sabato 16 marzo 2019

"La mente inquieta. Saggio sull'Umanesimo". Cacciari commmentato con Cacciari e con altri autori


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Massimo Cacciari, La mente inquieta. Saggio sull’Umanesimo (Einaudi, Torino, 2019).
Presenterò l'intero volume l'11 aprile alla Sapienza di Roma (sala Odeion)



Il topos degli occhi

“L’emblema albertiano dell’occhio alato e saettante (tav. 9) non può perciò essere letto attraverso le lenti di un Umanesimo-Humanismus e così ridotto a immagine dell’acutezza dello sguardo unita alla rapidità dell’ala” (Cacciari, La mente inquieta Sggio sull’Umanesimo, p. 67)

La tavola 9 è divisa in due parti: 9a Matteo de’ Pasti, Medaglia di Leon Battista Alberti, bronzo,1446-50, verso con occhio alato. Firenze, Museo del Bargello. 9b L’occhio alato di Leon Battista Alberti, emblema albertiano e il motto “Quid tum”, disegno 1450 circa. Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, ms Magl. II IV 38, c. 119v
Leggiamo il commento di Cacciari. “E’ Alberti stesso a dirci che gli Egizi usavano il segno dell’occhio per indicare il Dio e il geroglifico dell’avvoltoio per designare la paura. I due elementi vengono combinati nella Hypnerotomachia Poliphili[1] (ricchissima di riferimenti all’Alberti teorico dell’architettura) per significare “Deo naturae sacrifica”. Ma il topos dell’Occhio simbolo del sole, a sua volta manifestazione visibile del sommo Dio, fornisce forse la chiave per risolvere l’enigma albertiano? Certo, quello della vista è il più spirituale dei sensi. Certo, veloce come la luce vola l’occhio e raggiunge gli oggetti più lontani (“come l’occhio e il razzo del sole e la mente sono i più veloci moti che sieno”, dirà Leonardo). Ma se è anche nostro questo occhio, quid tum? Quale pallida immagine dell’onnipotenza solare dell’Occhio infinito di Dio! Che cosa possiamo vedere realmente? Soltanto l’ombra dell’intelligibile, mai il vero in sé. E lo stesso ‘occhio della mente’ che rende possibili le operazioni dell’intellectus resterà sempre connesso a quello dei sensi: “oculus in carcere tenebrarum”, lo definirà Giordano Bruno, fornendo quasi un’interpretazione, a mio avviso, dell’Alberti, in quanto occhio dell’intelletto in potenza, illuminato dal sole di quello agente, unico per tutti e unico immortale”.

Mi viene in mente il mito platonico della caverna e il sole che corrisponde nel visibile all’idea del Bene nell’intelligibile.
Giuliano Augusto l'imperatore calunniato dai Cristiani con l'infamante epiteto di "Apostata" riassume gli elogi del Sole presenti in tanti testi precedenti in termini neoplatonici nella orazione A Helios re dedicata a Salustio. Questo "sermone natalizio" fu redatto alla fine del 362 d. C. per celebrare il 25 dicembre, dies natalis Solis invicti . Elio è visto come il signore del mondo intelligente e viene definito dio mediatore e potentissimo assai simile al Bene preesistente a tutte le cose. Giuliano cita la Repubblica di Platone dove (508c) si dice che il Sole è figlio del Bene ("tou' ajgaqou' e[kgonon") che il Bene generò simile a sè ("oJ;n tajgaqo;n ejgevnnhsen ajnavlogon eJautw'/") e ciò che è il Bene nel mondo intellegibile rispetto all'intelletto e agli intellegibili è Helios nel mondo visibile rispetto alla vista e alle cose visibili (5, 17-21). L’Uno (e{n) o il Bene (tajgaqovn), come lo chiama Platone, ha rivelato da sé Elios dio potentissimo del tutto simile a sé. Quindi Elios viene identificato con Zeus e con Apollo (A Helios re, 31)
In conclusione (44) Giuliano prega Elio, to;n basileva tw̃n o{lwn, di accordargli una vita virtuosa, una intelligenza più piena e una mente divina. E alla fine della vita di congiungersi a lui.

Torniamo al testo di Cacciari (p. 67)
“L’emblema non contrasta con la venerabile tradizione che vede nell’occhio un dio tra le membra. Ma la inquieta e interroga. Quid tum? Che vedi dunque? A quale realtà può rivolgersi la tua luce?”
Sulla maggiore spritualità dell’occhi rispetto agli altri organi corporei insiste T. Mann in La montagna incantata.
L’autore spiega, a ragione, che l'amore è suscitato e mantenuto soprattutto dall'attrazione del volto, e in questo degli occhi, siccome significativi del carattere della persona: "C' era stato uno spazio non più lungo di due palmi fra il suo viso e quello di lei, quel viso dalla forma strana eppure nota da tanto tempo, una forma che gli piaceva come null'altro al mondo, una forma esotica e piena di carattere... ciò che lo aveva colpito ancora maggiormente erano stati gli occhi, quegli occhi sottili, quegli occhi da Kirghiso dal taglio schiettamente affascinante, occhi d'un grigio azzurro o d'un azzurro grigio come i monti lontani, che, a volte, con un curioso sguardo di traverso non destinato certo a vedere, potevano oscurarsi, fondersi in una tinta velata notturna"[2].
Cfr. Properzio: Si nescis, oculi sunt in amore duces "[3].

Di nuovo Cacciari: “Lo sguardo dipinge vera mente ciò che vede, ne comprende i rapporti, non è visio Dei, ma pittura sì,
L’occhio umano del resto non arriva a vedere tutto. E ci colleghiamo “al disincanto dell’Alberti. Tutto vedi, mio occhio, tutto? “Tutto”?! Soltanto sulla tua stessa realtà ti è stato concesso di volare. Sovra-umanarti non puoi; aspetta un poco e ascolterai ‘l’ultima’ parola di Montaigne (o è Momo che parla?): “e sul più alto trono del mondo non siamo seduti che nel nostro culo” (Saggi, III, 13). E trovi forse pace al colmo della tua potenza? Insonnia soltanto è il dono concessoti” (p. 68)

Sul potere che non è potenza (Baccanti, v. 310) come il sapere non è sapienza (Baccanti, v. 395) si può pensare a quanto dice Riccardo II di Shakespeare: “ Riccardo II[4] deposto da Bolingbroke che sarà Enrico IV espone “le tristi storie delle morti dei re”
For God’sake let us sit upon the ground per amor di Dio, sediamoci sulla terra
And tell sad (–lat. satur) stories of the death of kings:
How some have been deposed, some slain in war,
uccisi in guerra
Some haunted by the ghosts they have deposed,
ossessionati dai fantasmi di quelli che avevano deposto 
Some poisoned by their wives, some sleeping kill’d,
All murdered (lat. mors). For within the hollow
la vuota corona
 crown-corona-korwvnh- cornacchia e coronamento/
That rounds-rotundus- the mortal temples (lat. tempora) of a king
Keeps death his court; and there the antic sits, sedēre, e[zomai-
siede la beffarda, grottesca
Scoffing his state and grinning at his pomp-pomphv
invio, seguito- pompa seguito, processione, schernendo il suo stato e ghignando alla sua pompa[5]
Allowing-late latin. ad e locare-. him a breath, a little scene-scena-skhnhv-,
concedenogli un breve respiro, una particina
To monarchize, be fear’d-lat. periculum, and kill with looks,
fare il re, incutere timore fulminare con lo sguardo-
Infusing him with self and vain conceit
riempiendolo di sé e di vuote illusioni,
As if this flesh which walls-vallum palizzata- about our life
Come se questa carne che cinge di mura lo spirito
Were brass impregnable; and humour’d-lat. umor- umorem umidità- thus,
Fosse bronzo indistruttibile e dopo averlo lusingato così
Comes at the last, and with a little (pin lat- pinna penna, ala, freccia)
Viene alla fine e con un piccolo spillo
bores(-lat. forare)- through his castle wall, and farewell king!
Perfora le mura e addio re!
Cover your heads, and mock not- L. muccare, soffiarsi il naso- flesh and blood
Copritevi le teste e non canzonate un impasto di carne e di sangue
With solemn reverence, throw away gettate via respect lat. ,respicio respectus -riguardo
Tradition, form, and ceremonious-lat cerimonia- duty;
tradizione formalità e il dovere dell’etichetta
For you have but mistook me all this while,
poiché mi avere frainteso per tutto questo tempo.
I live with bread, like you; feel want,
vivo di pane come voi, sento desideri
Taste-( Late latin taxitare forma iterativa di taxare intensive di tangere)- grief-gravis-, need friends. Subjected-subiectus- thus,
assaporo il dolore ho bisogno di amici. Così asservito
How can you say to me I am a king? (Riccardo II, III, 2, 155-177)

 Nelle Troiane di Euripide, Ecuba constata che il polu;~ o[gko~ , il grande vanto degli antenati era oujdevn, niente, era un gonfiore che si è dissolto.
“O grande vanto umiliato
Degli avi, come davvero eri un nulla!” (vv. 108-109)
Cacciari p. 68): “Che voluptas ti viene dal tuo essera alato? E, ancora più, ora che vedi ‘tutto’, sei giunto finalmente a vedere te stesso? O hai incontrato quella pupilla di un altro dove specchiarti, che Socrate invita Alcibiade a scoprire (Alcibiade Maggiore, 132 d-133c)?

 Sentiamo nel dialogo platonico Socrate che parla con Alcibiade il quale gli dà ragione
 SW'OfqalmÕj ¥ra ÑfqalmÕn qeèmenojkaˆ ™mblšpwn
e„j toàto Óper bšltiston aÙtoà kaˆ ú Ðr´oÛtwj ¨n aØtÕn
‡doi
So- Dunque un occhio guardando un altro occhio, e osservando la sua parte migliore con la quale lui stesso vede, in questo modo può vedere se stesso

 ALFa…netai.
Al-sembra

 SWE„ dš ge„j ¥llo tîn toà ¢nqrèpou blšpoi ½ ti
tîn Ôntwnpl¾n e„j ™ke‹no ú toàto tugc£nei ÓmoionoÙk
Ôyetai ˜autÒn.
So- Ma se guarda altra parte del corpo umano, o delle cose presenti, tranne ciò cui questo si trova a essere simile, non vedrà se stesso.

 AL'AlhqÁ lšgeij.
Al- Dici il vero

 SW'OfqalmÕj ¥re„ mšllei „de‹n aØtÒne„j Ñfqal-
mÕn aÙtù bleptšonkaˆ toà Ômmatoj e„j ™ke‹non tÕn tÒpon
™n ú tugc£nei ¹ Ñfqalmoà ¢ret¾ ™ggignomšnh· œsti d
toàtÒ pou Ôyij;
So. Allora se un occhio vuole vedere se stesso, deve fissare un occhio, e dell’occhio in quel luogo luogo dove si trova la virtù dell’occhio, e non è questa la vista?

 ALOÛtwj.
Al- E’ così.

 SW’Aroânð f…le 'Alkibi£dhkaˆ yuc¾ e„ mšllei
gnèsesqai aØt»ne„j yuc¾n aÙtÍ bleptšonkaˆ m£list'
e„j toàton aÙtÁj tÕn tÒpon ™n ú ™gg…gnetai ¹ yucÁj ¢ret»,
sof…akaˆ e„j ¥llo ú toàto tugc£nei Ómoion Ôn;
So - Allora, Alcibiade, anche l’anima, se vuole conoscere se stessa, dovrà fissare l’anima e soprattutto questo luogo dell’anima nel quale sta la sua virtù, la sapienza, e fissare altro cui questa cosa sia simile?

AL”Emoige doke‹ð Sèkratej.
Al-Certo Socrate, così mi sembra

 SW”Ecomen oân e„pe‹n Óti ™stˆ tÁj yucÁj qeiÒteron
À toàtoperˆ Ö tÕ e„dšnai te kaˆ frone‹n ™stin;
So- possiamo dunque dire che c’è una parte dell’anima più divina di questa che riguarda la conoscenza e il pensiero?

ALOÙk œcomen.
Al-Non possiamo

SWTù qeù ¥ra toàtœoiken aÙtÁjka… tij e„j toàto
bl pwn kaˆ p©n tÕ qe‹on gnoÚjqeÒn te kaˆ frÒnhsin,
oÛtw kaˆ ˜autÕn ¨n gno…h m£lista.
So- Dunque questa parte dell’anima è simile al divino, e osservandola e conoscendo il divino, dio e pensiero, così uno può conoscere anche se stesso nel modo migliore.

ALFa…netai.
Sembra

 SW’AroânÓqésper k£toptr£ ™sti safšstera toà
™n tù Ñfqalmù ™nÒptrou kaˆ kaqarètera kaˆ lamprÒtera,
oÛtw kaˆ Ð qeÕj toà ™n tÍ ¹metšrv yucÍ belt…stou kaqa-
rèterÒn te kaˆ lamprÒteron tugc£nei Ôn;
So- Ma come lo specchio è più chiaro dello specchio del nostro occhio e più puro e luminoso, così anche il dio, sarà più chiaro e luminoso della parte migliore della nostra anima?

AL”Eoikš geð Sèkratej.
Al-Mi pare, Socrate

 SWE„j tÕn qeÕn ¥ra blšpontej ™ke…nJ kall…stJ
nÒptrJ crómeq¨n kaˆ tîn ¢nqrwp…nwn e„j t¾n yucÁj
¢ret»nkaˆ oÛtwj ¨n m£lista Ðrùmen kaˆ gignèskoimen
¹m©j aÙtoÚj.
So-Quindi mirando in dio, ci avvaliamo di quello specchio bellissimo, più bello anche delle cose umane relative alla virtù dell’anima, e così potremmo vedere e conoscere anche noi stessi nella maniera migliore

ALNa….
Al- Sì

SWTÕ de; gignwvskein auJto;n oJmologou'men swfrosuvnhn
ei\nai;
So- Ma non ci siamo trovati d’accordo che conoscere se stesso sia saggezza?

LP£nu ge.
Al-Assolutamente (Alcibiade I, 1332b-133c)

Torniamo a Cacciari: "chi è colui che mi guarda dal dipinto in cui mi sono ritratto? Quis est? Quis es, tu? In quale spaventosa notte si penetra quando si fissa negli occhi un uomo? In quale mondo di fantasmagoriche ed enigmatiche rappresentazioni-si chiederà Hegel? Malinconia del simbolo dello Specchio e della grande ritrattistica del manierismo, che già qui si annuncia. Inquietudine dell’immagine, agitarsi nella inventio dell’emblema albertiano di diverse e dissonanti interrogazioni” (p. 69)

A proposito degli occhi e dei loro misteriosi significati aggiungo qualche altra citazione
Sant' Agostino nel Secretum ricorda a Francesco Petrarca[6] la pericolosità dello sguardo femminile: se contemplare un bel corpo infiamma la lussuria, un leggero volger d'occhi risveglia l'amore che si era assopito: "spectata corporis species, luxuriam incenditlevis oculorum flexus, amorem dormitantem excitat " ( III, 50).

Il tovpo" dell'amore ispirato solo o soprattutto dagli occhi si trova anche in Pene d'amore perdute di Shakespeare[7]: Biron in preda a un amore "pazzo come Aiace" cerca di resistergli per non finire ammazzato come una pecora, ma nella donna che lo ha stregato, Rosalina, c'è qualche cosa di irresistibile: "Oh, ma il suo occhio... per la luce del giorno, se non fosse per il suo occhio io non l'amerei; sì, per i suoi due occhi!... Dagli occhi delle donne io traggo questa dottrina: essi scintillano senza posa di un vero fuoco prometeico (From women’s eyes this doctrine I derive: they sparkle still the right Promethean fire), e rappresentano i libri, le arti, le accademie che mostrano, contengono e alimentano il mondo intiero; senza di loro nessuno può eccellere in cosa alcuna" (IV, 3). 

“Espressione degli occhi. Perché si ha cura fino ab antico di chiudere gli occhi ai morti? Perché con gli occhi aperti farebbero un certo orrore. E questo orrore da che verrebbe? Non da altro che da un contrasto tra l’apparenza della vita, e l’apparenza e la sostanza della morte. Dunque la significazione degli occhi è tanta, ch’essi sono i rappresentanti della vita, e basterebbro a dare una sembianza di vita agli estinti” (Leopardi, Zibaldone, 2102).

Sicché l'amore viene attivato e tenuto vivo soprattutto dagli occhi.
Proseguo con una una lettera di Guy de Maupassant (1850-1893): "Vorrei, soprattutto, rivedere i vostri occhi, i vostri due occhi. Perché il nostro primo pensiero è sempre per gli occhi della donna che amiamo? Come ci ossessionano, come ci rendono felici, o infelici, questi piccoli enigmi chiari, impenetrabili e profondi, queste piccole macchie blu, nere o verdi, che senza cambiare forma né colore, esprimono, volta a volta, l'amore, l'indifferenza e l'odio, la dolcezza che placa ed il terrore che agghiaccia più di tante parole in eccesso e meglio dei gesti più espressivi"[8].

Gli occhi delle donne che ci attirano non sono solo delle cose belle secondo Proust (1871-1922) insomma non sono soltanto materia:"Se pensassimo che gli occhi di una ragazza come quella non sono che una brillante rotella di mica, non saremmo così avidi di conoscere e di unire a noi la sua vita. Ma sentiamo che quel che riluce in quel disco pieno di riflessi non è dovuto unicamente alla sua composizione materiale; che sono, ignote a noi, le nere ombre delle idee che quell'essere si fa a proposito delle persone e dei luoghi che conosce…le ombre, anche, della casa in cui rientrerà, i progetti ch'essa fa o altri han fatti per lei; e soprattutto che è lei, con i suoi desideri, le sue simpatie, le sue repulsioni, la sua oscura e incessante volontà"[9].

Anche Svevo (1861-1928) ha capito che l'attrazione più forte esercitata dalla donna deriva dal fulgore dei suoi occhi: "Quand'egli le parlò, essa levò rapidamente gli occhi e glieli rivolse sulla faccia così luminosi, che il mio povero principale ne fu proprio abbattuto… Non so se a questo mondo vi siano dei dotti che saprebbero dire perché il bellissimo occhio di Ada adunasse meno luce di quello di Carmen e fosse perciò un vero organo per guardare le cose e le persone e non per sbalordirle"[10].

Ora sentiamo Thomas Mann: “Rachele era bella e graziosa. Lo era in una maniera nello stesso tempo mansueta e birichina, che veniva dall’anima, ma si vedeva - e anche Giacobbe lo vedeva perché lei lo guardava - che spirito e volontà trasformati in senno e coraggio muliebri, erano le segrete sorgenti che alimentavano quella grazia; tanto espressiva era la sua persona, tanto aperta e pronta alla vita nella fermezza dello sguardo… la cosa più bella e graziosa era il suo modo di guardare, era lo sguardo dei suoi occhi neri, dal taglio lievemente obliquo, uno sguardo che la miopia stranamente trasfigurava e addolciva, in cui, lo diciamo senza esagerazione, la natura aveva raccolto tutte le attrattive che essa può dare a uno sguardo umano: una notte profonda, liquida, mite, dolcissima, una notte eloquente, piena di serietà e di ironia, uno sguardo che Giacobbe non aveva o credeva di non avere ancora mai visto…Era giunto alla meta, e la fanciulla con gli occhi pieni di dolce oscurità che pronunciava il nome di suo padre lontano era la figlia del fratello[11] di sua madre[12]” [13]

Gli occhi sono comunque legati all'amore e al sesso.
Gli occhi che Edipo si colpisce da solo sono, secondo Freud, il simbolo dei genitali:"l'accecamento con cui Edipo si punisce dopo aver scoperto il proprio crimine è, a quel che testimoniano i sogni, un sostituto simbolico dell'evirazione"[14].
"Si deve tenere presente che, nella mitologia classica, gli occhi presentano spesso un legame con l'amore e con la sessualità, e in particolare con i genitali maschili: numerose sono le rappresentazioni vascolari di falli con occhi. Forse il gesto dell'autoaccecamento di Edipo racchiude anche un significato di simbolica castrazione, di autopunizione per i delitti sessuali commessi. Infliggendo una punizione ai suoi occhi, Edipo punisce la parte del suo corpo che si è macchiata di colpa nei confronti della madre"[15].


CONTINUA



[1] Hypnerotomachia Poliphili (ipnerotomàkia polìfili), letteralmente "Combattimento amoroso di Polifilo in sogno", è un romanzo allegorico, stampato a Venezia da Aldo Manuzio il Vecchio nel dicembre 1499, con 169 illustrazioni xilografiche. Il testo è stato attribuito a diversi autori (tra cui, oltre allo stesso tipografo Aldo Manuzio, a Leon Battista Alberti, a Giovanni Pico della Mirandola, e a Lorenzo de Medici). Un acrostico contenuto nel testo però, formato dalle iniziali dei 38 capitoli, indicherebbe l'autore dell'opera in un Francesco Colonna, secondo alcuni il frate domenicano dei Santi Giovanni e Paolo, secondo altri il principe romano, dal 1484 signore di Palestrina, forse "frater" dell'Accademia di Pomponio Leto. Il racconto descrive un sogno erotico del suo protagonista, Polifilo. Si tratta di un viaggio iniziatico che ha per tema centrale la ricerca della donna amata, metafora di una trasformazione interiore alla ricerca dell'amore platonico. Il viaggio iniziatico richiama alla mente quello di un altro grande romanzo dell'antichità, le Metamorfosi di Apuleio. I continui richiami alle divinità dell'antica Roma fanno del romanzo un'opera dichiaratamente pagana (si veda, ad esempio, in Polifilo 15 la preghiera a Diespiter, che è l'appellativo con il quale veniva chiamato Giove nelle preghiere pronunciate dai sacerdoti di Stato nell'antica Roma), il che spiega come mai fu stampata anonima e perché recentemente si sia cercato di attribuirla ad altri, ben più noti, umanisti rinascimentali in odore di paganesimo. Il libro è arricchito da 169 splendide xilografie, in gran parte ispirate all'idea di giardino rinascimentale.
[2]La montagna incantata , trad. it. Dall'Oglio, Milano, 1930, vol., I, p. 163.
[3] Properzio, II 15, 12. Se non lo sai, gli occhi nell’ amore sono gli occhi a dirigere
[4] Riccardo II Plantageneto (Bordeaux, 6 gennaio 1367 – Pontefract, 14 febbraio 1400) è stato re d'Inghilterra dal 1377 al 1399. La tragedia di Shakespeare è del 1595.
[5] Cfr. il gatto del Cheshire, lo stregatto che Alice vede appollaiato in cima a un albero scomparire a poco a poco cominciando dalla punta della coda, finché rimane solo un grin, una sorta di ghigno in forma di riso (Alice nel paese delle meraviglie, di Lewis Carrol, 1865). “All right”, said the Cat, and this time it vanished quite slowly, beginning with the end of the tail, and ending with the grin, which remained some time after the rest of it had gone. “Well I’ve often seen a cat without a grin” thought Alice; “but a grin without a cat! It’s the most curious thing I evere saw in all my life!” (capitolo VI Pig and pepper, porco e pepe). Il nonsense e la morte
[6] Arezzo 1304-Arquà 1374.
[7] Stratford on Avon 1564-Warwickshire 1616. Love's labour's lost è del 1594-1505.
[8] Le plus belles lettres d'amour , tratto da Lunario dei giorni d'amore, p. 502.
[9] All'ombra delle fanciulle in fiore, p. 397.
[10] La coscienza di Zeno , Dall'Oglio, Milano, 1938, p. 317 e p. 319.
[11] Labano ndr
[12] Rebecca ndr
[13] T. Mann, Giuseppe e i suoi fratelli, La storia di Giacobbe, pp. 265 ss.
[14] Compendio di psicoanalisi, in Freud Opere , volume 11, p. 617, n. 1.
[15] D. Puliga e Silvia Panichi, In Grecia, p. 199.

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