In particolare Encolpio mette sotto accusa il cattivo gusto dello stile asiano grasso e bolso, dando voce all'atticismo di Petronio:"qui inter haec nutriuntur, non magis sapere possunt, quam bene olere qui in culina habitant. pace vestra liceat dixisse, primi omnium eloquentiam perdidistis. levibus enim atque inanibus sonis ludibria quaedam excitando effecistis ut corpus orationis enervaretur et caderet " (2, 2), quelli che vengono nutriti in mezzo a questi banchetti, non possono avere un gusto migliore del profumo di quelli che abitano in cucina. Con vostra pace mi sia concesso di avere affermato che voi per primi avete rovinato l'eloquenza. Infatti con suoni leggeri e vani, suscitando certi giochi di parole, avete fatto in modo che il corpo dell'orazione si afflosciasse e cadesse.
E' questo il correlativo stilistico dell'ira di Priapo. Infatti si può dire della bellezza quanto Sofocle afferma della ajlhvqeia in uno dei versi conclusivi dell'Antigone :"ojrqo;n aJlhvqei J ajeiv" (v. 1195), la verità è sempre una cosa dritta.
Dell' umbraticus doctor (2, 4) il quale chiude le menti dei giovani nelle declamazioni distruggendone gli ingegni e dell'esemplarità viceversa sempre valida di Euripide e Sofocle abbiamo già detto nel primo capitolo metodologico che così colleghiamo a questo.
Abbiamo già utilizzato anche Quintiliano[1] secondo il quale l'educazione e la formazione del ragazzo deve svolgersi in mezzo alla gente, nella vita politica, in un continuo confronto con gli altri, dunque lontana da quella vita umbratica che fa impallidire (pallescere) e puzza di muffa o crea un'opinione di sé eccessiva, sproporzionata a quella realtà effettuale che non si conosce.
Paradigmatici secondo Encolpio devono rimanere anche Pindaro, e tutti i nove lirici[2], che dal canto loro del resto non osarono cantare in versi omerici, e Platone con Demostene che non si abbassarono mai a quel genere di esercitazioni vuotamente declamatorie.
Lo stile deve risaltare non per gli orpelli ma per una sua bella naturalezza:" grandis et, ut ita dicam, pudica oratio non est maculosa nec turgida, sed naturali pulchritudine exsurgit " (2, 6), l'orazione grande e, per così dire, pura, non è chiazzata né enfatica ma si eleva per bellezza naturale. L'orazione insomma deve essere non truccata e non artefatta, come abbiamo visto della donna.
La retorica asiana d'altra parte aveva già ricevuto critiche, pur blande, dallo stesso Cicerone "rodiese" il quale sostiene che l'eloquenza, lasciata Atene[3], andò peregrinando per tutta l'Asia e da questa contaminazione derivarono gli "Asiatici oratores non contemnendi quidem nec celeritate nec copia, sed parum pressi et nimis redundantes " (Brutus, 51), gli oratori dell'indirizzo asiano non trascurabili certo per quanto riguarda la vivacità e la facondia, ma poco concisi e troppo sovrabbondanti.
Migliori dunque i Rodiesi e più simili agli Attici:"Rhodii saniores et Atticorum similiores".
Molto più critico verso la retorica asiana è Dionisio di Alicarnasso. Lo storiografo e maestro di retorica trasferitosi a Roma nel 30 a. C. nello scritto Sui retori antichi condanna l'eloquenza del tempo successivo ad Alessandro Magno considerata insopportabile per la teatralità: "l'eloquenza misia o frigia, l'etera venuta di recente da taluni fondi dell'Asia", riuscì a scacciare la moglie legittima, ossia l'eloquenza attica (1-3).
Su questa linea di condanna si trova Encolpio:"Nuper ventosa haec et enormis loquacitas Athenas ex Asia commigravit animosque iuvenum ad magna surgentes veluti pestilenti quodam sidere adflavit, semelque corrupta regula, eloquentia stetit et obmutuit. Ad summam, quis postea, Thucydidis, quis Hyperidis ad famam processit?" (2, 7-8), poco fa questa colossale logorrea piena di vento è tornata ad Atene dall'Asia e ha soffiato, come da un astro latore di morbi, sugli animi dei giovani che si alzano verso le cose grandi, e una volta corrotto il metodo ordinato, l'eloquenza si arrestò e ammutolì. Insomma chi, dopo questo, si avvicinò alla fama di Tucidide, chi di Iperide?[4].
Anche la poesia è decaduta:"ac ne carmen quidem sani coloris enituit sed omnia quasi eodem cibo pasta non potuerunt usque ad senectutem canescere" (2, 8), e neppure la poesia brillò del colore della salute ma tutte le opere alimentate per così dire dal medesimo cibo non riuscirono a incanutire fino alla vecchiaia. Nel paese guasto l'alimento della scuola, della poesia, della vita non può che essere avariato e quindi la corruzione è diffusa dappertutto. Infine la pittura, argomento sul quale Petronio tornerà:" pictura quoque non alium exitum fecit, postquam Aegyptiorum audacia tam magnae artis compendiariam invenit " (2, 9), anche la pittura non ha avuto risultato diverso dopoché la sfrontatezza degli Egiziani ha trovato la scorciatoia di un'arte tanto grande.
Intanto notiamo il biasimo dell'audacia che nei classicisti non manca mai. La tecnica compendiaria viene di solito attribuita al cosidetto terzo stile pompeiano. Si può vedere un esempio di tale tecnica nella casa dei Vettii[5].
"Non bisogna confondere, come spesso s'è fatto, questa pittura compendiaria , cioè rapida ed evocativa, con il moderno impressionismo, che tende a rendere con assoluta immediatezza un'emozione visiva. Consideriamo, scegliendo a caso, il gruppo di Ermafrodito e Sileno, nella casa dei Vettii. Il discorso pittorico è rapido, ha una cadenza accentata, vivace; ma scorre su uno schema del tutto convenzionale. E' una pittura a macchia…Nel giardino della Villa di Livia a Roma[6], si ha un "inventario" di piante, raffigurate a memoria: il pittore conosce la forma di ogni singolo albero o arbusto e la descrive con sicurezza; ma ciò che viene precisato con rapidi tratti di colore non sono le cose che l'artista vede, bensì le nozioni che ha di esse. Non dunque lo spettacolo della natura, ma le immagini della mente prendono forma e si fanno evidenti nell'arte; e la tecnica rapida e per cenni, compendiaria, non è una tecnica creata per rendere con immediatezza le emozioni visive ma per tradurre visivamente quelle immagini. Si spiega così come questa tecnica diventi anche più rapida e intensa nella pittura cristiana delle catacombe, le cui immagini puramente simboliche non hanno alcun rapporto con la realtà oggettiva"[7].
E' insomma una pittura lontana dal realismo rimpianto da Encolpio. "Anche nel ritratto si parte da "tipi"…Nelle tavolette che, tra I e V secolo, si ponevano in Egitto sulla mummia nei sarcofagi (detti ritratti del Fayum), la persona è rappresentata per lo più frontalmente, con grandi occhi spalancati per dare l'idea della vita; ma solo l'accentuazione di qualche tratto fisionomico richiama la figura reale del defunto. E', come si vede, un procedimento che non parte dal "vero" ma, muovendo dall'idea o dal tipo, tende ad accostarsi al vero: un procedimento, cioè, che va dal generale al particolare senza tuttavia implicare una presa diretta del reale"[8]. Fra tali ritratti viene mostrato quello di Paquio Proculo e sua moglie che provenie da una casa di Pompei e risale al I sec. d. C.
Per qianto riguarda le arti figurative non sono abbastanza peparato né sensibile per dire la mia, tranne per pochi autori come il Maestro di Olimpia e Piero della Francesca
Quindi devo citare qualche specialista che magari nemmeno mi piace, né capisco del tutto. Ma nella letteratura esprimo spesso pareri miei e credo di farlo almeno discretamene.
Pesaro 6 settembre 2023 ore 20, 29 giovanni ghiselli
p. s.
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[1] Institutio oratoria , I, 2, 18.
[2] Il canone alessandrino dei nove lirici più importanti comprendeva Saffo, Alceo, Anacreonte (lirica monodica), Simonide, Bacchilide, Pindaro, Alcmane, Stesicoro, Ibico (lirica corale). Li abbiamo menzionati quasi tutti come poeti d'amore e maestri dei latini.
[3] Con allusione a Eschine: l'oratore ateniese andò in esilio a Rodi.dopo che la sua orazione pronunciata Contro Ctesifonte , il quale aveva proposto una corona di merito a Demostene, fu respinta dai giudici favorevoli a quella di Demostene Per la corona (330 a. C.).
[4] Oratore ateniese coetaneo di Eschine, fu con Demostene nel partito antimacedone. Fu fatto uccidere da Antipatro nel 322 a. C. Viene ricordato da Cicerone tra gli oratori capaci di parlare atticamente (attice dicere ) entusiasmando il pubblico, con Pericle, Eschine e soprattutto Demostene ( Brutus , 290).
[5] Poco dopo la metà del I sec. d. C.
[6] Metà del I sec. d. C.
[7] G. C. Argan, Storia dell'arte italiana, 1, p. 161.
[8] G. C. Argan, op. cit., p. 162.
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