Torniamo a Ovidio
"Intrat amor mentes usu, dediscitur usu;/qui poterit sanum fingere, sanus erit " (vv. 503-504), l'amore entra nel pensiero con l'abitudine, con l'abitudine si disimpara; chi potrà fingersi guarito, sarà guarito.-usu...usu : l'amore e i pensieri d'amore, come tutte le altre attività umane, dipendono dalla pratica.-sanum fingere : la maschera con il tempo diventa volto.
A volte non è nemmeno necessario tenerla a lungo:" Non bisogna mai dire per gioco che si è scoraggiati, perché può accadere che ci pigliamo in parola"[1].
Seguono consigli sul comportamento da tenere davanti alla "ianua clausa "( Remedia amoris, v. 506), la porta chiusa. Ovidio si pone fuori dal paraklausivquron topico: esorta l'amante respinto a simulare indifferenza:"Nec dic blanditias nec fac convicia posti/nec latus in duro limine pone tuum./Postera lux aderit; careant tua verba querelis,/et nulla in vultu signa dolentis habe ./ Iam ponet fastus, cum te languere videbit;/hoc etiam nostra munus ab arte feres " (vv. 507-512), non dire parole carezzevoli e non fare cagnara con l'uscio, e non stendere il fianco sulla dura soglia. Verrà il giorno seguente; le tue parole siano senza lagnanza, e non avere in volto nessun segno di uomo dolente. Subito deporrà la superbia quando ti vedrà poco teso; anche questo dono ricaverai dalla mia arte.-nec...nec : Ovidio utilizza il tovpo" del lamento davanti alla porta chiusa in maniera anomala, opposta alla solita. Questi loci possono essere impiegati, al pari di strumenti sintattici o lessicali, in contesti vari e con significati diversi.-languere : sembra che Ovidio stimi graditi e interessanti per le donne il languore e l'indifferenza, mentre secondo altri punti di vista la donna è molto attirata dal desiderio priapesco. Lo vedremo nel Satyricon.
Del resto l'autore sa che le persone sono varie e dunque:"Nam quoniam variant animi, variabimus artes;/mille mali species, mille salutis erunt " (525-526), infatti siccome sono vari i caratteri, varieremo i consigli; mille sono le forme del male, mille saranno quelle della guarigione. Il poeta consiglia quella "flessibilità", che ora è tanto di moda nel campo lavorativo. Corrisponde nella sfera erotica a quella che Guicciardini chiama "discrezione". In certi casi può essere risolutiva la sazietà, fino alla noia:" Taedia quaere mali: faciunt et taedia finem " (v. 539), cerca la noia del male, anche la noia pone la fine.
Altre volte può essere utile far cessare la diffidenza:"Fit quoque longus amor, quem diffidentia nutrit;/hunc tu si quaeres ponere, pone metum " (vv. 543-544), diventa lungo anche un amore che la diffidenza nutre; se vorrai deporlo, metti via il timore. In questo caso chiaramente si amava non la persona ma la diffidenza e il sospetto suscitati da lei. La paura di perdere una donna è un grande incentivo a volerla:"Plus amat e natis mater plerumque duobus,/pro cuius reditu, quod gerit arma, timet " (vv. 547-548), tra due figli la madre di solito ama più quello sul cui ritorno, siccome è in guerra, ha timore.
Cfr. Quod sequitur, fugio; quod fugit, ipse sequor Ovidio, Amores, II, 20, 36.
Questo è un verso che ho citato e commentato già diverse volte. Chi mi ha letto o ascoltato può saltarlo. Nel corso che inizierò il 3 ottobre ripeterò questa pagina solo se ne sarò richiesto.
E' questo il tovpo" dell'amore che insegue chi fugge e scappa da chi lo insegue. Tale locus ha un' ampia presenza nella poesia amorosa e, probabilmente, pure nell'esperienza personale di ciasuno di noi: Teocrito nel VI idillio paragona Galatea che stuzzica Polifemo alla chioma secca che si stacca dal cardo quando la bella estate arde:"kai; feuvgei filevonta kai; ouj filevonta diwvkei" (v. 17), e fugge chi ama e chi non ama lo insegue. Nell'XI idillio lo stesso Ciclope si dà il consiglio di non inseguire chi fugge ma di mungere quella presente (75), femmina ovina o umana che sia.
Abbiamo qui l'ironia teocritea che deriva dalla consapevole dissonanza tra l'elemento popolare e quello raffinato letterario. Teocrito è, come Callimaco, un rappresentante di una poesia cosiddetta postfilosofica:"Post-filosofici sono questi poeti, nel senso che non credono più nella possibilità di dominare teoreticamente il mondo, e nell'esercizio della poesia, a cui Aristotele aveva ancora riconosciuto un carattere filosofico, si allontanano scetticamente dall'universale e si rivolgono con amore al particolare"[2].
"Un epigramma di Callimaco (Anth. Pal. 12, 102) liberamente tradotto per l'occasione in versi latini, diventa in Orazio il ritornello caro a questi incontentabili stolti:" Come il cacciatore insegue la lepre nella neve e non la prende quando è a portata di mano, così fa anche l'amante che dice: "Meus est amor huic similis: nam/transvolat in medio posita et fugientia captat " (Sermones , 1, 2, 107s.). Ed è proprio questo epigramma di Callimaco che fornisce ad Ovidio (in un componimento degli Amores tutto impegnato a redigere il codice della perfetta relazione galante) il motto che può rappresentare emblematicamente la tormentata forma dell'amore elegiaco: quod sequitur, fugio; quod fugit, ipse sequor (Amores, 2, 20, 36)"[3], evito ciò che mi segue, seguo ciò che mi evita.
E' questo un luogo comune dell'amore, o, forse, della non praticabilità dell'amore.
Sentiamo qualche altra testimonianza. Nella commedia La locandiera (del 1753) Goldoni fa dire alla protagonista, Mirandolina, in un monologo."Quei che mi corrono dietro, presto mi annoiano" (I, 9).
Una situazione analoga troviamo ne Il giocatore di Dostoevskij dove il protagonista dichiara il suo amore a Polina in questi termini:"Lei sa bene che cosa mi ha assorbito tutto intero. Siccome non ho nessuna speranza e ai suoi occhi sono uno zero, glielo dico francamente: io vedo soltanto lei dappertutto, e tutto il resto mi è indifferente. Come e perché io l'amo non lo so. Sa che forse lei non è affatto bella. Può credere o no che io non so neppure se lei sia bella o no, neanche di viso? Probabilmente il suo cuore non è buono e l'intelletto non è nobile; questo è molto probabile"[4].
Proust nel V e terzultimo volume della Ricerca, conclusa negli ultimi mesi di vita (tra il 1921 e il 1922) esprime lo stesso concetto:"Qualsiasi essere amato-anzi, in una certa misura, qualsiasi essere-è per noi simile a Giano: se ci abbandona, ci presenta la faccia che ci attira; se lo sappiamo a nostra perpetua disposizione, la faccia che ci annoia"[5].
L'analogia con il cacciatore può essere estesa a quella con il raccoglitore di fiori. Il fiore raccolto non è più amabile. Molto note sono le ottave dell'Orlando furioso:"La verginella è simile alla rosa,/ch'in bel giardin su la nativa spina/mentre sola e sicura si riposa,/né gregge né pastor se le avicina;/l'aura soave e l'alba rugiadosa,/l'acqua, la terra al suo favor s'inchina:/gioveni vaghi e donne innamorate/amano averne e seni e tempie ornate.//Ma non sì tosto dal materno stelo/rimossa viene, e dal suo ceppo verde,/che quanto avea dagli uomini e dal cielo/favor, grazia e bellezza, tutto perde./La vergine che 'l fior, di che più zelo/che de' begli occhi e de la vita aver de',/lascia altrui còrre, il pregio ch'avea inanti/perde nel cor di tutti gli altri amanti" (I, 42-43).
Meno noti sono forse il sentimento e la riflessione di Vrònskij dopo che ha realizzato il suo sogno d'amore con Anna Karenina:"Lui la guardava come un uomo guarda un fiore che ha strappato, già tutto appassito, in cui riconosce con difficoltà la bellezza per la quale l'ha strappato e distrutto"[6].
Gozzano, su questa linea, sospira con ironia:" Il mio sogno è nutrito d'abbandono,/di rimpianto. Non amo che le rose/ che non colsi"[7].
Sentiamo infine C. Pavese:"Ma questa è la più atroce: l'arte della vita consiste nel nascondere alle persone più care la propria gioia di esser con loro, altrimenti si perdono"[8].
Altro rimedio atto a deporre l'amore è quello, suggerito al poeta da Cupido in sogno, di porre mente ad altri tormenti:"ad mala quisque animum referat sua: ponet amorem/omnibus illa deus plusve minusve dedit " (Remedia, vv. 559-560), ciascuno volga l'attenzione ai propri guai: deporrà l'amore, a tutti più o meno il dio ne ha dati.
Vengono elencati alcun mali, dal denaro prestato, al padre severo (durus pater, 563) al figlio sotto le armi (filius miles) alla figlia da sposare (filia nubilis, v. 571). "Et quis non causas mille doloris habet?/Ut posses odisse tuam, Pari, funera fratrum/debueras oculis substituisse tuis " (vv. 572-574), e chi non ha mille cause di sofferenza? Per potere odiare la tua amante, Paride, avresti dovuto metterti davanti agli occhi le morti dei fratelli. E' questo il sistema di scacciare un dolore con un altro dolore cui si può rispondere con un sarcasmo usato da Pavese due giorni prima di uccidersi:"chiodo schiaccia chiodo, ma quattro chiodi fanno una croce"[9].
Del resto i dolori e i desideri per essere superati vanno attraversati moralmente, e non repressi, altrimenti esplodono più tardi nella follia, come succede al protagonista della Morte a Venezia di T. Mann, la cui "rigida, disciplinata integrità" non lo tutela dall'esplosione degli "istinti oscuri" che anzi lo travolgono e lo stendono:"Si abbandonò su una panchina; stravolto aspirò il profumo notturno degli alberi. "Ti amo!" sussurrò lasciando cadere le braccia, riverso, sopraffatto, assalito da ricorrenti brividi. Era la formula stereotipa del desiderio: assurda in quel caso, grottesca, turpe, ridicola, e tuttavia sacra e venerabile"[10].
Il consiglio successivo è "loca sola caveto " (Remedia, v. 579), guardati dai luoghi solitari. Gli amici, perfino la folla aiutano a dimenticare.
Pesaro 2 settembre 2023 ore 11, 25 giovanni ghiselli
p. s.
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[1] C. Pavese, Il mestiere di vivere, 5 agosto 1940.
[2] Bruno Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo , p. 372.
[3]G. B. Conte, introduzione a Ovidio rimedi contro l'amore , p. 43.
[4] F. Dostoevskij, Il giocatore, p. 42.
[5] M. Proust, La prigioniera, p. 183.
[6] L. Tolstoj, Anna Karenina, p. 366.
[7] Cocotte, vv. 67-69.
[8] Il mestiere di vivere, 30 settembre 1937.
[9] Il mestiere di vivere, 16 agosto 1950.
[10] T. Mann, La morte a Venezia, pp. 62-63 e p. 118.
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