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domenica 3 settembre 2023

Percorso sull’amore IX 17. Alimenti afrodisiaci e vino.

Percorso sull’amore IX 17- Ovidio Remedia Amoris . Antologia commentata dal v. 768 all’ultimo (814)

 

Torniamo per un poco su Gallo

Conte avverte che l'attribuzione a Gallo di otto dei nove versi, trovati di recente, è dubbia; "ma certo questi frammenti papiracei ci consegnano un'immagine di Gallo vicina a quella tramandataci da Virgilio, e sembrano confermare la sua importanza come mediatore fra neoterismo ed elegia augustea"[1].  

Ovidio nei Tristia, ricapitolando la propria vita, riconoscerà a Gallo il primo posto nell'elegia, almeno in ordine di tempo:"Vergilium vidi tantum, nec avara Tibullo/tempus amicitiae fata dedere meae./Successor fuit hic tibi, Galle, Propertius illi,/quartus ab his serie temporis ipse fui" ( IV, 10, 51-54), Virgilio lo vidi soltanto, né il destino avaro concesse tempo per la mia amicizia a Tibullo[2]. Egli succedette a te Gallo e Properzio a lui, quarto dopo questi in ordine di tempo fui io.

Ripeto due versi citati sopra e aggiungo un commento

Quis poterit lecto durus discedere Gallo?/Et mea nescio quid carmina tale sonant" (Remedia-vv. 765-766)

-nescio quid : è il vago e l'indefinito che ogni poesia deve avere. Lo ha chiarito Leopardi che del resto non è un estimatore di Ovidio:  sostiene sia un poeta che descrive piuttosto che dipingere come Virgilio o scolpire come Dante[3].

Segue un giudizio ingeneroso ed errato a parer mio Ovidio "si lasciava trasportare dalla sua vena e copia, con poco uso della lima, siccome p. lo stile, così p. la lingua"[4]. E ancora più avanti:"ei non ha maggior intento né più grave, anzi a null'altro mira, che descrivere, ed eccitare e seminare immagini e pitturine, e figure, e rappresentare continuamente" (p. 3480).

 Io credo che il pur grandissimo recanatese non avesse gli strumenti extraletterari per capire Ovidio.

 

Altro  motivo di sofferenza, anzi il più grande, è la gelosia causata dalla presenza di un rivale:" aemulus est nostri maxima causa mali" (Remedia, v. 768). Di questa piovra del cervello abbiamo già detto; il rimedio suggerito da Ovidio è quello di non figurarsi alcun rivale e di pensare che lei dorma sola nel letto:" At tu rivalem noli tibi fingere quemquam/inque suo solam crede iacere toro" (vv. 769-770).

 

Sappiamo da Saffo, e dall'esperienza. che difficilmente la donna lo fa volentieri: "E' tramontata la luna/e le Pleiadi; è a metà/

 la notte, trascorre la giovinezza/e io dormo sola" ( fr. 94D.).

 

Orazio (in Sat . I, 5, 82-83) utilizzerà, in un contesto ironico, il luogo saffico:"hic ego mendacem stultissimus usque puellam/ad mediam noctem expecto ", qui io sono tanto stupido da aspettare fino a mezzanotte una ragazza bugiarda.

 

Ancora più ironica questa mia ex alunna venerta sposata male: “beata era! Mi dormo con un bauco ah!”

 

 La presenza di un rivale, di un altro amante o pretendente, rende più cara e preziosa la donna. Vengono fatti, al solito, esempi tratti dal mito: Oreste si innamorò di Ermione quando questa aveva cominciato a essere di Pirro, figlio di Achille, ed Elena divenne cara a Menelao, che era andato a Creta senza di lei, quando Paride la portò a Troia. Achille piangeva (flebat Achilles, v.777) come gli fu tolta Briseide. Il pianto dell'eroe Achille, biasimato da Platone che considera indegni di lettura le lacrime e i lamenti del figlio di Tetide, dovunque si trovino rappresentati[5], viene interpretato da Ovidio come segno della potenza dolorifica insita nella gelosia che dunque va evitata. I suggerimenti contro questo mostro sono tanti. Il Sulmonese consiglia di scappare a gambe levate dal covo della donna quando si è trovata la forza di lasciarla, facendo come Ulisse con i Lotofagi e le Sirene:" Illo Lotophagos, illo Sirenas in antro/ esse puta; remis adice vela tuis" (789-790), pensa che in quell'antro ci siano i Lotofagi e le Sirene; ai tuoi remi aggiungi le vele.

Notate come le desinenze che si ripetono nelle declinazioni agevolino la rima.

 

La forza del pensiero insomma deve controbattere e superare quella dell'istinto e dell'emotività. Altrimenti si potrebbe finire come Medea.

 Pavese consiglia un altro pensiero contro il "mostro dagli occhi verdi":" Perché essere geloso? Lui non vede in lei quel che vedo io-probabilmente non vede nulla. Tanto varrebbe esser geloso di un cane o dell'acqua della piscina. Anzi, l'acqua è più all-pervading di qualunque amante"[6]. E, diversi anni dopo:"Una donna, con gli altri, o fa sul serio o scherza. Se fa sul serio, allora appartiene a quell'altro e basta; se scherza, allora è una vacca e basta"[7].

Del resto in Il mestiere di vivere troviamo scritto pure:" Chi non è geloso anche delle mutandine della sua bella, non è innamorato".

 La guarigione completa, conclude Ovidio, ci sarà quando potrai dare un bacio al rivale:"oscula cum poteris iam dare, sanus eris" (v. 794), probabilmente poiché ti ha liberato da un grave peso.

Soprattutto se il nuovo amante è un giapponese o un australiano e la sposa e la porta nella sua terra.

 

Contro i cibi afrodisiaci

Quindi Ovidio passa ai cibi accentuando la componente medica del resto sempre presente nel suo  poemetto:"Daunius an Libycis bulbus tibi missus ab oris/an veniat Megaris, noxius omnis erit " (797-798), la cipolla della Daunia o mandata dalle coste libiche o importata da Megara sarà sempre nociva. In quanto ti fa desiderare più che mai la donna, nociva lei pure.

 In questa prospettiva, ribaltata rispetto a quella del viagra o alle pratiche cui si sottopone Encolpio contro l'impotenza, nocivo significa eccitante.

 Tale è anche la rucola:"Nec minus erucas aptum vitare salaces,/et quicquid Veneri corpora nostra parat " (799-800), e non è meno opportuno evitare la rucola afrodisiaca e tutto quanto dispone il nostro corpo a Venere.

 

-salaces, da salax, connesso a salio, salto, significa propriamente "che fa saltare". "La radice deriva dall'indoeuropeo *sal- che ha dato come esito in greco aJl-, in latino sal-"[8]. In greco salto si dice a{llomai.

 

Nell'Ars amatoria, che condivide l'impianto didascalico dei Remedia amoris ,ma vuole insegnare il contrario, Ovidio consiglia gli stessi e altri cibi afrodisiaci a chi non deve risparmiare i lombi:"bulbus et, ex horto quae venit herba salax/ovaque sumantur, sumantur Hymettia mella/quasque tulit folio pinus acuta nuces" ( II, 422-424), si prenda la cipolla, e la rucola eccitante che viene dall'orto, le uova e si prenda il miele dell'Imetto e i pinoli che produce il pino dalle foglie aghiformi.

 La cipolla (bolbov" ) è con le conchiglie e le lumache, tra gli ingredienti principali anche del povto" aJduv" (v. 17), il magnifico banchetto che svela l'amore di Cinisca nel XIV idillio di Teocrito.  

 La cipolla e la rucola anche da Marziale sono messi tra gli afrodisiaci che peraltro non aiutano Luperco abbandonato dalla mentula:"sed nihil erucae faciunt bulbique salaces" (III, 75, 3), niente ti fanno la rucola e le cipolle eccitanti.

Quando il pene è contumace, come lamenta Encolpio nel Satyricon, non c’è eruca bulbi che tengano.

  

Veniamo quindi al vino:" Vina parant animum Veneri, nisi plurima sumas/ et stupeant multo corda sepulta mero./Nutritur vento, vento restinguitur ignis;/lenis alit flammas, grandior aura necat./Aut nulla ebrietas, aut tanta sit, ut tibi curas/eripiat; si qua est inter utrumque nocet " (vv.805-808), il vino dispone l'animo a Venere, se non ne prendi troppo e non vengono intontiti i sensi sepolti dal molto vino. Viene nutrito dal vento, dal vento viene pure spento il fuoco; una lieve brezza alimenta le fiamme, un vento più grande la spenge. O non ci sia l'ebbrezza o sia così grande da portarti via gli affanni, se una si trova a metà, ti fa male.

-Vina: Una riflessione sugli effetti erogeni del vino si trova nel romanzo L'asino d'oro di Apuleio. Il curiosus protagonista Lucio, preparandosi a un incontro amoroso con  l'ancella Fotide, ricevuta in dono un'anfora di prezioso vino invecchiato, vini cadum in aetate pretiosi,   invita l'amante a bere insieme il liquido di Bacco elogiandolo come il miglior  viatico per percorrere una lunga rotta sulla barca di Venere:"Ecce-inquam,-Veneris hortator et armĭger Liber advenit ultro! Vinum istud hodie sorbamus omne, quod nobis restinguat pudoris ignaviam et alacrem vigorem libidinis incutiat. Hac enim sitarchĭa navigium Veneris indĭget sola, ut in nocte pervigili et oleo lucerna et vino calix abundet " (II, 11), ecco, dico, che stimolatore e armigero di Venere arriva Libero spontaneamente ! Beviamocelo tutto oggi questo vino che spenga in noi la viltà del pudore e susciti un focoso vigore di libidine. In effetti la barca di Venere ha bisogno soltanto di questo approvvigionamento in modo che,  durante la notte di veglia, la lucerna sia piena d'olio e la coppa di vino.

Anche il portiere del castello di Macbeth , una specie di portiere dell'inferno come ipotizza di essere con ironia sofoclea[9], disquisisce,  intorno agli effetti del bere sulla libidine: la provoca e la demoliscw; provoca il desiderio ma ne porta via l'esecuzione. " Therefore, much drink may be said to be an equivocator with lechery ", perciò bere molto si può denominare colui che rende equivoca la lascivia: la crea e la distrugge; la spinge innanzi e la tira indietro; la persuade e la scoraggia; "makes him stand to, and not stand to", la mette in piedi e non la tiene su, insomma la equivoca col sonno e dandole una smentita la pianta (II, 3).

In questo monologo, "di un fine umorismo lucianesco…occorrono certe allusioni a fatti contemporanei, che allora, cioè quando Shakespeare scriveva il Macbeth [10], dovevano essere a common topic[11], o, come diremmo noi, sulla bocca di tutti, e che ci riportano a quell'anno"[12] (1606).

 Chiarini fa l'esempio della parola equivocator usata due volte nel monologo e che allude alla dottrina gesuitica dell'equivocazione invocata da Enrico Garnet, superiore dell'ordine dei gesuiti processato nel 1606 appunto per l' accusa di avere partecipato alla congiura delle polveri (gunpowdwer  plot) ordita dai cattolici, nel 1605, contro Giacomo I.

 

 Si può aggiungere e precisare che bere alcolici, in quantità non eccessiva, può disinibire in certi casi o, in altri, fare obliare la scarsa attrazione sentita in condizione di lucidità per un partner che non ci piace.       

Siamo giunti all'epilogo:" Hoc opus exegi: fessae date serta carina/;/ contigimus portus quo mihi cursus erat./ Postmodo reddetis sacro pia vota poetae,/carmine sanati femina virque meo"  (vv. 811-814), ho portato a termine quest'opera: offrite corone alla nave stanca; abbiamo toccato il porto cui era diretta la rotta. In seguito renderete le dovute grazie al sacro poeta, uomini e donne risanati dalla mia poesia.-exegi: ricorda exegi monumentum, ho portato a termine un monumento, di Orazio (Carmina, III, 30,1).-carinae: torna ancora la metafora della navigazione.-sanati :" l'ultimo verso con il significativo sanati recupera alla struttura superficiale l'impronta di trattato medico e sembra rispondere al v. 43 del proemio didascalico, discite sanari per quem didicistis amare"[13].

 

A questa didattica dell'amore ovidiana voglio aggiungere alcuni suggerimenti presi, oltre che dall'esperienza, da autori moderni, consigli che  possono essere sintetizzati da una riflessione di Musil:  se da un lato può essere vero che "la morale non esiste perché non la si può dedurre da qualcosa di stabile" e quindi "vi sono soltanto delle regole per l'inutile conservazione di condizioni transitorie", come afferma Ulrich il protagonista de L'uomo senza qualità, è altresì vero quello che aggiunge subito dopo:"sostengo che non vi è profonda felicità senza morale profonda"[14].

Quindi la guarigione dalla pena amorosa richiede non solo le Pieridi come asserisce Teocrito all'inizio dell'idillio XI (vv. 1-3),  o quell' abbraccio e quello  stendersi insieme con i corpi nudi suggerito da Longo Sofista,[15] ma una moralizzazione del rapporto.

In altre parole, è bene osservare la persona amata, come se fosse un meraviglioso fenomeno naturale, senza volere né cambiarla né possederla; si tratta di rispettarla nel senso etimologico suggerito da Fromm:" Rispetto non è timore né terrore; esso denota, nel vero senso della parola (respicere =guardare), la capacità di vedere una persona com'è, di conoscerne la vera individualità. Rispetto significa desiderare che l'altra persona cresca e si sviluppi per quello che è. Il rispetto, perciò esclude lo sfruttamento; voglio che la persona amata cresca e si sviluppi secondo i suoi desideri, secondo i suoi mezzi, e non allo scopo di servirmi"[16].

E ancora: se amo una persona "io la rispetto, cioè (secondo il significato etimologico di re-spicere ) io la guardo come essa è obiettivamente e non travisata dai miei desideri o dalle mie paure. La conosco, sono penetrato oltre la sua apparenza fino al fondo del suo essere e ho collegato me stesso con lei dal profondo del mio essere"[17].

 

Pesaro 3 settembre 2023 ore 16, 41 giovanni ghiselli

p. s.

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[1]G. B. Conte, Scriptorium classicum, 2, p. 104.

[2] Morì nel 19 (come Virgilio) o nel 18 a. C.

[3] Zibaldone, 2523.

[4]Zibaldone, 3063.

[5]In Repubblica 388b per esempio

[6] Il mestiere di vivere, 21 febbraio 1938.

[7] 27 dicembre 1946.

[8] G. Ugolini, Lexis , p. 109.

[9] Egli esordisce dicendo: questo si chiama bussare per davvero! Se un uomo fosse portiere dell'inferno (if a man were porter of hell-gate) avrebbe l'abitudine antica di girare la chiave (II, 3). Non "possiamo fare a meno di sentire che nel far finta di essere il portiere dell'inferno egli è terribilmente vicino alla verità" (Bradley, op. cit., p. 424).

[10]  Regnò sulla Scozia dal 1040 al 1057.          

[11] A proposito dei nostri tovpoi!

[12] Cino Chiarini (a cura di) Macbeth , p. XII.

[13]Ovidio Rimedi contro l'amore , p. 175.

[14]R. Musil, L'uomo senza qualità , p. 846.

[15] Le avventure  pastorali di Dafni e Cloe, II, 7.

[16]L'arte d'amare , p. 43.

[17] E. Fromm, Psicanalisi della società contemporanea , p. 40.

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