martedì 24 ottobre 2017

Max Pohlenz, "La Stoa". Lettura commentata. XXI parte

Orazio

paideiva filanqrwpiva Peri; tou' kaqhvkonto".
Honestum, virtus, officium, gloria sono concetti romani.
Pavqo" per i Greci è una limitazione dell’attività del soggetto, ma Cicerone traduce con perturbatio che invece corrisponde a tarachv, ed evita pure una traduzione letterale di ajpavqeia usando tranquillitas animi.
Il romano rispetto al greco dà maggiore importanza alla volontà che al pensiero. Il greco nell’interpretazione di un atto si chiede che cosa abbia pensato chi agisce, il romano che cosa abbia voluto (così come noi italiani). Il romano parla di benevolentia (con il velle), che in greco è eu[noia con il nou'". La proaivrei", la scelta diviene voluntas. Cicerone però fu alquanto rispettoso dei termini greci. Per esempio usa atomus (f.) che in Lucrezio non si trova.
Varrone traduce pavqo" con passio, Seneca con adfectus.

Augusto voleva ripristinare gli antiqui mores e gli antiqui viri. Già Ennio aveva scritto: moribus antiquis res stat Romana virisque (fr. 367). Citato da Cicerone in De republica V, 1 con il commento che questo verso vel brevitate vel veritate tamquam ex oraculo quodam mihi esse effatus videtur. Cleomene III aveva capito ch il costume dei padri non poteva rinascere se non lo si coniugava con la modernità, e Augusto capì che lo stesso scopo si poteva raggiungere attraverso il connubio dell’antico con la filosofia stoica. In questa restaurazione fu aiutato oltre che da Livio che con la sua storia volle illustrare la forza morale della romanità antica, anche da Virgilio e da Orazio. Virgilio e Orazio avevano seguito le lezioni dell’epicureo moderato Sirone. L’epicureismo moderato offriva ai discepoli beni non tanto diversi da quelli dei maestri della Stoà.
Del resto i due poeti non si limitavano a cercare la pace interiore ma volevano anche essere educatori del popolo. A Orazio piaceva molto Aristippo di Cirene (435 - 366) di cui lo attirava il motto e[cw, oujk e[comai, habeo, non habeor. Del resto lo stesso carpe diem ha un che di cirenaico.
Nelle prima delle sei Odi romane in strofe alcaiche (27 a. C.) del III libro Orazio si proclama Musarum sacerdos (III, 1, 3) ma egli è anche rappresentante del logos
 Egli si rivolge alla gioventù che richiama al sentimento dell’onore e della responsabilità di essere cittadini romani, dell’urbs che gli dèi hanno scelto come signora del mondo. L’ode III, 1 insegna la sobrietà e la frugalità. Chi desiderat quod satis non ha paura di perdere i raccolti (25). Qui c’è un motivo epicureo, quello contro il lusso e lo spreco.

L’ode III, 2 parla della virtus: dulce et decorum est pro patria mori (13), Il sacrificio per la patria dischiude le vie del paradiso, come nel Somnium Scipionis. La virtù che schiude il cielo reclūdens caelum disprezza con ala fuggitiva le riunioni volgari e la terra intrisa d’acqua coetusque vulgaris et udam spernit humum fugiente penna.
In III, 3 Orazio parla della iustitia una virtù nella quale furono saldi Polluce ed Ercole che nutriranno Augusto di nettare. Bacco con la iustitia aggiogò al suo carro le tigri. Polluce Eracle e Dioniso dunque si sono conquistati l’accesso alle rocche ignee (arces igneas) del cielo
Già Perseo aveva spiegato alcune divinità sostenendo che gli uomini riconoscenti hanno tributato onori divini ai loro grandi benefattori e sono menzionati proprio Eracle i Dioscuri e Dioniso, Analogo il pensiero di Cicerone in Tusc. I 27. I Romani però giunsero all’oggettiva divinizzazione, Si può pensare a Romolo - Quirino. Poi il Divus Iulius e in Orazio il Divus Augustus (Carm. III 5, 2 - 3: praesens divus habebitur - Augustus)
Roma è più forte nel disprezzare l’oro non trovato, e collocato meglio quando la terra lo nasconde piuttosto che ammucchiarlo per gli usi umani con la destra che rapisce ogni oggetto sacro omne sacrum rapiente dextra (ode III, 3, 49 - 52). La cisi viene dalla brama smisurata di ricchezze, un male da scongiurare.

In III 4 Orazio si dichiara uomo delle Muse vester Camenae. Le Muse lo hanno protetto fin da bambino quando si smarrì sul monte Vulture in Apulia e si addormentò: le colombe lo coprirono con delle foglie e lo salvarono dal morso dei serpenti. Le Muse ispirano lene consilium a Ottaviano. La forza bruta priva del lene consilium va in rovina: quella dei Titani fu domata dai fulmini di Giove.
L’orrenda turba dei Titani non prevalse: Giove la sterminò fulmine caduco (44). Ebbe anche timore Giove quando il Pelia fu posto sull’Olimpo oscuro da Oto ed Efialte. Ma nulla poterono costoro o Tifeo o Encelado scalatore audace di tronchi divelti. Nulla poterono contra sonantem Palladis aegida (57) Questi ribelli vennero sepolti sotto l’Etna.
Vis consili expers mole ruit suā (III, 4, 65) la forza priva di senno implode sotto la propria mole, mentre gli dèi stessi portano avanti la forza regolata
 Geme la terra gettata sui suoi mostri: Tifeo, Encelado, sotto l’Etna, Tizio incontinente cui rode il fegato un avvoltoio messo a guardia della libidine (aveva tentto di violentare Diana) amatorem trecentae - Pirithŏum cohibent catenae (79 - 89) trecento catene trattengono Piritoo in cerca di amore (tentò di rapire Persefone)
La V ode del terzo libro celebra la virtù di Attilio Regolo e il suo patriottismo, il suo onore. Tornando dal barbaro carnefice diede un esempio.
La VI e ultima ode romana biasima la corruzione presente: gli dèi non venerati hanno colmato l’Italia di sciagure: di multa neglecti dederunt - Hesperiae mala luctuosae (III, 6, 7 - 8). La famiglia e la stessa stirpe sono in pericolo. La sposa inter mariti vina, iuniores quaerit adulteros (24 - 25) e nemmeno sceglie a chi donare i suoi amplessi in fretta nelle tenebre
 Il marito poi è d’accordo (non sine conscio marito) se la invita un comandante di nave spagnola dedecorum pretiosus emptor che compra a caro prezzo il disonore. Eppure la gioventù romana sconfisse Pirro e Annibale rusticorum mascula militum proles (37 - 38) maschia stirpe di soldati agresti esperta a a rovesciare la zolla con le zappe sabine, sabellis docta ligonibus versare glaebas, et severae matris ad arbitrium, a un comando della madre severa, pronta a trasportare tronchi quando il sole allunga le ombre sui momti.
 Il tempo corrompe: l’età dei padri fu peggiore di quella degli avi e forse noi daremo progeniem vitiosiorem.

Queste odi dunque presentano le aspirazioni del nuovo regime: il rifiuto delle ricchezze superflue, il valore in guerra formatosi attraverso una vita semplice e rude, la condanna del lusso e della corruzione sessuale, il bisogno di ordine politico. La mens solida è l’aretè stoica che garantisce il dominio del logos. “si fractus illabatur orbis,/impavidum ferient ruinae”, (III, 3, 7 - 8) se il mondo infranto crolla, le rovine lo colpiranno senza spaventarlo. E’ l’uomo giusto, e forse ai Romani si mostrava l’immagine di Catone suicida.
Virgilio, l’epicureo, si converte all’immortalità dell’anima perché Anchise nell’Averno possa mostrare al figlio i futuri eroi di Roma. C’è la concezione di Posidinio e la metempsicosi. E c’è la fede nella volontà divina che guida il popolo romamo alla grandezza. Questa volontà è il fatum stoico come nell’ode di Orazio III, 3. La eijmarmevnh che si identifica con la provnoia e può essere chiamarta Iuppiter.

Enea non è certo un filosofo stoico, si chiama pius, poché come lo stoico Cleante accoglie nella propria volontà quella divina e intende realizzare i decreti della provvidenza. Infatti l’eJmarmevnh degli Stoici non vuole portare a un’inerzia fatalistica; essa chiede all’uomo la sua collaborazione. La missione imperiale di Roma dunque venne giustificata da Panezio e Posidonio, quindi consacrata da Orazio e Virgilio.
La Stoà fu la filosofia più e meglio congeniale ai Romani. Servì a fare rivivere gli ideali etici antichi e fu utile come medicina dell’anima.

Fine del I volume di La Stoa di Max Pohlenz presentata e commentata da giovanni ghiselli

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