L’asino viene portato a casa del soldato dove sente raccontare di un terribile delitto. E’ il caso mitico di Fedra diventato un fatto di cronaca nera. Il lettore è però avvertito che deve passare dal soccus al cothurnus dal sandalo dell’attore comico allo stivale di quello tragico.
Alla fine del Simposio platonico Socrate parla con Aristofane e Agatone e li costringe ad ammettere che un drammaturgo deve saper comporre tragedie e commedie. Plutarco nella Vita di Demetrio scrive che le sorti ci trasferiscono via via dalla scena comica alla tragica “ejk kwmikh`~ skhnh`~ pavlin eij~ tragikh;n metavgousin aiJ tuvcai kai; aiJ pravxei~ tou` ajndrov~ (28, 1).
Rispetto all’Ippolito di Euripide, Apuleio potenzia l’interpretazione colpevolista della donna. Il giovane di cui si racconta non è un cacciatore ma un litteratus alieno da sfuriate e cauto per non esasperare la matrigna che è più intraprendente di Fedra. Insomma questa matrigna si era innamorata del figliastro. Si vedeva che era bruciata dal fuoco d’amore, che era malata nell’anima, anche se fingeva di avere una malattia soltanto fisica.
Heu medicorum ignarae mentes! (10, 2) esclama l’autore echeggiando Heu vatum ignarae mentes di Virgilio (Eneide, IV, 65) a proposito della passione di Didone quid vota furentem, quid delūbra iuvant?
Properzio: “Omnis humanos sanat medicina dolores: solus amor morbi non habet artificem (2, 1, 57).
La donna era bruciata igne vaesano; immodice bacchatus Amor aestuabat, infuriando senza misura Amore, deus saeviens, dio rabbioso[1], ribolliva
C’è poi una metafora marina: la donna era in quodam vado dubitationis haerens, arenata in un guado di dubbio[2]. Comunque la matrigna dichiara il suo amore al figliastro e aggiunge: non ti trattenga il rispetto del padre: ti amo perché assomigli a lui[3].
Quindi promette segretezza: “Nam quod nemo novit, paene non fit ” (10, 3). Il giovane prende tempo e questo rinvio muta l’amore della donna in odio.
Attraverso uno schiavo farabutto la donna si procurò del veleno. Questo viene bevuto per sbaglio dal figlio stesso della scellerata puer ille iunior, proprius pessimae feminae filius (10, 5). Poi la pessima femina disse al marito che il bambino era stato ucciso dal fratellastro perché lei, la madre, non aveva voluto cedere alla violenza[4]. Il ragazzo viene processato. Il servo che aveva procurato il veleno alla scellerata accusa l’innocente. Interviene però un medicus auctoritatis praecipuus (8) e testimonia che quello schiavo si è fatto preparare il veleno da lui. Ma lui gli ha dato un narcotico non un veleno mortale poiché aveva imparato saluti hominum medicinam quaesītam esse (11)[5].
Nel De Magīa (40) Apuleio si difende dall’accusa di avere studiato i pesci per la sua magia nera dicendo che dai pesci ha ricavato rimedi: “Nihil enim quod salutis ferendae gratiā fuit, criminosum est.
Il medicus aveva procurato mandragoram che infonde un letargo simile alla morte. Il puer dunque si sveglia e racconta i fatti: lo schiavo fu condannato al patibolo e la donna all’esilio perpetuo (12).
Evidentemente l’apparato giuridico era favorevole ai ceti privilegiati.
Tema della resurrezione, presente anche nel mito di Ippolito.
Virgilio infatti fa tornare Ippolito dagli inferi (Eneide, 7, 775 ss). L’alma Trivia lo relēgat nel bosco della ninfa Egeria perché fosse Virbius[6]. Per questo dal tempio di Trivia e dai suoi boschi si tengono lontani gli zoccoluti cavalli “cornipedes arcentur equi “(779).
Ovidio nelle Metamorfosi fa risorgere Ippolito tramite Esculapio. Fu portato da Diana nel Lazio presso Aricia: “Qui fuisti Hippolytus-dixit-nunc idem Virbius esto!” (XV, 543-544). Da allora Virbius abita il bosco di Egeria. Hoc nemus inde colo (545).
La resurrezione del ragazzo è pure un ricordo di quella di Osiride, e il medico saggio potrebbe alludere a Toth-Ermes.
Il racconto si chiude con un elogio della divina provvidenza (10, 12). E’ l’amor fati di Apuleio.
Quindi l’asino viene venduto a due fratelli: un fornaio (pistor dulciarius) che faceva pane e dolciumi, e un cocus che preparava manicaretti squisiti (10, 13).
L’asino mangiava di nascosto i loro prodotti. Ognuno dei due fratelli pensa a furti dell’altro, e c’è il rischio che diventino come Eteocle e Polinice. Ma spiarono l’asino e videro che il ladro era lui. La cosa li fece ridere. Il loro padrone fece portare l’asino ad triclinium dove Lucio si esibì nel mangiare e bere cibi e bevande umane.
L’asino viene comprato e ammaestrato. Il nuovo padrone si chiamava Thiasus ed era di Corinto. Qivaso~ è la schiera sacra, la confraternita bacchica (Baccanti, 115)[7].
La riumanizzazione dell’asino è collegata ai misteri dionisiaci i quali consentono alla parte bestiale dell’uomo di essere recuperato alla persona umana.
L’asino viene portato a Corinto (19). Qui ha una rapporto sessuale con una Pasife asinaria. L’asino comincia a essere trattato bene. E’ iniziato il rovesciamento della brutta situazione.
In Lucio o l’asino la situazione è simile e analoghi sono i richiami a Pasife. Passata la paura di lacerare la donna, l’asino si lascia andare: ajdew`~ loipo;n uJphrevtoun, ejnnouvmeno~ wJ~ oujde;n ei[hn kakivwn tou` th`~ Pasivfh~ moicou` (51), dopo la servivo senza paura, pensando che non ero per niente peggiore del ganzo di Pasife.
Anche il Lucio dello Pseudoluciano è perivergo~, curioso.
Ma torniamo al romanzo di Apuleio
Il padrone destina l’asino spectaculo publico (10, 23). Doveva accoppiarsi con una disgraziata già condannata dal governatore. Era una avvelenatrice che aveva ucciso persino la propria figliola per impossessarsi del patrimonio. L’asino aveva orrore di quella donna, ma l’inizio della primavera e l’attesa del fiorire delle rose, lo facevano sperare.
Nell’arena viene dato uno spettacolo.
C’è il giudizio di Paride sulle tre dèe. Venere talora danzava con i soli occhi.
Properzio: si nescis, oculi sunt in amore duces (2, 15, 12).
Cicerone: “Oculos autem natura nobis ad motus animi declarandos dedit ” (De oratore, 3, 22).
Venere aveva con sé le Grazie e le Ore. Venere fu scelta da Paride e fu un giudizio pernicioso che creò rovine, come quello di Aiace o quello di Palamede o quello che condannò a morte Socrate.
Allora non bisogna meravigliarsi se oggi tutti i giudici mercanteggiano le loro sentenze si toti nunc iudices sententias suas pretio nundinantur (10, 32).
L’asino riesce a fuggire e giunge a Cencrĕa, 9 km a sud est di Corinto, una località bagnata dai mari Egeo e Saronĭco, con un porto animato da un grande movimento. L’asino va sulla riva del mare e si addormenta. Dalla natura bestiale deve emergere altro. La solitudine facilita la ricerca della propria interiorità.
Pesaro 18 settembre 2023 ore 17, 18 giovanni ghiselli
p. s
Non ho tradotto ogni parola ma lo farò durante il corso se ne verrò richiesto
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[1] La Fedra di Seneca:” quid possit ratio? Vicit ac regnat furor” ( Fedra, v. 184).
E Medea: “ira, quā ducis, sequor” ( Medea, 953)
E quella di Ovidio nelle Heroides: “Quo feret ira, sequar”. (12, 209, Epistola a Giasone.
[2] Così la Medea di Seneca: cor fluctuatur (943).
[3] Anche Fedra quando corteggia Ippolito gli dice est genitor in te totus, anche se la selvaggia componente materna aggiunge un incomptus decor ( Fedra, 655).
[4] Anche la Fedra di Seneca denuncia la violenza di Ippolito: “ferro ac minis non cessit animus: vim tamen corpus tulit” (10, 5).
[5] Il medico può essere modellato su Erasistrato archiatra di Seleuco I che risolse la difficoltà di Antioco innamorato di Stratonīce moglie del padre. Erasistrato confida nell’affetto di Seleuco per il figlio. Infatti Seleuco cede Stratonice ad Antioco (Plutarco, Vita di Demetrio, 38, 5).
[6] Servio interpreta Virbius come bis vir.
[7] Nell’ecloga V (v. 30) di Virgilio, thiasus è piuttosto la danza orgiastica in onore di Bacco (cfr. Eneide 7, 581).
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