NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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domenica 17 settembre 2023

Apuleio L’asino d’oro. Secondo libro. Amore e stregonerie. Corso di ottobre-novembre


 

Lucio considerava ogni cosa con cosità curiose singula coniderabam. Tutto pareva fatato e trasfigurato: ut et lapides quos offenderem de homine duratos crederem, tanto che pensavo che le pietre in cui inciampavo derivassero da uomini induriti, e gli uccelli uomini piumati, e gli alberi uomini con fronde.

 

Lucio accetta i rischi. Platone nel Fedone scrive kalo;~ ga;r oJ kuvndino~ (114d) bello è il rischio di credere nell’immortalità dell’anima e bisogna fare tali incantesimi a se stesso.

 

Tutto è animato, tutto subisce metamorfosi. Le cose terrene sono soltanto dei simboli.

Il Faust di Goethe si conclude con l’affermazione che “Tutto l’effimero è solo un simbolo”[1].Alles Vergängliche-ist nur ei Gleichniss. “Tutto ciò che è passeggero è solo una similitudine”: non è che un’immagine, un simbolo. Noi dobbiamo congiungere (sumbavllein-da cui deriva suvmbolon- vale: mettere insieme) il non eterno con l’eterno, dobbiamo, senza spregiare il transitorio, il mortale, contemplare in esso, attraverso esso, il non transitorio, l’immortale”[2]. 

Proust, La strada di Swann: “ Volsi il capo a guardare i campanili[3]…Ben presto le loro linee e le loro superfici soleggiate si ruppero come se fossero stata una scorza: li vidi simili a tre fiori dipinti nel cielo o alle tre fanciulle della leggenda abbandonate in un luogo solitario quando già calavano le tenebre” (p. 192).

 

Lucio gironzolava circumibam. C’è l’idea del labirinto molto presente già nel Satyricon: “Quid faciamus homines miserrimi et novi generis labyrintho inclusi? (73).

Finché lo riconosce e lo ferma la matrona Birrena. Lucio ha l’aspetto della madre Salvia, è bello per una suculenta gracilitas, una  snellezza vigorosa, ricca di sugo, saporita  Accostamento azzeccato, callida iunctura (Orazio, Ars, 48).  Mi incoraggia a fare di tutto per non perdere la mia.

Poi lo stile alto e nobile della non affettazione, della neglegentia: inadfectatum capillum (2, 2), capigliatura senza artificio[4].

Poi oculi caesi, chiari, ma vivi e aquilini e immediatus incessus[5], il modo di camminare naturale. Birrena dice di essere imparentata con Salvia: derivano entrambe dalla famiglia di Plutarco (2, 3).

Quindi porta il ragazzo in casa sua che Lucio descrive con un’ e[kfrasi~: tra le altre opere dell’arte aemula naturae vede un Atteone che guarda curioso optutu  con sguardo curioso (obtueor) Artemide pronta a bagnarsi (2, 4). Era già vicino a tramutarsi in cervo. E’ una prefigurazione della metamorfosi di Lucio e dei rischi che correrà. Birrena lo mette in guardia da Panfile la moglie di Milone  dove alloggia. Quella donna è maestra di ogni carme sepolcrale, omnis carminis sepulchralis magistra, di ogni negromantico incantesimo. Sa inabissare la luce del mondo nel Chaos (2, 5). Inoltre illa uritur  quella arde e tu sei giovane e bello.

Birrena è anxia ma Lucio è curiosus.

E’ arrivata l’exoptata occasio per explere pectus fabulis miris. (2,6)

 Vuole imparare, ma per il sesso sarà meglio pensare al’ancella Fotide, formā scitula et moribus ludĭcra et prorsus argutula  belloccia e scherzosa e piuttosto intelligente.

Cfr. animula vagula blandula dell’imperatore Adriano cultore della poesia quale lusus, come i poetae novelli che guardano a modelli pre-augustei. Cfr. anche Ego nolo Florus esse. 

La madre putativa, Birrena, si oppone alle esperienze di Lucio.

 Lucio inizia da Fotide il cui nome ha lo stesso significato di Lucio. Nel romanzo greco la ragazza si chiama Palaivstra. La servetta stava preparando la trippa (2, 7) parabat viscum fartim concisum  minutamente triturata ( si noti il maschile invece di viscus-eris neutro). Si trova in Plauto Poenulus 479. Cfr. fatus in Petronio e cfr. Leopardi il quale nota che il latino parlato è conservatore dell’antichità ed è  la catena tra gli scrittori più antichi e noi. Negli scrittori più antichi si trovano participi contratti come in italiano: postus invece di positus in Ennio” (Zibaldone, 2347).

 

Fotide decenter undabat (II, 8)  ancheggiava in modo appropriato. E’ una metafora marina che si usa di solito per le città travagliate povli~ saleuvei (Edipo re, 22-23).

C’è poi un elogio del caput capillumque femminile praecipua pars corporis, la prima a essere presa (prae- capio) principale, che risalta maggiormente.  Properzio: si nescis, oculi sunt in amore duces (II 15, 2). Antigone  w\ koino;n aujtavdelfon   jIsmhnh`~ kavra (v. 1).

 

T. Mann : il viso dalla forma esotica e piena di carattere. Se nel suo viso qualche cosa anche piccola avesse una forma diversa, probabilmente non desidererei nemmeno il suo corpo. L’amore per il viso è amore spirituale (La montagna incantata).

 

La stessa Venere Venus ipsa, pur tutta profumata e irrorata, si calva processerit, placere non poterit nec Vulcano suo (II, 8).

A Fotide aggiungeva grazia inordinatus ornatus la non ordinata acconciatura.

 

Quindi Ars casum simulat [6].   Fedra a Ippolito: in te magis refulget incomptus decor (Fedra, 657), la bellezza trascurata.

Ovidio: Hippolitum Phaedra, nec erat bene cultus, amavit (Ars I, 510).

Parini: “il crin Signore…non però senz’arte vada negletto su gli omeri a cader”, il Mattino, 1005 ss.

 

Lucio la bacia e Fotide promette che la sera andrà a trovarlo in camera per fare una forte battaglia. Eros si associa a Eris.  

 Quindi arriva del vino da parte di Birrena e Lucio aggiunge

un elogio del vino Veneris hortator et armĭger Liber. Serve a estinguere pudoris ignaviam (II, 11). La barca di Venere ha bisogno di questo solo approvvigionamento hac  sitarchĭā navigium Veneris indiget  solā.

 

Euripide Baccanti oi[nou de; mhkevt j o[nto~ oujk estin Kuvpri~-oujd j a[llo terpno;n oujde;n ajnqrwvpoi~ (773-774).

Terenzio, Eunuco, 732: Sine Cerere et Libero friget Venus.

Ovidio Vina parant animum Veneri, nisi plurima sumas-et stupeant multo corda sepulta mero” (Remedia, 807-8).

Macbeth “Much drink may be said to be an equivocator with lechery: makes him stand to and not stand to (II, 3).

Tacito Liber festos laetosque ritus posuit, Iudaeorum mos absurdus sordidusque (Historiae V, 5).

 

Quindi c’è la cena da Milone che racconta una storia poco interessante. Milone è l’uomo dalla chiacchiera infinita.

Lucio se ne libera e va nel suo cubilicum dove trova il vino e gladiatoriae Veneris antecenia (2, 15), gli antipasti dell’amore combattivo. L’amore come combattimento. Quando arriva Fotide, Lucio le dice che saevus  Cupido lo ha già colpito con la sua sagitta.

 

Questo Cupido armato di frecce lo troviamo raffigurato esemplarmente nel Pervigilium Veneris un carme anonimo di 93 tetrametri trocaici presente nell’ Anthologĭa latina che raccoglie autori dal II al VI sec. Amore è armato anche quando è feriatus, in vacanza, ed è nudo: “Nimphae cavete quod Cupido pulcher est-totus est in armis idem quando nudus est amor”(33 ss.).

 

 Continua il linguaggio militaresco Fotide gli fa: proeliare et fortiter proeliare, nec enim tibi cedam nec terga vertam (II, 17) Hodierna pugna non habet missionem.

 

Ovidio, negli Amores scrive:"Militat omnis amans, et habet sua castra Cupido;/Attice, crede mihi, militat omnis amans "(I, 9, 1-2).

 

Altre notti seguirono a quella fatta di salti, flessioni (pendulae Veneris fructu me satiavit, una Venere altalenante con Fotide che lo cavalcava)  e pure conluctationes, ne seguirono altre.

 

Quindi Lucio va a cena da Birrena e qui c’è la storia di Thèlyphron (II, 21-30), una storia di streghe che strappano a morsi le facce dei cadaveri. Telifron (qhluvfrwn= di animo femminile) racconta di una sua guardia notturna perché questo non avvenisse. Arriva una mustēla, una donnola che lo fissa e lo fa sprofondare nel sonno. Quando si sveglia il cadavere è intatto. Telifron fa una gaffe e viene coperto di improperi e picchiato. Sicché se ne va come Penteo o come Orfeo scerpiti da donne infuriate.

Durante il funerale, lo zio del morto accusa la vedova di avere avvelenato il marito per l’eredità e per compiacere l’amante (II, 26).

 

Tema del dilagare dell’adulterio già in Seneca: “eo ventum est ut nulla virum habeat nisi ut adulterum inrītet (De beneficiis 16, 3).

 

 La donna reagisce con pianti studiati emeditatis fletibus (II, 27). Quindi lo zio fa venire avanti un sacerdote di Iside, un egiziano vestito di lino e con il capo rasato. La gente attende un miracolo. Il cadavere si alza e parla. Il tema della morte e resurrezione torna più volte e culmina nella rinascita di Lucio. Il marito accusa la moglie che si mette a litigare con il cadavere parlante. Poi il morto racconta che le streghe di notte lo chiamarono per nome. Rispose il guardiano che si chiama come lui e gli levarono naso e orecchie e gliele sostituirono con della cera. In effetti Telifron ha naso e orecchie finti.

Il racconto è finito e i commensali sghignazzano.

 

Birrena dice a Lucio che il giorno seguente festeggeranno sanctissimum Deum risum (II, 31). Il dio Riso appartiene alla costellazione di Dioniso.

 

Licurgo eresse una statua al Riso e introdusse nei simposi lo scherzo come addolcimento della fatica e della durezza della vita (Vita di Licurgo, 25,4).

 Eraclito, lo stoico della prima età imperiale, nelle Allegorie omeriche sostiene che Zeus ignora le lacrime e che il suo essere a[klausto~ si addice alla sua divinità. C

Strabone, geografo dell’età di Augusto, scrive: “Gli uomini imitano bene gli dèi quando fanno del bene, ma ancora meglio quando sono felici (o{tan eujdaimonou`si, Geografia, X, 3, 9).).

 

Lucio poi torna a casa e crede di uccidere tre briganti (II, 93).

 

Fine del secondo libro

 

Pesaro 17 settembre 2023 ore 19, 42 giovanni ghiselli

p. s.

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[1] Goethe, Faust, II parte, atto V.

[2] D. Merezkovkij, Tolstòi e Dostoevskiy, p. 26.

[3] Di Martinville.

[4] Cfr. Ovidio, Ars III, 153 Et neglecta decet multas coma”.

 Il Cortegiano di Castiglione “Il gentiluomo deve schivare come un asperissimo e pericoloso scoglio l’affettazione”.

 

[5] Cfr.  Ovidio, Ars III 199 Est et in incessu pars non contempta decōris.

 

[6] Ovidio, Ars amatoria III, 155 .

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