Antologia
commentata dal v. 441 a v. 498.
Segue il consiglio, già presente in Meleagro di Gadara (120-60) di non limitarsi a una sola amante.
In un epigramma il poeta consiglia a Filocle di averne otto nello stesso momento così da poter fare un'insalata di ragazzi (Antologia Palatina, XII, 95).
Ma il tema della pluralità delle amanti è sviluppato meglio da Properzio[1] che, in II, 22, già menzionata, si giustifica per essere un uomo mollis in omnes ( v. 13), tenero con tutte le donne.
La natura ha assegnato a ciascuno un suo difetto, afferma:"mi fortuna aliquid semper amare dedit" (18), a me la sorte ha dato quello di amare sempre e non sarò mai cieco davanti alle belle, o invidioso:"numquam ad formosas, invide, caecus ero" (v. 20). Dalla giustificazione dunque il poeta è passato alla rivendicazione: chi lo biasima lo fa per invidia. E chi sostiene che fare molto l'amore indebolisce, non se ne intende:"nullus amor vires eripit ipse suas" (28), nessun amore di per sé toglie le forze. Parole sante e autorizzate da exempla: Giove giacque con Alcmena per due notti, "nec tamen idcirco languens ad fulmina venit" (27), né tuttavia per questo tornò languido ai suoi fulmini. E' un bell'ossimoro concettuale languens ad fulmina che accosta, negandola, la fiacchezza moscia dell'uomo scarico alla potenza infuocata e diritta del fulmen come simbolo fallico. Ugualmente Achille ed Ettore non si afflosciavano dopo i convegni amorosi con Briseide e Andromaca, anzi, avrebbero potuto distruggere questo la flotta, quello le mura. Properzio è come il Pelide e il fiero Ettore. Anzi è come il cielo che ha bisogno della luce solare e di quella lunare:"sic etiam nobis una puella parum est" (36), così anche per me una ragazza non è abbastanza. E' più piacevole e più sicuro:"nam melius duo defendunt retinacula navim,/tutius et geminos anxia mater alit" (41-42), infatti due ormeggi assicurano meglio la nave e una madre ansiosa alleva con maggior sicurezza due figli.
Che l'amore per le donne, per tutte le donne, sia in ogni caso sano e vitale lo leggiamo in una delle ultime pagine del romanzo La coscienza di Zeno, una pagina chiave, tra le più dense di significato:"In mezzo a quel verde rilevato tanto deliziosamente da quegli sprazzi di sole, seppi sorridere alla mia vita ed anche alla mia malattia. La donna vi ebbe un'importanza enorme. Magari a pezzi, i suoi piedini, la sua cintura, la sua bocca, riempirono i miei giorni. E rivedendo la mia vita e anche la mia malattia le amai, le intesi! Com'era stata più bella la mia vita che non quella dei cosiddetti sani, coloro che picchiavano e avrebbero voluto picchiare la loro donna ogni giorno salvo in certi momenti. Io, invece, ero stato accompagnato sempre dall'amore. Quando non avevo pensato alla mia donna, vi avevo pensato ancora per farmi perdonare che pensavo anche alle altre. Gli altri abbandonavano la donna delusi e disperando della vita. Da me la vita non fu mai privata del desiderio e l'illusione rinacque subito intera dopo ogni naufragio, nel sogno di membra, di voci, di atteggiamenti più perfetti"[2].
Sottoscrivo queste parole degne di approvazione torno a Ovidio:"Hortor et ut pariter binas habeatis amicas/fortior est, plures si quis habere potest " (vv. 441-442), vi consiglio di avere contemporaneamente due amanti per volta, è più forte uno se può averne diverse. Può succedere addirittura, anzi succede spesso, aggiungo, che l'amante serva a riconquistare l'amore del coniuge, moglie o marito, assaliti dal timore di perdere il compagno fino a quel momento trascurato. Gli adulteri, e gli amanti degli adulteri, non poche volte hanno il merito di salvare le coppie stanche del loro matrimonio.
Svevo dà il suggerimento opposto:"Un'amante in due è l'amante meno compromettente"[3].
Ovidio fa esempi mitici di amori nuovi che scacciano amori vecchi: a Tereo sarebbe piaciuta la bella moglie (procne) "sed melior clausae forma sororis erat " (v. 460), ma era più bello l'aspetto della sorella rinchiusa (Filamela stuprata e mutilata dal cognato. Le due solelle uccideranno Iti, il figlio di Tereo e Procne, quindi verranno tutti e tre mutati in uccelli: usignolo, rondine e upupa ). Un paradigma non troppo felice a dire il vero, poi altri assai meno noti. "Il nuovo catalogo di exempla mitici è redatto all'insegna del preziosismo, sia nella scelta dei miti-alcuni dei quali poco diffusi-sia nelle soluzioni lessicali"[4].
Quindi l'autore, con buon gusto, sente il peso dell'erudizione e si affretta a sintetizzare:"Quid moror exemplis quorum me turba fatigat?/Successore novo vincitur omnis amor " (vv. 461-462), perché perdo tempo con esempi di cui la calca mi stanca? ogni amore viene vinto da uno nuovo che gli succede. Poi però gli viene in mente un exemplum più noto, efficace, e tale che gli consente un motto arguto: quello di Agamennone il quale, costretto da Calcante a lasciare Criseide, nel prendersi la somigliante e quasi omonima Briseide, avrebbe detto:"Est-ait Atrides-illius proxima forma,/et, si prima sinat syllaba, nomen idem " (vv. 475-476), ce n'è una-disse l'Atride-vicinissima a lei per bellezza, e, se la prima sillaba lascia fare, il nome è il medesimo.
La seconda moglie in effetti di solito assomiglia alla prima anche se è più giovane. E' quasi una legge.
Achille me lo deve consentire, continua Agamennone, poiché sono re: se restassi senza donna, Tersite potrebbe prendere il mio posto. La storia dell'Atride capo della spedizione troiana in sé è assai tragica e notissima non solo per l'Iliade ma anche per la sua frequente presenza nella tragedia.
Ebbene Ovidio utilizza una vicenda del genere per consigliare di ridere sopra le perdite e i fallimenti, se non si vuole accrescere il dolore con il dolore e il danno con il danno.
"Ergo adsume novas auctore Agamennone flammas,/ut tuus in bivio distineatur amor./Quaeris ubi invenias? Artes tu perlege nostras:/plena puellarum iam tibi navis erit " (vv. 485-488), quindi, sotto l'esempio autorevole di Agamennone, accogli nuove fiamme, perché il tuo amore si divida ad un bivio. Chiedi dove si trovano? Leggi attentamente la mia Ars : subito la tua nave sarà piena di ragazze.-auctore, come il Discorso Ingiusto delle Nuvole di Aristofane utilizza Zeus per autorizzare l'adulterio, così Ovidio si avvale di Agamennone, senza dare peso alla sua brutta fine.-in bivio : in questo bivio, diversamente da quello di Eracle, non è necessario scegliere, anzi si devono seguire, a turno, entrambe le strade.-navis : di solito è allegoria dello stato, qui sembra rappresentare la domus del libertino.
La barca quale simbolo di uno stato d'animo ondeggiante sui flutti delle contraddizioni conseguenti all'amore si trova nel sonetto CI del Canzoniere di Petrarca:" O viva morte, o dilectoso male,/come puoi tanto in me, s'io nol consento?/ Et s'io 'l consento, a gran torto mi doglio./Fra sì contrari vènti in frale barca/mi trovo in alto mar senza governo,/sì lieve di saver, d'error sì carca/ch'i' medesmo non so quel ch'io mi voglio,/e tremo a mezza state, ardendo il verno" (CXXXII, 7-14).
A noi succede per l’aria condizionata d’estate e per l’eccessivo riscaldamento di certi locali in inverno. Spreco di denaro e di salute.
Ovidio quindi suggerisce varie simulazioni: fingiti freddo quando ardi come se fossi dentro l'Etna, fingiti sano (et sanum simula , 493) perché non si accorga se hai qualche dolore, e ridi quando dovresti piangere. Insomma:"Quod non est, simula positosque imitare furores;/sic facies vere quod meditatus eris " (vv. 497-498), fingi quello che non è, e simula che i furori siano deposti, così farai davvero quello che avrai meditato.-simula : l'amante deve essere dunque grande simulatore e dissimulatore di qualsiasi cosa, come il Catilina di Sallustio e il principe di Machiavelli per il quale " non può… uno signore prudente né debbe osservare la fede, quando tale osservanzia gli torni contro" . Forse pure Ovidio potrebbe aggiungere "se li uomini fussino tutti buoni, questo precetto non sarebbe buono , ma poiché sono tristi e non la osserverebbero a te, tu ancora non l'hai ad osservare a loro"[5].
Devo del resto dire che il male e il bene si possono simulare quasi sempre, l’erezione proprio mai siccome il pene non è un dito
Stare iubes sempre nostrum, tibi, Lesbia penem,
crede mihi, non est mentula quod digitus (Marziale, VI, 23)
Con questo distico sapido chiudo la lezioncina
Pesaro 2 settembre 2023 ore 10, 25 giovanni ghiselli
p. s.
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