Le guerre. Massimo Cacciari, Sofocle, Aristofane e Giacomo Leopardi.
Ieri sera Massimo Cacciari alla 7 ha invocato il realismo, la comprensione della realtà effettuale e la ricerca delle cause per capire le guerre e arrivare a porvi rimedio.
Io credo che le donne madri, mogli, sorelle non da palcoscenico o da comizio, ma addolorate siccome orbate dei figli, mariti fratelli, dovrebbero unirsi, come Aristofane ha suggerito comicamente, oppure come ha fatto Cacciari tragicamente in un suo libro del 1997.
Antigone oppone la casa e i rapporti con i consanguinei alla povli" :"Ciò che si oppone alla città è il suo stesso cuore, l' oi\ko". Altri Creonti, con altrettanta disperata fatica, regneranno su Tebe; Antigone mai. Ma sempre Antigone ne sconvolgerà la potenza. La sola presenza di questa Menade dell'Ade che stride lamentosa sul cadavere del fratello come un uccello su un nido vuoto, spezza per sempre il ritmo armonico del logos della polis, la sua u{bri" di tutto comprendere e governare" M. Cacciari, L'arcipelago, p. 49.
Riprendo la parola potenza
La causa delle guerre è quasi sempre quella che Tucidide indica in I, 23. Lo storiografo in questo capitolo metodologico distingue la causa più vera della guerra del Peloponneso, anche se meno dichiarata a parole ("ajlhqestavthn provfasin, ajfanestavthn de; lovgw/", I, 23, 6), dai motivi detti apertamente ("aiJ d j ej" fanero;n legovmenai aijtivai").
Fu il timore che incuteva agli Spartani la crescente potenza ateniese la causa più vera.
Più avanti Tucidide ribadisce che la guerra scoppiò soprattutto poiché gli Spartani avevano paura che gli Ateniesi divenissero sempre più potenti fobouvmenoi tou;~ j Aqhnaivou~ mh; ejpi; mei`zon dunhqw`sin- vedendo che la maggior parte della Grecia era ormai sottomessa a loro (I, 88)..
Concludo citando la traduzione di pochi versi (422-425) dell’Antigone di Sofocle:
La ragazza, che ha trovato il cadavere del fratello Polinice denudato dalla bufera, viene paragonata per il suo lamento a un uccello "amareggiato:"E allontanatosi questo dopo lungo tempo,/si vede la ragazza, e alza l'acuto grido/di un uccello addolorato (pikra''"-o[rniqo"), come quando ha vòlto/ lo sguardo sul fondo del nido vuoto degli uccellini.
"Questo" è riferito a un precedente (v. 418) tufwv" , un uragano che ha sollevato dalla terra una tempesta, skhptovn, quale oujravnion a[co" , angoscia del cielo, una sorta di correlativo oggettivo, atmosferico della pena della fanciulla.
L'uccello "amareggiato" dunque ( pikra'"- o[rniqo", vv. 423-424 ) messo in rilievo dall'inarcatura, è un altro segno di "paese guasto"[1] dove tutto va verso il dolore.
Infatti altri testi considerano gli alati come portatori di letizia. C'è per esempio un makarismov" di Aristofane nella seconda parabasi degli Uccelli (del 414), gli alati pennuti che d'inverno non indossano mantelli né li brucia (qavlpei, v. 1092) il caldo raggio luminoso della calura soffocante poiché abitano nei seni dei prati fioriti e delle foglie.
Questa commedia invero immagina un’utopia.
Pure il pessimismo di Leopardi ha dovuto riconoscere qualche felicità agli uccelli:'E che gli uccelli sieno e si mostrino lieti più che gli altri animali, non è senza ragione grande. Perché veramente...sono di natura meglio accomodati a godere e ad essere felici. Primieramente non par che sieno sottoposti alla noia. Cangiano luogo a ogni tratto; passano da paese a paese quanto tu vuoi lontano, e dall'infima alla somma parte dell'aria, in poco spazio di tempo, e con facilità mirabile...E siccome abbondano della vita estrinseca, parimenti sono ricchi della interiore; ma in guisa, che tale abbondanza risulta in loro benefizio e diletto, come nei fanciulli; non in danno e miseria insigne, come per lo più negli uomini"(Elogio degli uccelli).
Bologna 11 ottobre 2023 ore 11, 08 giovanni ghiselli
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