giovedì 14 settembre 2023

Corso di ottobre-novembre XXIX Satyricon 23. Eumolpo parla dei vizi.

 

"Non dubie ita est: si quis vitiorum omnium inimicus rectum iter vitae coepit insistere, primum propter morum differentiam odium habet; quis enim potest probare diversa?" (84, 1), non c'è dubbio: se uno, nemico di ogni vizio, ha cominciato a calcare il retto cammino della vita, subito si attira l'odio per la differenza dei costumi; chi infatti può approvare gli usi rivolti dalla parte opposta?

-vitiorum: Eumolpo è un libertino vecchio e incallito:  più avanti (140) inviterà ad pygesiaca sacra, ai sacri riti delle natiche, la speciosissima filia affidatagli da una matrona di Crotone, inter primas honesta,  che "infatti" da giovane aveva estorto personalmente multas hereditates, ma poi, divenuta anus et floris extincti, vecchia e appassita, portava i figli a compiacere i vecchi senza eredi et per hanc successionem artem suam perseverabat extendere, e attraverso questa successione continuava a sviluppare il suo mestiere.

Mi permetto di commentare i sacri riti delle natiche con queste parole dette da Bloom nell’Ulysses di Joyce: “Yes, Peccavi! I have paid homage on the living altar where the back changes name”.  Sì, Peccavi, ho reso omaggio su quell’altare vivente dove la schiena terminando cambia nome (Capitolo XV, Circe il bordello, p. 479 testo inglese; p. 737 testo italiano.

 Adesso le mamme portano le figlie agli obbrobriosi concorsi delle miss.

 Dunque il significato di vitium in questo discorso di Eumolpo è del tutto diverso da come potrebbe intenderlo un moralista tradizionale. Vedremo più avanti, in Germania 19, che Tacito per vitium intende proprio il libertinaggio  Per il vecchio poeta del Satyricon vizio è la mancanza di esigenze spirituali, l'idolatria, l'adorazione del denaro.

 

-differentiam morum: il poeta sente l'estraneità dei suoi gusti rispetto a quelli dominanti. Una lontananza del genere sente Des Esseintes, il protagonista di A Rebours (1884)  rispetto alla borghesia:"che cosa d'altronde poteva esserci in comune tra lui e quella borghesia che s'era fatta a poco a poco, profittando per arricchirsi di tutti i disastri, suscitando catastrofi pur d'imporre il rispetto dei suoi misfatti e delle sue ruberie? Dopo quell'aristocrazia del sangue, era oggi la volta dell'aristocrazia del danaro. Oggi su tutto imperava la Bottega…spadroneggiava il mercante, vanitoso e truffatore per istinto, limitato e venale di animo…Conseguenza della sua salita al potere, era stata la mortificazione d'ogni intelligenza, la fine di ogni probità, la morte d'ogni arte. Gli artisti umiliati, s'eran buttati ginocchioni a divorar di baci i fetidi piedi dei grandi sensali e dei vili satrapi, delle cui elemosine campavano. Nella pittura, era un dilagare d'invertebrate scempiaggini; nella letteratura, il trionfo dello stile più piatto, delle idee più evirate…Era insomma la galera in grande dell'America trapiantata nel nostro continente; era l'inguaribile e incommensurabile pacchianeria del finanziere e del nuovo arrivato che splendeva, abbietto sole, sulla città idolatra che vomitava, ventre a terra, laidi cantici davanti all'empio tabernacolo delle banche"[1]. Più avanti Eumolpo fa un'analisi non lontana da questa di Des Esseintes che era infatti un ammiratore del romanzo di Petronio. Intanto concludiamo questo capitolo.

"Deinde qui solas extruere divitias curant, nihil volunt inter homines melius credi quam quod ipsi tenent. Insectantur itaque, quacumque ratione possunt, litterarum amatores, ut videantur illi quoque infra pecuniam positi"***"nescio quo modo bonae mentis soror est paupertas" (84, 2, 3, 4), Quindi coloro i quali si preoccupano solo di innalzare mucchi di denaro, non vogliono che tra gli uomini ci sia un'ideologia migliore di quella che possiedono loro. Pertanto perseguitano con tutti i mezzi che hanno gli amanti delle lettere affinché anche quelli sembrino sottoposti al denaro***non so come la povertà è sorella del genio.-extruere: il cultore della ricchezza, colui che accumula la roba, credono, come a suo modo il poeta, di costruire un monumentum aere perennius. Ma, come i tragici personaggi verghiani, pure essi devono lasciare la roba, e senza la consolazione che resta al poeta, di potere educare l'umanità anche dopo la morte. Muore disperato infatti Mazzarò cui non importa niente dell'anima:"quando gli dissero che era tempo di lasciare la sua roba, per pensare all'anima, uscì nel cortile come un pazzo, barcollando, e andava ammazzando a colpi di bastone le sue anitre e i suoi tacchini, e strillava-Roba mia, vientene con me!"[2].

Lo stesso fa Mastro Don Gesualdo:"Allora, disperato di dover morire, si mise a bastonare anatre e tacchini, a strappar gemme e sementi. Avrebbe voluto distruggere d'un colpo tutto quel ben di Dio che aveva accumulato a poco a poco. Voleva che la sua roba se ne andasse con lui, disperata come lui"[3]. "Quella follia di distruzione è la conclusione logica di questa religione terrena, senza Dio…Così i protagonisti di questo mondo economico verghiano, finiscono tutti…dannandosi l'anima"[4].

La furia distruttiva dei ricchi di cui parla Eumolpo (insectantur) invece vuole colpire chi ha un credo diverso da quello del denaro: gli amanti delle lettere e gli artisti in genere, soprattutto se non vogliono sottomettersi ai miseri quattrini. 

Quindi Eumolpo racconta un suo successo amoroso con un giovinetto condensando il significato della storia in una massima che, ancora una volta, stravolge la morale quiritaria:"nihil est tam arduum, quod non improbitas extorqueat" (87, 3)  niente è tanto difficile che la sfrontatezza non riesca a strappare.

 

Pesaro  14 settembre 2023 ore 11, 44 giovanni ghiselli

 

p. s.

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[1] J.K. Huysmans, Controcorrente, pp. 217-218.

[2] G. Verga, Novelle rusticane,  La roba.

[3] G. Verga, Mastro-don Gesualdo, IV, 4.

[4] Mastro Don Gesualdo a cura di Luigi Russo, p. 317.

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