NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

LE NUOVE DATE! Protagonisti della Storia Antica | Biblioteche Bologna   -  Tutte le date link per partecipare da casa:    meet.google.com/yj...

domenica 3 settembre 2023

Percorso sull’amore IX 18. Conclusione della IX stazione della Via Amoris,


 

La sofferenza amorosa, se viene compresa, può essere produttiva, comunque va superata.

 Dalla donna che ci fa soffrire si impara anche.

 Su questo possiamo sentire Proust:"Una donna di cui abbiamo bisogno, che ci fa soffrire, trae da noi serie di sentimenti ben più profondi, ben altrimenti vitali di quanto possa fare un uomo superiore che ci interessi. Resta da sapere, secondo il piano su cui viviamo, se davvero ci sembra che il tradimento col quale ci ha fatto soffrire una donna sia ben poca cosa in confronto delle verità che ci ha rivelate, verità che la donna, paga d'aver fatto soffrire, non avrebbe potuto comprendere (...) Facendomi perdere il mio tempo, facendomi soffrire, forse Albertine mi era stata più utile, anche sotto l'aspetto letterario, di un segretario che avesse messo in ordine le mie "scartoffie". Tuttavia, allorché un essere è così mal conformato (e può darsi che nella natura un tal essere sia proprio l'uomo) da non poter amare senza soffrire, e da aver bisogno di soffrire per imparare certe verità, la vita d'un tale essere finisce col riuscire ben spossante!"[1].

Con il tempo si impara a desiderare soltanto la donna che ci fa gioire e a scappare da quelle che ci fanno soffrire o ci annoiano.

Il fatto è che spesso ci hanno fatto soffrire le donne di casa, e non è solo la vicenda di Proust, e crediamo a lungo che sia necessario e giusto soffrire. Dopo qualche anno di sofferenze deleterie e di ingiustizie patite però comprendiamo che non ci sono dovute e accettiamo solo relazioni ricche di gioia e prive di dolore e di noia.

L'amore maturo significa un'uscita da questo stato di squilibrio. Alla fine dell'amore di Swann troviamo un suggerimento per  la guarigione. Vediamo:" appena Swann se la poteva raffigurare senza orrore, appena rivedeva bontà nel suo sorriso...il suo amore ridiventava soprattutto un gusto delle sensazioni dategli dalla persona di Odette, del piacere che provava nell'ammirare come uno spettacolo o nell'interrogare come un fenomeno, l'alzarsi di uno sguardo, il formarsi d'un suo sorriso, l'emissione d'un tono di voce" (p. 322).

Amare una persona rispettandola dunque significa osservarla senza la pretesa di cambiarla, contemplarla come si può fare con un paesaggio o un tramonto.

Pretesa di cambiare la donna certamente no, però anche la pretesa che la donna non intenda cambiare me. Ho rinunciato tante volte ad accoppiarmi per non rinunciare a studiare, a educare, a pedalare, a correre, a prendere il sole anche con quaranta gradi. Perfino cinquanta.

Una soluzione del genere si trova nel romanzo La Noia  di Moravia:"insomma, lei non volevo più possederla bensì guardarla vivere, così com'era, cioé contemplarla, allo stesso modo che contemplavo l'albero attraverso i vetri della finestra"[2].

Anche il protagonista di Un Amore  di Buzzati arriva alla comprensione e alla compassione per la ragazza che l'ha fatto soffrire siccome  gli ha rivolto contro  l' intenzione che lui aveva di usarla, osservandola sine ira et studio :" dal sonno di lei così abbandonato e confidente viene a lui un senso di pietà e di pace, una specie di invisibile carezza"[3].

L'invidia si supera trovando la propria identità:"se cerchiamo l'identità di essere qualcuno al di sopra e al di là di quello che ci accade e di quello che viviamo, allora non potrà nascere l'invidia. Perché l'invidia è passione dell'altro, passione dell'identità dell'altro, passione della libertà dell'altro, nella propria vacillante unità e libertà"[4].

 

Concludiamo la IX stazione di questa via amoris con l'antistrofe del terzo Stasimo dell'Antigone di Sofocle. Il coro si rivolge a Eros

"Tu anche dei giusti le non più giuste/menti trascini alla rovina:/tu anche questa contesa consanguinea/di uomini hai scatenato;/e vince il desiderio vivace/degli occhi della fidanzata bella nel letto/e siede accanto nella gestione delle grandi /leggi: ineluttabile infatti/gioca la dea Afrodite" (vv. 791-800).

-ajdivkou" (791)  Le menti giuste traviate dall'amore diventano ingiuste solo quando l'amore è malato. Si può pensare alla gelosia: "the green-eyed monster, which doth mock/ the meat it feeds on "[5], il mostro dagli occhi verdi che si fa beffe del cibo di cui si pasce. xuvnaimon (794) : ipallage che sottolinea ulteriormente la consanguineità sempre notata da Sofocle -e[cei" taravxa" (794) forma perifrastica costituita da e[cw e dal participio aoristo di taravssw, simile al nostro passato prossimo- eujlevktrou: (796) composto di euj e levktron, "letto" per indicare le gioie che possono sconvolgere la razionalità e l'equilibrio fino a creare attriti o addirittura guerra tra i consanguinei.

Il sostantivo è formato sulla radice lec-/loc- con la quale si formano anche  a[loco" , compagna di letto, moglie, e lovco" , "agguato".

Da questa etimologia possiamo vedere la doppia valenza della donna: accogliente e soccorrevole oppure nemica e letale.

Tale ambiguità delle parole. impiegata spesso da Sofocle e debìnunciata più volte da Pirandello- si può notare anche confrontando a[loco"  con a[koiti" , "moglie", colei che dorme insieme, da aj copulativo+ kei'mai, "giaccio", formato sulla radice kei-/koi- su cui si forma keimhvlion, "oggetto riposto", "tesoro".

 La sposa dunque può esssere un agguato, un tesoro, e altre cose ancora: si ricorderanno la rete (Escilo, Agamennone, 1116) e l'inganno scosceso (Esiodo, Teogonia , 589 e Opere , 83). Diverse tra le grandi tragedie  hanno a che fare con il letto il quale non poche volte è il mobile più importante del palazzo, come nota Kott a proposito dell'Alcesti.

 Nelle Trachinie di Sofocle c'è una presenza quasi ossessiva del talamo nuziale intorno a Deianira, il fiore di ieri, la sposa trascurata di Eracle tornato da una delle sue imprese con una ragazza, il fiore di oggi:"ejxaivfnh" sf j  oJrw'-to;n JHravkleion qavlamon eijsormwmevnhn", subito la vedo lanciarsi sul talamo di Eracle (vv.912-913); "oJrw' de; th;n gunai'ka demnivoi" toi'" JHrakleivoi"", vedo la donna nel letto di Eracle...(v.915-916); "kaqevzet j ejn..mevsoisin eujnathrivoi"", sedeva in mezzo al letto coniugale (v.918); "w\ levch te kai; numfei' j ejmav", o letto e mia stanza nuziale(v.920).

 Nell'Alcesti, dove la coppia"funziona", c'è un vero e proprio culto del letto: qui l'eroina muore affermando la sua fedeltà, prima che allo sposo, a questo vero e proprio feticcio domestico:"prodou'nai ga;r s j ojknou'sa kai; povsin-qnh/skw", non volendo tradire te e lo sposo/muoio(vv.180-181).

-pavredro" (Antigone, 798)  apposizione del precedente i{mero". (796).   pavredro" è formato da paravvvvv - e e{dra, "sede" la cui "radice deriva dall'indoeuropeo *sed - che ha dato come esito in greco eJd-/sd- (>z-), in latino sed- "[6].- i{mero"  (796) è il desiderio per una persona presente. Platone spiega molto chiaramente la differenza tra questo termine e povqo":"himeros  indica il desiderio diretto verso un partner che è presente, ovvero il desiderio che sta per essere soddisfatto, pothos , invece, il desiderio nei confronti di un assente, ovvero il desiderio che soffre di non potersi appagare: il rimpianto, la nostalgia[7]" [8].

 Il pastore Dafni nell' Idillio VIII di Teocrito mette il povqo" di un uomo per una tenera fanciulla tra i mali spaventosi del mondo: come l'inverno per gli alberi, l'arsura estiva per le acque, il laccio per gli uccelli, le reti per gli animali selvatici (vv. 56-59). Desiderio sarà il tema del prossimo convegno dei Filosofi lungo l’Oglio. Dovrei esserci,

  -tw`n megavlwn (797)…qesmw'n (799) Il Desiderio appunto è una delle grandi leggi del mondo: essa riguarda uomini e ferae pecudes [9] , gli animali selvaggi, ognuno dei quali segue la dea dell'amore cupide  dovunque ella voglia condurlo.-a[maco" (799) torna, circolarmente, l'invincibilità dell'amore la cui dea  (  jAfrodivta 799)  è forma dorica per  jAfrodivth) del resto non infligge solo guerre e ferite ma sa anche elargire ludi e giochi.

Aristofane infatti afferma che Qewriva, la festa, odora di grembi di donne che corrono sui campi:"o[zei...kovlpou gunaikw'n diatrecousw'n eij" ajgrovn", (Pace , v. 536).

In questo Stasimo dell’Antigone volendo si può trovare un'anticipazione del tovpo" del servitium amoris. P. Fedeli ci riferisce che alcuni studiosi (Copley e Stroh) ritengono "che il motivo nella formulazione tibulliana e properziana sia tipicamente romano" mentre un altro (Murgatroyd) "giunge alla conclusione che il motivo è attestato sin dall'Antigone di Sofocle. Il Murgatroyd, però, non si è preoccupato di distinguere se lo stato di servitium si riferisca alla condizione dell'uomo oppure a quella della donna e se, in questo caso, rifletta lo stato di totale dedizione della moglie nei confronti del marito nella società greca; non si preoccupa, infine, di considerare se si tratti di esempi generici di schiavitù nei confronti del dio Amore piuttosto che nei confronti della persona amata"[10].-ejmpaivzei (800) : da questo stasimo si vede che l'amore può essere causa di rovina ma anche fonte di gioco:"Afrodite è più dea del gioco che dell'amore, in un certo modo è la divinità dell'amore-passione. Tutti i disegni neoclassici lo hanno compreso, e hanno anche inteso l'amore come gioco"[11].    

 

Pesaro 3 settembre 2023 ore 17, 56 giovanni ghiselli

p. s.

Statistiche del blog

Sempre1399649

Oggi82

Ieri128

Questo mese425

Il mese scorso5814

 



[1]M. Proust, Il tempo ritrovato , pp. 239 e 242.

[2]Moravia, La Noia , Bompiani, Milano, 1984, p. 345.

[3]D. Buzzati, Un Amore , Mondadori, Milano, 1965, p. 250.

[4] M. Zambrano, L'uomo e il divino p. 264.

[5]Shakespeare, Otello , III, 3.

[6]G. Ugolini, Lexis , p. 186.

[7]Platone, Cratilo , 240a-b.

[8]J. P. Vernant, L'individuo, la morte, l'amore , p. 120.

[9]Lucrezio, De rerum natura , 15.

[10] Lo spazio letterario di Roma antica, 1, p. 168.

[11] M. Zambrano, L'uomo e il divino, p. 244.

Nessun commento:

Posta un commento