giovedì 26 ottobre 2023

Ifigenia XLII. Pinuccia, Ifigenia e il roveto ardente

A. Feuerbach, Iphigenie (1862)
Quel 30 novembre dunque fu un giorno davvero ricco di casi dies opimus casibus  che mi indussero a fare una scelta. Decisi che dovevo proseguire sulla rotta favorita dal vento senza zavorre  né ostacoli, bensì diretta  all’amore per la donna che Eros mi aveva fatto incontrare. Da quando questo dio aveva colpito Ifigenia insieme con me,  adoravo sopra tutti i numi questa divinità che impugna il fulmine  
 {Erwta keraunofovron.  
Avrei fatto incidere la sua immagine santa sullo scudo  se ne avessi avuto uno. La feci mia secondo la mente.
Era una decisione necessaria quella maturata sulla seconda amante rimasta in campo dopo l’addio a Esculapia. Nemmeno Pinuccia infatti mi piaceva del tutto, né potevo educarla a diventare la mia donna ideale siccome non ne aveva la stoffa. Non possedeva tutte le qualità naturali che mi inducono ad amare una femmina della mia levatura umana e avevo oramai compreso che l’educazione può valorizzare e potenziare la natura ma non può né deve cambiarla.
Pinuccia non era pessima, anzi aveva qualche cosa di buono: soprattutto faceva volentieri l’amore e in questo mi somigliava, in certi dettagli ci si comprendeva.
In mancanza del grande amore tipo quelli, del resto mensili, per Helena, Kaisa e Päivi, avevo discretamente gradito la sua compagnia le sere di tutti i mercoledì tranne le settimane dei mesi estivi quando eravamo in vacanza, vacanti dal lavoro e l’uno dall’altra. Il suo pregio più grande era una certa mitezza non senza bontà fatta di compassione per le umane sventure. Mi portava soccorso quando cadevo dalla bicicletta e mi ferivo portando con sé a casa mia garze cerotti e disinfettanti che non avevo. Perciò la chiamavo anche la mia buona  Samaritana .
Non aveva del resto la forza di spingermi alle cose egregie che dovevo a me stesso. Credo che nella relazione tra un uomo e una donna non possa mancare lo stimolo a creare secondo l‘anima o secondo il corpo.  Intendo un’opera d’arte o dei figli. Päivi  nel’ 74 mi aveva fatto pensare a una figlia, l’aveva perfino disegnata, ma poi si era ricreduta  ritenendo  di essere più interessata a studiare. E io non le ho dato torto, anzi l’ho imitata.  Ho studiato molto per quattro anni, quasi maniacalmente dopo l’abortimento della bambina. Quindi Ifigenia mi era  apparsa prima come il risacimento per la figlia perduta, poi come la Musa che doveva e poteva spingermi alla creazione kata; th;n  yuchvn, secondo l’anima  dato il fallimento di quella tentata kata; to; sw`ma, secondo il corpo.
Trovata questa occasione dovevo alzarmi a volo sulle acque stagnanti e infossate dove sguazzavo stirando il collo al pari di un’oca, senza vedere nulla oltre gli argini e senza costrutto creativo.
Il 29 novembre avevo fatto l’amore con una gioia che non provavo da anni e il giorno dopo, durante l’assemblea studentesca, avevo visto in quella giovane collega che parlava agli studenti il mio completamento e accrescimento di essere umano speciale: nella voce calda e sicura, nelle parole ardenti e precise, negli occhi suoi fiammeggianti avevo colto un segno che mi fece venire in mente il roveto ardente dell’Esodo biblico. Parlava politicamente piuttosto che retoricamente e la sua voce era per me la voce di Dio che mi spingeva a uscire dal bunker dove mi ero chiuso per studiare e imparare parole da riferire agli studenti. Ne avevo già apprese molte e tante altre ne avrei imparate ancora, ma dovevo pure dare voce e forma, una voce chiara e una bella forma ai pensieri miei. Parole politiche per educare non solo i ragazzini della mia classe ma la polis prima, poi un popolo intero. Ero certo di volere questo.
 
Bologna 26 ottobre 2023 ore 20, 04 
giovanni ghiselli
 
p. s.
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