A. Feuerbach, Iphigenie (1862) |
Che al mestiere
Fece i muscoli d’acciaio” Carducci
Arrivato a casa, telefonai a Pinuccia dicendole che di sera avrei dovuto parlarle. Disse solo “va bene”, remissiva come sempre. E rassegnata siccome conosceva la mia situazione. Sicché andai a prenderla alle nove, sotto la casa dove abitava con i suoi genitori. Andammo nell’osteria dove eravamo soliti vivacizzare la prima parte delle nostre serate con mezzo litro di vino in mancanza di argomenti comuni scolastici e politici. Quella sera però, che del resto non era mercoledì, l’argomento l’avevamo: appena seduti, le dissi direttamente che non me la sentivo più di amoreggiare con lei dal momento che mi ero innamorato della collega. Pinuccia non divenne una menade, anzi reagì con il suo carattere e stile da donna mite, comprensiva e dignitosa: disse che l’aveva previsto, se lo sentiva, e non aveva potuto evitarlo.
“Già. Non sono varcabili i confini del fato” dissi.
Assentì chinando la testa. Era buona Pinuccia: mi aveva perfino leccato con lingua amorevole e non svigorita le profonde ferite buscate da un automobilista che mi aveva travolto mentre pedalavo. Non si lamentò, non mi rimproverò, non chiese niente per sé. Anzì, mi augurò buona fortuna. Del resto anche lei una volta, in gennaio, mi aveva lasciato. Era tornata in primavera con Zefiro che il bel tempo rimena.
Me lo ricordò lei per scagionarmi: “Così siamo pari”, disse
“Già -feci io- la prossima volta sta a te”.
“Non credo che ci sarà una prossima volta” ribatté con mente profetica.
Poi però aggiunse: “Oddio, forse queste parole non sono definitive. Se questa sposa novella ti farà soffrire, io ci sarò”
“Io allora, ferito e poi curato da te, saprò sorriderò come lo spartano morsicato dalla volpe”, le dissi.
Pinuccia dopo un paio di anni si sposò invitando al suo matrimonio anche me con Ifigenia. Ora credo che tutto sia andato per il verso giusto, come sempre succede. E’ il verso del fato infatti. Questa brava ragazza già matura viro aveva bisogno di un bravo marito, non di un desultor amoris un saltimbanco dell’amore quale ero io. Per giunta in quel tempo avevo bisogno di un’esperienza emotiva e intellettuale che dal fondo dell’anima e dei sensi scatenasse un terremoto capace di sconvolgermi l’equilibrio raggiunto con fatica ma già datato e obsoleto: un sisma così catastrofico da portare alla luce le vene profonde dove scorrevano i miei bisogni più veri e i sentimenti più autentici di quel momento. Avevo perduto tre donne amate, smarrito il lavoro che mi piaceva, superato il culmine della mia gioventù: per non avviarmi verso un tramonto triste, forse anche lugubre, avevo bisogno di una rivalsa su tutti i fronti delle battaglie perdute: dovevo affascinare la bella giovane collega e amante precaria, recuperare il lavoro mio e scrivere un capolavoro pieno di pensiero, bellezza, mito e poesia. Pinuccia non era adatta a me, né io a lei. Le invio comunque un pensiero riconoscente per il calore umano e l’affetto che ha potuto darmi senza pretese e con sufficiente onestà. Ho cambiato il suo nome ma credo che non stenterà a riconoscersi in queste mie righe. La ricordo come un pane caldo e profumato, una pagnotta tonda, soffice, bianca di cui mi sono nutrito prima di riporla nello zaino dal quale ho dovuto estrarre alimenti più energetici e necessari all’ardua salita che sto ancora scalando con l’impiego di tutte le forze.
Bologna 27 ottobre 2023 ore 11, 30
giovanni ghiselli
p. s.
“Per sé il pover manuale
Fa uno strale
D’oro, e il lancia contro ’l sole:
Guarda come in alto ascenda
E risplenda,
Guarda e gode, e piú non vuole”. (Carducci Congedo, Rime nuove 1906)
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