di più in Tacito:"Quemcumque mortalium arcere tecto nefas habetur; pro fortuna quisque apparatis epulis excipit. Cum defecere, qui modo hospes fuerat, monstrator hospitii et comes; proximam domum non invitati adeunt. Nec interest: pari humanitate accipiuntur. Notum ignotumque quantum ad ius hospitis nemo discernit " (Germania, 21), allontanare qualsiasi persona dal proprio tetto è considerato un sacrilegio; ciascuno secondo i propri mezzi lo accoglie con vivande preparate. Quando queste sono venute meno, chi per ultimo aveva offerto ospitalità gli indica un'altra casa ospitale e ve lo accompagna; entrano non invitati nella casa più vicina. Né fa differenza: vengono ricevuti con uguale gentilezza. Quanto al diritto di ospitalità nessuno fa distinzione tra persona conosciuta e sconosciuta.      

 -invenerit: congiuntivo potenziale che chiude tre cola  coordinati per asindeto e negati enfaticamente dalla triplice anafora di non .-illic: in contrapposizione polemica, allusiva eppure forte, con quanto avviene a Roma.-vitia ridet: cfr. Satyricon 84, 1 e 88, 6. Nel romanzo di Petronio, in bocca ad Eumolpo vitium ha tutt'altro significato. Qui vitium ha un senso più vicino a quello della commedia di Plauto[13] e Terenzio[14]: "corruzione della pudicizia" -corrumpere et corrumpi: efficace poliptoto che indica l'intreccio e la complicità dei corruttori e dei corrotti nel "paese guasto" dove questo gorgo di vizi si chiama saeculum che abbiamo tradotto con "moda". Lo stesso poliptoto si trova rovesciato negli Annales a proposito del cattivo esempio dato da Nerone scatenato dopo la morte della madre e dal senato asservito:"Ceterum abolitos paulatim patrios mores fundĭtus everti per accītam lasciviam, ut quod usquam corrumpi et corrumpere queat, in urbe visatur , degeneretque studiis externis iuventus, gymnasia et otia et turpes amores exercendo, principe et senatu auctoribus" (XIV, 20), Del resto i costumi antichi soppressi a poco a poco erano profondamente sovvertiti per colpa della corruzione fatta venire da fuori, così che quanto altrove poteva essere corrotto e corrompere , si va a visitare nell'Urbe, e tralignava la gioventù seguendo mode straniere, praticando le palestre gli ozi e i turpi amori, fautori l'imperatore e il senato.    

 Abbiamo già notato come Tacito individui un ritorno ciclico delle mode fino a costituire un orbis , economico e di costumi, simile all' ajnakuvklwsi" di Polibio nel campo delle costituzioni. L'esempio di Vespasiano adstricti moris auctor [15] avrebbe promosso un nuovo costume austero.

 Musil fa dipendere la moda dai grandi sarti e dal caso, espressioni della prevalente "forza creativa della superficie":"se Arnheim avesse potuto figger lo sguardo negli anni futuri, avrebbe visto che millenovecentovent'anni di morale cristiana, milioni di morti in una guerra sconvolgente e una selva poetica tedesca che aveva cantato il pudore della donna non aveva potuto ritardare di un'ora il momento in cui gli abiti femminili si erano accorciati e le fanciulle d'Europa per un certo tempo s'erano sbucciate nude come banane da millenari divieti. Anche altri cambiamenti avrebbe veduto, che mai gli sarebbero parsi possibili, e non importa sapere che cosa rimarrà e che cosa tornerà a sparire, quando si pensa agli sforzi enormi e probabilmente vani che sarebbero occorsi a promuovere un simile rivolgimento delle condizioni di vita scegliendo la via cosciente e responsabile del progresso spirituale attraverso i filosofi, i pittori e i poeti, invece di quella che passa attraverso gli avvenimenti della moda, i grandi sarti e il caso; perché se ne può dedurre quanto sia grande la forza creativa della superficie, paragonata alla sterile pervicacia del cervello"[16].

-Melius: si può sottintendere e tradurre agunt , suggeriscono altri commenti, ma non è necessario.-adhuc=etiam .-nubunt: letteralmente significa "mettono il velo". La radice "deriva dall'indoeuropeo *nebh-  che ha dato come esito in greco nef-, in latino neb- "[17]. Su questa radice dunque si formano nefevlh, "nuvola", nevfo", "nube" nubes , "nube", nebulosus, "nuvoloso" nuptiae, "nozze", e pure il tedesco Nebel , "nebbia". Abbiamo visto più di una volta nel nostro percorso come il cielo si annuvoli dopo il matrimonio.-cum spesemel transigitur: cum aliquo transigere[18] significa definire, concludere una pendenza con qualcuno.-ne...ne...ne: anafora della congiunzione che introduce tre proposizioni finali negative coordinate per asindeto. Le prime due sono ellittiche del verbo che può essere sit .

A Roma viceversa le donne (almeno quelle che potevano permetterselo) cambiavano marito più in fretta del volgersi pur rapido delle stagioni secondo Giovenale (50/60-130 ca d. C.):"Sic crescit numerus, sic fiunt octo mariti/quinque per autumnos, titulo res digna sepulchri " (VI, 229-230), così cresce il numero, così i mariti diventano otto in cinque autunni: cosa degna di lode sepolcrale!  Marziale (40-104 ca d. C.) a sua volta menziona una Telesilla che conta già dieci mariti:"et nubit decimo iam Telesilla viro " (6, 7, 4); una donna del genere "adultera lege est ", è un'adultera legale.

Urta meno una prostituta più schietta, commenta lo scrittore di epigrammi.

Sui tanti divorzi e i grandi adultèri delle matrone romane aveva già impugnato le armi Seneca, "egregius vitiorum insectator "[19], ottimo persecutore dei vizi,  "ovvero il toreador della virtù"[20]. Egli nel primo libro del De Beneficiis (terminato nel 64)  scrive: "Si quis nulla se amica fecit insignem nec alienae uxori annuum praestat, hunc matronae humilem et sordidae libidinis et ancillariŏlum vocant. Inde certissimum sponsaliorum genus est adulterium et in consensu viduitas caelibatusque: nemo uxorem duxit, nisi qui abduxit " (I, 9, 4), se uno non si è segnalato per alcuna amante né mantiene la moglie di un altro, questo le matrone  chiamano meschino e di libidine spregevole e seduttore di servette. Quindi la forma più sicura di fidanzamento è l'adulterio, e sono ammessi la vedovanza e il celibato: nessuno ha preso moglie,  se non ne ha traviata una.

Può essere interessante condire con l'ironia queste parole di Seneca attraverso Kierkegaard  il quale denuncia il ridicolo degli sponsalia attraverso il suo seduttore  :"Di tutte le cose ridicole è un fidanzamento la più ridicola. Il matrimonio ha pure un senso, anche se questo senso a me risulta fastidioso. Il fidanzamento è una pura invenzione dell'uomo e certamente non fa onore al suo inventore. Non è né carne né pesce, e sta all'Amore come l'uniforme del bidello sta alla cattedra professorale"[21].

Del resto poco dopo (I, 10) l'autore del De Beneficiis  afferma che i vizi ci sono sempre stati e sempre ci saranno e che il peggiore, il padre di tutti i viziosi, non è l'adultero ma l'ingrato poiché tutte le brutture morali derivano dall'ingratitudine.

 Seneca torna sull'argomento nel III libro per dire che la frequenza e la diffusione dei peccatori leva l'infamia a ogni peccato, dall'ingratitudine all'adulterio:" Numquid iam ulla repudio erubescit, postquam inlustres quaedam ac nobiles feminae non consulum numero sed maritorum annos suos computant et exeunt matrimonii causa, nubunt repudii? " (III, 16, 2), oramai forse qualcuna arrossisce per un ripudio, dopo che  alcune donne famose e nobili contano i loro anni non con il numero dei consoli ma con quello dei mariti ed escono di casa per sposarsi, si maritano per divorziare?

 Subito dopo il filosofo aggiunge:"Numquid iam ullus adulterii pudor est, postquam eo ventum est, ut nulla virum habeat, nisi ut adulterum inrītet? Argumentum est deformitatis pudicitia [22]. Quam invenies tam miseram, tam sordidam, ut illi satis sit unum adulterorum par, nisi singulis divisit horas? et non sufficit dies omnibus, nisi aput alium gestata est, aput alium mansit. Infrunita et antiqua est, quae nesciat matrimonium vocari unum adulterium " (III, 16, 3), c'è forse più un poco di vergogna dell'adulterio, dopo che si è arrivati al punto che nessuna donna ha il marito, se non per stimolare l'amante? La pudicizia è indizio di bruttezza. Quale troverai tanto meschina, tanto spregevole che si accontenti solo di un paio di amanti, se non ha diviso le ore per ciascuno di loro? e non basta la giornata per tutti se non è stata trasportata da uno, non si è fermata da un altro. E' insulsa e arretrata quella che non sa che un unico adulterio si chiama matrimonio.

 Un canto funebre sulla pudicitia  , la modestia e i probi mores al tramonto si trova negli Annales: Nerone, dopo avere ammazzato la madre nel 59, si scatena dando  esempi e occasioni di dissolutezza a tutta la città:"Inde gliscere flagitia et infamia, nec ulla moribus olim corruptis plus libidinum circumdedit quam illa conluvies. Vix artibus honestis pudor retinetur, nedum inter certamina vitiorum pudicitia aut modestia aut quicquam probi moris reservaretur " (XIV, 15), quindi venivano crescendo gli scandali e l'infamia, né alcuna acqua sporca più di quella offerse maggior  incentivo di libidini ai costumi già da tempo guasti. A stento si mantiene il pudore con mezzi onesti, tanto meno tra le gare dei vizi si conservano la pudicizia o il ritegno o qualche cosa del costume onesto.    

Dostoevskij inserisce nella confessione del principe dei suoi demoni, Stavrogin, il matrimonio, almeno un certo matrimonio, come sconciatura della vita e sua degradazione ultima:" mi venne appunto l'idea di storpiare la mia vita in qualche modo che fosse ripugnante il più possibile. Già da qualche anno meditavo di spararmi; mi si presentò qualcosa di meglio. Un giorno, guardando la zoppa Maria Timofejevna Lebjakdin, che faceva anche la serva agli inquilini, allora non ancora impazzita, ma semplicemente un'idiota entusiasta, innamorata di me in segreto alla follia (dagli indizi raccolti dai nostri), decisi a un tratto di sposarla. L'idea di un matrimonio con una creatura così infima solleticava i miei nervi. Non si  poteva immaginare nulla di più mostruoso"[23]. Abbiamo visto che sono sufficientemente mostruosi anche certi matrimoni della Roma dei Cesari:"la Roma degli Archi, delle Terme, dei Fòri"[24].

Della serie delle matrone romane di altissimo rango, e corrotte,  fa parte anche il ritratto schizzato da Tacito di Poppea Sabina che fu moglie di Rufrio Crispino, quindi di Otone, il futuro imperatore, infine di Nerone che la uccise con un calcio. Ricorda un poco la Sempronia di Sallustio cui "cariora semper omnia quam decus atque pudicitia fuit" ( Bellum Catilinae , 25), tutto fu sempre più caro del decoro e della pudicizia.

 Vediamo la donna imperiale "evoluta" o "perduta", secondo i punti di vista:"Huic mulieri cuncta alia fuere praeter honestum animum. Quippe mater eius, aetatis suae feminas pulchritudine superegressa, gloriam pariter et formam dederat; opes claritudini generis sufficiebant. Sermo comis nec absurdum ingenium: modestiam praeferre et lascivia uti. Rarus in publicum egressus, idque velata parte oris, ne satiaret aspectum, vel quia sic decebat. Famae numquam pepercit, maritos et adulteros non distinguens; neque adfectui suo aut alieno obnoxia, unde utilitas ostenderetur, illuc libidinem transferebat. Igitur agentem eam in matrimonio Rufri Crispini equitis Romani, ex quo filium genuerat, Otho pellexit iuventa ac luxu et quia flagrantissimus in amicitia Neronis habebatur: nec mora quin adulterio matrimonium iungeretur" (Annales, XIII, 45), questa donna ebbe tutto tranne un animo onesto. Certamente sua madre che per la bellezza superava le donne della sua generazione, le aveva trasmesso parimenti rinomanza e un bell'aspetto; le ricchezze erano adeguate alla distinzione della stirpe. La conversazione era piacevole e l'ingegno non insignificante: mostrava pudore e praticava dissolutezza. Rare le uscite in pubblico, e questo dopo essersi velata una parte del volto, per non stancare lo sguardo, oppure perché così le stava bene. Non risparmiò mai la reputazione, non facendo differenza tra mariti e amanti; non fu sottomessa a una passione sua o di un altro: dove si presentasse l'utile, là volgeva la libidine. Perciò mentre era sposata con Rufrio Crispino cavaliere romano, dal quale aveva avuto un figlio, la adescò Otone con la giovinezza e il fasto e poiché era considerato ardentissimo nell'amicizia con Nerone: né ci fu indugio che all'adulterio seguisse il matrimonio.-Famae numquam pepercit: questa affermazione è contraddittoria con la taccia di ipocrisia assegnata da modestiam praeferre et lascivia uti (infiniti storici). In ogni modo la donna, anzi l'umano che non si cura della reputazione ha qualche cosa di positivo siccome dà prova di identità non gregaria  rispetto a quanti si lasciano condizionare dalla reputazione. Abbiamo già segnalato donne libere come Saffo e la Nora di Ibsen che hanno dichiarato questa forma di indipendenza.  Tra gli uomini abbiamo indicato Socrate del Critone  di Platone (44C e sgg.) e il dottor Stockmann di Un nemico del popolo di Ibsen.-utilitas: è la stessa filosofia di Giasone: pragmatica, senza carità.

 

Le due Agrippine.

Le donne degli imperatori della casata giulio-claudia, consanguinee, madri, mogli o amanti del principe hanno in comune la "passion predominante" del potere: Agrippina maggiore, nata verso il 14 a. C.,  figlia di Agrippa amico di Auguso e di Giulia, figlia di Augusto, moglie di Germanico,  madre di Agrippina minore e nonna di Nerone e madre di Caligola , impedì ai soldati ammutinati di tagliare il ponte sul Reno oltre il quale stava combattendo il  marito e sedò la rivolta. Quindi portava il figlioletto vestito da soldato in mezzo all'esercito, suscitando i sospetti di Tiberio:"potiorem iam apud exercitus Agrippinam quam legatos, quam duces; compressam a muliere seditionem, cui nomen principis obsistere non quiverit "(Annales , I, 69), aveva più potere presso gli eserciti Agrippina dei legati e dei comandanti; da lei donna era stata repressa una rivolta alla quale l'autorità dell'imperatore non aveva potuto opporsi. Questa femina del resto ebbe una condotta sessuale irreprensibile:"ipsa insigni fecunditate, praeclara pudicitia " (Annales , I, 41), ella era ecezionale fecondità, di pudicizia esemplare. Diede  infatti sei figli a Germanico.

 

Dopo la morte del marito fu esiliata a Ventotene dall'odio di Tiberio. Vi morì nel 33 d. C.

 Agrippina minore , figlia della precedente e di Germanico, nata  nel 16 d. C. , madre di Nerone, una volta che ebbe sposato Claudio, suo zio e imperatore, divenne il vero capo dell'impero:"versa ex eo civitas et cuncta feminae oboediebant, non per lasciviam, ut Messalina, rebus Romanis inludenti. Adductum et quasi virile servitium: palam severitas ac saepius superbia; nihil domi impudicum, nisi dominationi expediret. Cupido auri immensa obtentum habebat, quasi subsidium regno pararetur " (Annales , XII, 7), da quel momento la vita pubblica cambiò e tutto obbediva a una donna, che non disonorava Roma, come Messalina, attraverso la dissolutezza. Era un asservimento accigliato e come imposto da un uomo: in pubblico austerità e più spesso arroganza; tra le pareti domestiche niente di dissoluto, a meno che fosse utile al potere. La colossale cupidigia di denaro aveva un pretesto, come se si fornisse un sostegno finanziario all'impero. Tacito più avanti nota con un certo sdegno che dopo la sconfitta dei Silŭres , Britanni ribelli, e la resa del loro capo  Caratǎcus, Agrippina, seduta su un palco vicino a quello dello zio e marito Claudio, ricevette dai vinti gli stessi onori dell'imperatore:" Novum sane et moribus veterum insolitum, feminam signis Romanis praesidere: ipsa semet parti a maioribus suis imperii sociam ferebat " (Annales , XII, 37), era certo un fatto inaudito ed estraneo alle tradizioni degli antichi che una donna sedesse davanti alle insegne: ella si poneneva come partecipe dell'impero creato dai suoi antenati.     

Torniamo alla Germania di Tacito      

-Numerum liberorum finire... :  espressione simile si trova in Historiae  V, 5 a proposito degli Ebrei:"necare quemquam ex agnatis nefas  ", sopprimere uno qualunque dei figli è un misfatto,  non in un contesto elogiativo come questo tuttavia. Il motivo per cui rifuggono dall'infanticidio è che  quella gente   tende comunque all'incremento della popolazione:"Augendae tamen multitudini consulitur ".

 L'aborto fa parte dell'egoismo e della degenerata sessualità femminile secondo Giovenale che attribuisce alle donne ricche il ricorso sistematico a questa pratica. Le poveracce si sottopongono ancora ai pericoli del parto:"sed iacet aurato vix ulla puerpera lecto./Tantum artes huius, tantum medicamina possunt,/quae steriles facit." (VI, 594-596), ma sui letti d'oro è difficile che giaccia una puerpera. Tanto possono le arti, tanto i filtri di colei che le rende sterili .

 Il marito di queste matrone che abortiscono del resto non hanno da lagnarsene, poiché la gravidanza portata avanti lo avrebbe reso "padre" di un Etiope.  

 

ll problema del calo demografico, adesso di nuovo attuale, era stato posto già nel II secolo a. C., per il mondo ellenico, da Ocello lucano e da Polibio il quale viceversa notava la virtù delle matrone romane. Nel libro XXXVI delle Storie  viene ricordata la crisi demografica della Grecia, una carenza di bambini e un generale calo di popolazione ("ajpaidiva kai; sullhvbdhn ojliganqrwpiva", XXXVI 17, 5) che hanno rese deserte le città, senza guerre né epidemie . In questo caso non si tratta di interrogare o supplicare gli dèi poiché la causa del male è evidente: gli uomini hanno cominciato ad abbandonarsi all'arroganza, all'avarizia, alla perdita di tempo, a non volersi sposare, o se si sposavano, a non allevare i figli, tranne uno o due per poterli lasciare nel lusso. Basta poco dunque perché le case restino deserte, e, come succede per uno sciame di api, così anche le città si indeboliscano. Il rimedio è evidente: cambiare l'oggetto dei nostri desideri o fare leggi che costringano a crescere i figli generati. Non occorrono veggenti né operatori di magie!

"Le cause della decadenza demografica sono...secondo Polibio, l'amore delle ricchezze e il fasto che inducono i Greci ad evitare i matrimoni o a limitare le nascite. Questi concetti, che a prima vista sembrano polibiani, sono in realtà un dominio comune della problematica pitagorica, assai diffusa...nell'ambiente degli Scipioni. L'opera di "Ocello lucano" che è un caratteristico prodotto del pitagorismo, databile forse ai primi decenni del II secolo a. C., dà un grande rilievo al problema demografico. L'autore si volge contro "coloro che non si uniscono allo scopo di procreare figli"...Polibio adattò questi concetti a quel disfacimento del mondo greco, ch'egli trattava come storico "pragmatico". Innanzi a lui si svolgeva la vita quotidiana di Roma con le sue matrone virtuose; Polibio  ne esaltava la sobrietà e l'amore per i figli"[25].

-bonae leges: in poliptoto e omoteleuto con boni mores. Diverse leggi tendevano a scoraggiare la libertà e la licenza sessuale: abbiamo già menzionato quella de adulteriis e la lex Papia Poppea  (del 9 a. C.) che imponeva tasse ai celibi e accordava privilegi agli sposati. Insomma:"corruptissima re publica plurimae leges " (Annales  III, 27) più corrotto è lo stato, più numerose sono le leggi. Si può pensare alle "gride" manzoniane delle quali "il dottor Azzeccagarbugli" afferma  che "a saper ben maneggiare...nessuno è reo, e nessuno è innocente"[26].

 

L'eros è la parte della vita umana più difficile a imbrigliare con la legge:"L'eros che non ha mai e poi mai conosciuto la legge, trasgredisce le regole, le convenzioni, i divieti. L'eros si proietta, si espande ovunque, anche nelle estasi religiose, e sragiona nel feticismo. L'attrazione erotica diviene fonte di complessità umana, innescando incontri improbabili tra classi, razze, nemici e nemiche, padroni e schiavi. L'eros irriga mille reti sotterranee presenti e invisibili in ogni società, suscita miriadi di fantasmi che sorgono in ogni mente. Opera la simbiosi tra il richiamo del sesso, che viene dalle profondità della specie, e il richiamo dell'anima che cerca di che adorare. Questa simbiosi si chiama amore"[27].

 

Appendice sulle leggi

Si può chiudere la lezione con alcune considerazioni sulle leggi non scritte a partire da quelle di Licurgo.

 Secondo Polibio (VI, 3, 8) anzi il legislatore spartano fu l'inventore della costituzione mista dell'elemento monarchico (i re), quello aristocratico (la gherousìa ) e quello democratico ( l'apélla ). In un suo recentissimo libro Luciano Canfora[28] ha messo in rilievo, avvalendosi delle descrizioni di Gaetano Mosca[29], che dentro ogni forma democratica si annida di fatto un regime misto a prevalenza oligarchica.

 Licurgo si era recato a Delfi da dove era tornato con quel famoso responso con il quale la Pizia gli si era rivolto chiamandolo caro agli dèi e dio più che uomo (" w\/  qeofilh' me;n aujto;n hJ Puqiva prosei'pe kai; qeo;n ma'llon h] a[nqrwpon"[30]), e gli aveva promesso che la sua sarebbe stata la migliore di tutte le costituzioni. Ebbene in questa  sezione è opportuno sottolineare che Licurgo non mise per iscritto le leggi:"novmou" de; gegrammevnou" oJ Lukou'rgo" oujk e[qhken"[31], siccome i buoni principi devono essere inculcati nelle coscienze.

Così non sono scritte le leggi la cui priorità è affermata da Sofocle nell'Antigone  dove la protagonista contrappone gli editti (khruvgmaq j , v. 454) di Creonte alle norme  non scritte  e non vacillanti degli dei (a[grapta kajsfalh' qew'n- novmima, vv. 454-455) che non sono di oggi né di ieri. A tali diritti  la figlia di Edipo dà la precedenza poiché sono sempre vivi ( ajeiv pote- zh'/ tau'ta, vv. 456-457).

 Anche successivamente, nell' Edipo re , Sofocle afferma l'esistenza di "leggi sublimi procreate/attraverso l'aria celeste/ di cui l'Olimpo/ è padre da solo/né natura mortale di uomini le generava/ né mai dimenticanza/potrà addormentarle:/grande c'è un dio in loro e non invecchia ("mevga" ejn touvtoi" qeov", oujde; ghravskei", v. 872).

 La volontà divina secondo questo autore si manifesta attraverso un pullulare di mantei'a, novmoi, novmima che nelle scelte degli uomini, quando esse si impongono, devono avere la precedenza rispetto alle disposizioni dei legislatori; questi, d'altra parte, nel redigere i codici, non dovrebbero mai formulare regole contraddittorie rispetto alle norme divine, ma rispecchiarle e avvalersene come fece appunto l'antico legislatore spartano.

Sofocle si inserisce nel dibattito acceso dalla sofistica: esso contrapponeva le leggi naturali a quelle artificiali o culturali. Delle une e delle altre vengono date interpretazioni differenti.

Il poeta di Colono non considera naturali e degne di obbedienza le regole che lasciano correre o addirittura convalidano l'u{bri", intesa come prepotenza, sia essa di un tiranno, suo parto mostruoso ( u{bri" futeuvei tuvrannon, Edipo re , v.873), sia di un popolo intero che per avidità di maggior avere (pleonexiva) fa guerre aggressive foriere di stragi e lutti, tanto per gli aggrediti quanto per gli aggressori. Alcune leggi se non proprio criminali sono quanto meno risibili: si può pensare all'edictum dell'imperatore Claudio menzionato sopra.

 

Il Pericle di Tucidide ( II, 37, 3) elogia Atene per le leggi non codificate :"o{soi te ejp j wjfeliva/ tw'n ajdikoumevnwn kei'ntai kai; o{soi a[grafoi o[nte" aijscuvnhn oJmologoumevnhn fevrousin", quante sono poste a tutela di chi subisce ingiustizia e quante, sebbene non scritte, sanciscono un disonore riconosciuto da tutti.

 

G. Ugolini ricorda che le leggi scritte sono anteposte a quelle non scritte dai sostenitori della democrazia e fa l'esempio delle Supplici  di Euripide dove "Teseo si produce in un'esaltazione del sistema democratico...replicando alle accuse dell'araldo, puntualizza un aspetto della democrazia che in questa sede ha grande rilevanza: mentre nella città governata da un tiranno la legge è del tutto arbitraria, in un regime democratico (Eur. Suppl. 433-437): le leggi sono scritte (gegrammevnwn tw'n novmwn), la giustizia è uguale per il debole e per il ricco. Chi è più debole può fronteggiare chi sta meglio, qualora ne riceva offesa, e se ha ragione il piccolo prevale sul grande. Al di là dei topoi  democratici ricorrenti nel discorso di Teseo, che per molti aspetti hanno richiamato il parallelo con l'epitafio di Tucidide[32], è importante soffermarsi sul nesso che egli istituisce tra "leggi scritte" e democrazia: la pratica effettiva della giustizia e dell'uguaglianza tra i cittadini, indipendentemente dai loro rapporti di censo e di forza, è garantita dalla scrittura delle leggi, che tutela i diritti dei meno potenti[33].  La necessità e la difesa della scrittura delle leggi doveva essere percepita come un punto essenziale della propaganda democratica nell'ambito di quella tensione e contrapposizione che vi era ad Atene tra la legislazione scritta della polis e quella orale propugnata e gestita dalle casate aristocratiche"[34]. Un episodio dell'antica Repubblica romana può costituire una conferma di quanto dice Teseo nelle Supplici di Euripide:" gegrammevnwn tw'n novmwn, o{ t j ajsqenh;"-oJ plouvsiov" te th;n divkhn i[shn e[cei." (vv. 433-434), quando le leggi sono scritte il debole e il ricco hanno gli stessi diritti.

 

 Nella democrazia attuale che il povero e il ricco abbiano gli stessi diritti è un fatto solo teorico: il capitalismo "di fatto è un sistema oligarchico: ma vive e gode ottima salute perché è riuscito a snaturare e a fare suo il sistema democratico"[35].

  

Nella storia romana "la maggiore singolarità" è data dal fatto che i primi legislatori "e soprattutto il loro capo Appio Claudio siano stati deposti per la loro indegna tirannide" mentre diversi altri "veri o mitici legislatori, Licurgo, Solone, Zaleuco, Mosé, sono dalla tradizione circonfusi da un'aureola di luce che li rende santi e venerabili". Il fatto è che Appio Claudio e gli altri decemviri legibus scribundis nel 451/450 agirono in favore della plebe:" Di contro alla prepotenza patrizia, ordinatasi nel sec. V la plebe a Stato entro lo Stato, due furono le concessioni che prima cercò di ottenere: leggi eguali per tutti, e una parte per tutti i cittadini nel governo della repubblica. A soddisfare l'una e l'altra richiesta si accinsero i decemviri". Di qui la reazione dei patrizi:"Come dalla decadenza della monarchia, così dalla caduta del decemvirato trassero sul momento vantaggio i soli patrizi. E dell'una e dell'altra spetta quindi ai patrizi la responsabilità"[36].

 

Vediamo adesso altre testimonianze di autori che criticano le leggi scritte.

Platone nella Lettera VIII  sostiene che mentre la servitù e la libertà smodate sono un gran male, quelle moderate sono un gran bene, e moderata è la servitù a Dio, smodata agli uomini ("metriva de; hJ qew'/ douleia, a[metro" de; hJ toi'" ajnqrwvpoi"", 354e). Dunque per gli uomini saggi dio è la legge, per gli stolti il piacere (" qeo;" de; ajnqrwvpoi" swvfrosin novmo", a[frosin de; hJdonhv", 355a ).

 

Schierato per il rifiuto delle leggi scritte dagli uomini troviamo Antifonte sofista:" e[sti de; pavntw" tw'nde e{neka touvtwn hJ skevyi", o{ti ta; polla; tw'n kata; novmon dikaivwn polemivw" th'/ fuvsei kei'tai" (Della verità , fr. 44 D. K.), questo è soprattutto l'oggetto della nostra indagine, che la maggior parte di quanto è giusto secondo la legge si trova in contrasto con la natura. Fatti di natura, continua Antifonte, sono il vivere e il morire, e il vivere per gli uomini deriva da ciò che è utile (kai; to; me;n zh'n aujtoi'" ejstin ajpo; tw'n xumferovntwn) la morte da ciò che è dannoso. Ebbene riguardo all'utile le prescrizioni della legge sono ceppi per la natura (ta; me;n uJpo; tw'n novmw keivmena desma; th'" fuvsewv" ejsti), mentre ciò che è prescritto dalla natura è libero (ta; d& uJpo; th'" fuvsew" ejleuvqera). Quei "ceppi" (desmav) possono far pensare al vinculum di Germania 18, 2, sopratto se confrontati con:"mevga" ga;r ajgw;n gavmo" ajnqrwvpwn" dello stesso sofista[37].   

La legge istituita dunque non è giusta né utile poiché non incrementa ma danneggia la vita.

 

Isocrate nell' Areopagitico , del 356, sostiene che la gran quantità delle leggi e la cura con cui sono state elaborate (tav ge plhvqh kai; ta;" ajkribeiva" tw'n novnwn, 40)[38] è segno che la città è mal governata. E poco più avanti :"ouj ga;r toi'" yhfivsmasin, ajlla; toi'" h[qesin kalw'" oijkei'sqai ta;" povlei""(41), infatti le città si governano bene non con i decreti ma con la bontà dei costumi .

Nel Panatenaico, del 339, il principe della retorica  racconta che il comandante argivo Adrasto era supplice davanti a Teseo per ottenere  un aiuto  contro i Tebani i quali non volevano restituire i cadaveri dei caduti. Il tema delle Supplici di Euripide.

  Ebbene egli pregava di non permettere che tali uomini restassero insepolti né venissero aboliti quegli antichi costumi e quelle leggi patrie  di  cui tutti gli uomini continuano ad avvalersi in quanto non sono stabiliti dalla natura umana bensì imposti dalla potenza divina:" ejdei'to mh; periidei'n toiouvtou" a[ndra" ajtavfou" genomevnou"  mhde; palaio;n e[qo" kai; pavtrion novmon kataluovmenon, w|/ pavnte" a[nqrwpoi crwvmenoi diatelou'sin oujc wJ" uJp& ajnqrwpivnh" keimevnw/ fuvsew", ajll j wJ" uJpo; daimoniva" prostetagmevnw/ dunavmew"" (169).

Sallustio nel Bellum Catilinae , rimpiange i boni mores  dell'antica Repubblica, quando cives cum civibus de virtute certabant , i cittadini gareggiavano per il valore con i cittadini, e  ricorda che:"ius bonumque apud eos non legibus magis quam natura valebat " (9), il diritto e l'onestà da loro aveva forza non più per le leggi che per natura.

Tutto ciò è, grosso modo, assimilabile ai boni mores  di Tacito.

 

Fine percorso. 20 settembre 2023 ore 18, 09.

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[1] E. Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, p. 189.

[2] G. Ugolini, Lexis, p. 386.

[3] Bradley, op. cit., p. 402.

[4] Bradley, op. cit., p. 400 e sgg.

[5] C. Chiarini, op. cit., p. XLVI.

[6]C. Chiarini, op. cit., p. XLVII.

[7] Che aveva designato alla successione non lui ma il proprio figlio Malcom.

[8] C. Chiarini, op. cit., p. XLVIII.

[9] Mazzarino traduce queste parole di Cesare:"Germani multum ab hac consuetudine differunt. Nam neque druĭdes habent, qui rebus divinis praesint, neque sacrificiis student. Deorum numero eos solos ducunt, quos cernunt et quorum aperte opibus iuvantur, Solem et Vulcanum et Lunam, reliquos ne fama quidem acceperunt " (De Bello Gallico, VI, 21). 

[10] S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, 2, p. 205.

[11] S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, 2, p. 206.

[12]De Bello Gallico , VI, 23.

[13] Amphitruo, 811.

[14] Adelphoe, 308.

[15] Annales III, 55.

[16]R. Musil, L'uomo senza qualità , trad. it. Einaudi, Torino, 1972, p. 395.

[17]G. Ugolini, Lexis , Atlas, Bergamo, 1992.

[18] Cfr. Cicerone, Verr. 2, 79.

[19] Quintiliano, Institutio oratoria , X, 1, 129.

[20]Nietzsche, Crepuscolo degli idoli , trad. it. Newton Compton, Roma, 1980, p. 46.

[21]Diario del seduttore , p. 86.

[22] . Si ricordi l'irrisorio "casta est quam nemo rogavit di Ovidio (Amores, I, 8, 44), è casta quella cui nessuno ha fatto proposte.

[23] F. Dostoevkij, I demoni, p. 451.

[24] G. D'Annunzio, Il piacere, p.41.

[25]S. Mazzarino, Il Pensiero Storico Classico , II volume, I tomo, pp. 127-129.

[26]I promessi sposi , III capitolo.

[27] E. Morin, L'identità umana, p.20.

[28] Critica della retorica democratica.

[29] La classe politica del 1896.

[30]Plutarco, Vita di Licurgo , 5.

[31]Plutarco, Vita di Licurgo , 13.

[32]II, 35-46.

[33]Anche in Eur. Hec  866 sgg. c'è un nesso tra scrittura delle leggi (novmwn grafaiv) e potere del popolo (plh'qo").

[34]G. Ugolini, Sofocle e Atene , pp. 150-151.

[35] L. Canfora, Critica della retorica democratica, p. 98.

[36] G. De Sanctis, Storia dei Romani, vol. II, pp. 46-48.

[37] Una gara dura è il matrimonio per gli esseri umani Intorno alla Concordia , fr. 49 Untersteiner.

[38] "La moltitudine e la minuta squisitezza delle leggi" traduce Leopardi.

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