Deianira, una volta contesa, poi abbandonata, è divenuta come un dolente uccello ( oi|av tin j a[qlion o[rnin, v. 105) e si consuma nel giaciglio tormentoso, privo dell'uomo (Sofocle, Trachinie, v. 110).
Il tovpo" del paragone tra l'essere umano desolato e l' uccello dolente.
La similitudine tra l'essere umano addolorato e l'uccello che lamenta la perdita delle sue creature è topico nella letteratura europea.
Vediamo alcuni versi dell'Antigone (422-425 ) nei quali la ragazza, che ha trovato il cadavere di Polinice denudato dalla bufera, viene paragonata per il suo lamento a un uccello "amareggiato:"E allontanatosi questo dopo lungo tempo,/si vede la ragazza, e alza l'acuto grido/di un uccello addolorato (pikra''"-o[rniqo"), come quando ha volto/ lo sguardo sul fondo vuoto del nido privo degli uccellini- " .- "Questo" è riferito a un precedente (v. 418) tufwv" , un uragano che ha sollevato dalla terra una tempesta, skhptovn, quale oujravnion a[co" , angoscia del cielo, una sorta di correlativo oggettivo, atmosferico della pena della fanciulla.
L'uccello "amareggiato" dunque ( pikra'"- o[rniqo", vv. 423-424 ) messo in rilievo dall'inarcatura, è un altro segno di "paese guasto"[1] dove tutto va verso il dolore.
Infatti altri testi considerano gli alati come portatori di letizia. C'è per esempio un makarismov" di Aristofane nella seconda parabasi degli Uccelli (del 414), gli alati pennuti che d'inverno non indossano mantelli né li brucia (qavlpei, v. 1092) il caldo raggio luminoso della calura soffocante poiché abitano nei seni dei prati fioriti e delle foglie.
Questa commedia invero immagina un’utopia.
Nel De rerum natura gli uccelli sono i primi a segnalare l'arrivo di Venere all'inizio della primavera:" Nam simul ac species patefactast verna diei/et reserata viget genitabilis aura favoni,/aeriae primum volucres te, diva, tuumque/significant initum perculsae corda tua vi " (I, 10-13), infatti appena l'aspetto primaverile del tempo si è manifestato/e vigoreggia dischiuso il soffio fecondatore di Zefiro,/per primi gli uccelli del cielo segnalano te, o dea,/e il tuo arrivo percossi nel cuore dalla tua forza.
Vedremo che del resto quel perculsae (da percello, "colpisco" ) contiene un'avvisaglia di violenza; l'uccello può essere un segno ambiguo e dare segni ambigui. Anche la direzione del loro volo può dare segni diversi.
Tendiamo comunque a ricavare buoni auspici vedendoli volteggiare contenti a gara insieme nel cielo
Pure il pessimismo di Leopardi ha dovuto riconoscere qualche felicità agli uccelli:'E che gli uccelli sieno e si mostrino lieti più che gli altri animali, non è senza ragione grande. Perché veramente...sono di natura meglio accomodati a godere e ad essere felici. Primieramente non par che sieno sottoposti alla noia. Cangiano luogo a ogni tratto; passano da paese a paese quanto tu vuoi lontano, e dall'infima alla somma parte dell'aria, in poco spazio di tempo, e con facilità mirabile...E siccome abbondano della vita estrinseca, parimenti sono ricchi della interiore; ma in guisa, che tale abbondanza risulta in loro benefizio e diletto, come nei fanciulli; non in danno e miseria insigne, come per lo più negli uomini"(Elogio degli uccelli).
L'uccello sofferente è segno di un dolore diffuso dovunque nel mondo, una sofferenza che è figlia della malvagità umana e che solo la bellezza morale può riscattare come nota Dostoevskij :" il mio giovane fratello chiedeva perdono anche agli uccelli: lì per lì, sembra un'assurdità, codesta; invece non lo è punto, perché il mondo è come l'oceano; tutto scorre e interferisce insieme, di modo che, se tu tocchi in un punto, il tuo contatto si ripercuote magari all'altro capo della terra. E sia pure una follia chiedere perdono agli uccelli; ma per gli uccelli, per i bambini, per ogni essere creato, se tu fossi, anche soltanto un poco, più leale di quanto non sei ora, la vita sarebbe certo migliore"[2]
Resta da commentare l'ultimo verso tradotto sopra dall’Antigone (425) con quel "giaciglio...privo" (ojrfanovn...levco"). Lo strazio dell'uccello privato dei figli prefigura la pena di Antigone che, condotta nella prigione-tomba, lamenterà di andare a morire a[gamo"...a[klauto", a[filo", ajnumevnaio" (vv. 867 e 876-877), senza nozze, senza compianto, senza amici, senza canti nuziali. Antigone è la madre mancata.
Anche questa ragazza di durezza amazzonica dunque ha momenti di tenerezza e di rimpianto per la maternità mancata.
"In termini umani, levco" è il letto e pure eujnhv. Non si tratta di un contrasto convenzionale né di un raddoppiamento formale. E' l'inferenza schiacciante della sterilità e della solitudine. La profanazione di Polinice provoca l'imminente rovina di Antigone. Anche per lei, il "nido/letto" nuziale e materno sarà vuoto e la sua progenie annientata"[3].
Antigone oppone la famiglia alla povli" :"Ciò che si oppone alla città è il suo stesso cuore, l' oi\ko". Altri Creonti, con altrettanta disperata fatica, regneranno su Tebe; Antigone mai. Ma sempre Antigone ne sconvolgerà la potenza. La sola presenza di questa Menade dell'Ade che stride lamentosa sul cadavere del fratello come un uccello su un nido vuoto, spezza per sempre il ritmo armonico del logos della polis, la sua u{bri" di tutto comprendere e governare"[4].
Il paragone dell'essere umano privato di un affetto con l'usignolo addolorato che piange la perdita dei figli si trova anche nell'Elettra (del 413?) di Sofocle (teknolevteir j w{~ ti" ajhdwvn, v. 107, come un usignolo orbato della prole). Eletttra non ha ha perduto i figli, bensì il padre assassinato dalla madre e dal suo amante Egisto.
Del resto l'uccello addolorato può essere paragonato anche a un uomo: Virgilio lo paragona al poeta Orfeo: non per niente ajhdwvn (usignolo) si forma sulla radice aj/d- /wj/d- sulla quale anche ajoidov" , cantore, poeta.
Nella IV Georgica (29 a. C.) il mantovano utilizza questa similitudine per aggiungere pathos e ornamento mitico al dolore di Orfeo che ha perduto la sposa Euridice.
Egli pianse sette mesi tutti interi sotto un'alta rupe presso l'onda dello Strimone deserto, da solo, e rievocò questi fatti sotto le gelide stelle ammansendo le tigri e trascinando con il canto le querce, "qualis populea maerens philomela sub umbra/amissos queritur fetus, quos durus arator/observans nido implumis detraxit; at illa/flet noctem, ramoque sedens miserabile carmen/integrat, et maestis late loca questibus implet " ( vv. 511-515), quale l'usignolo addolorato sotto l'ombra del pioppo lamenta le creature perdute, che il crudele aratore spiando trasse giù implumi dal nido; ma quello piange nella notte e, posato sul ramo, rinnova il compassionevole canto e per largo tratto riempie i luoghi di tristi lamenti.
G. B. Conte in un suo saggio in inglese fa notare che "l'usignolo canta e si duole , come il poeta amante Orfeo canta e si duole; e l'usignolo-almeno da Catullo 65[5] è una figura emblematica del poeta elegiaco"[6].
Nel carme 65 Catullo ricorda la morte del fratello: non ti rivedrò mai più at certe semper amabo (11) sempre velerò con le tua morte i miei tristi carmi qualia sub densis ramorum comcinit umbris- Daulias asumpti fata gemens Itylei” (13-14) quali sotto le dense ombre dei rami canta la donna della Daulide gemendo il fato di Iti scomparso. Si tratta di Procne la madre di Iti o di Filamela, sua zia. Questo carme è del resto la dedica a Ortalo della traduzione della Chioma di Berenice (carme 66) mentre del tutto rivolto al fratello è il carme 101 multas per gente set multa per aequora vectus imitato dal sonetto In morte del fratello Giovanni di Foscolo.
Più spesso però in letteratura il paragone viene fatto con la donna.
Per esempio in Tess la ragazza quando fu sedotta " non era una donna matura con una lunga e cupa retrospettiva di inrighi che si tormentava tanto, ma una ragazza semplice che non aveva ancora compiuto ventun anni quella che era stata presa durante i giorni della sua immaturità come un uccello in una rete" (cap-XXXI, p. 26) It was not mature woman with a long dark vista of intrigue, behind her who was tormented thus; but a girl of simple life, not yet one and twenty, who had caught during her days of immarurity like a birde in a springe “
. Più avanti la splendidissima giovane donna trova degli uccellini agonizzanti, massacrati dai cacciatori e si pente di essersi considerata la più infelice delle creature:"Poverini...come ho fatto a pensare di essere la creatura più disgraziata sulla faccia della terra davanti a una sofferenza come la vostra!" esclamò, uccidendo quegli uccelli quasi con tenerezza, mentre aveva le guance bagnate di lacrime. "E io che non sento una sola fitta di dolore in tutto il corpo! Non sono stata maciullata, io, non sanguino, e ho due mani per nutrirmi e vestirmi"( capitolo 41 p. 361).
“Poor darling-to suppose myself the most miserabile being on earth in the sight o’ such misery as yours”, she exclaimed and her tears running down as she killed the birds tenderly. “And not a twinge of bodily pain about me! I be not mangled, and I be not bleeding: and I have two hands to feed and cloche me” (p. 353)
Questa creatura che si confronta con gli uccellini è una sposa abbandonata dal marito dopo che i due si erano detti di avere avuto un'esperienza sessuale precedente. "Solo, torna da me" gli scrive "Sono desolata senza di te, amore mio. Oh, così desolata!" (cap. 48, p. 433). “Only come back to me. I am desolate without you, my darlig, O so desolate! (p. 417)
Bologna 3 ottobre 2023 ore 11, 45 giovanni ghiselli
[1] Dante, Inferno, XIV, 94.
[2]F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov , pp. 401-402. E’ lo Starez Zossima che parla.
[3]G. Steiner, Le Antigoni , p. 254.
[4] M. Cacciari, L'arcipelago, p. 49.
[5] Vv. 13-14.
[6]G. B. Conte Gian Biagio Conte, Aristaeus, Orpheus, and the Georgics: Once Again , in Poets And Critics Read Vergil, Yale University Press.
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