lunedì 11 marzo 2019

Cacciari, Machiavelli e Leopardi. Stralci dal capitolo IV del "Saggio sull'umanesimo"

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Anticipo un altro brano del Capitolo IV, voglio commentare queste parole di Cacciari: “ Le tonalità che assume la ‘stagione dell’inferno’ albertiana toccano corde varissime, spesso risonanti insieme nel medesimo brano, dal riso (tav. 6[1]) più mordace del Momus, che farà ritorno nei ‘calci’ e negli ‘scherzi’ dell’Asino machiavellico, al sarcasmo più amaro, dalla parodia alla malinconia più luttuosa (La Mente inquieta. Saggio sull’Umanesimo, p. 57)

Prendo spunto dall’Asino machiavellico per ricordare un’Operetta morale tra le meno conosciute.
L’Asino di Machiavelli è menzionato, con quelli di Apuleio e di Firenzuola, da Leopardi nella Proposta di premi fatta dall’accademia dei sillografi la quale ha deciso di chiamare il nostro tempo “età delle macchine, non solo perché gli uomini di oggi vivono forse più meccanicamente di tutti i passati, ma eziandio per rispetto al grandissimo numero delle macchine inventate di fresco” al punto “che oramai non gli uomini ma le macchine, si può dire, trattano le cose umane e fanno le opere della vita”.
Tre premi veranno dati a chi avrà trovato le macchine che sottentrino agli uomini in determinate funzioni oramai cadute in disuso.
 “L’intento della prima sarà di fare le parti e la persona di un amico, il quale non biasimi e non motteggi l’amico assente” e non lo umili, prevarichi, danneggi in nessuno dei vari modi possibili.
“L’inventore di questa macchina riporterà in premio una medaglia d’oro di quattrocento zecchini di peso, la quale da una banda rappresenterà le immagini di Pilade e di Oreste, dall’altra il nome del premiato col titolo: PRIMO VERIFICATORE DELLE FAVOLE ANTICHE.
 La seconda macchina vuol essere un uomo artificiale a vapore, atto ordinato a fare opere virtuose e magnanime (…) Il premio sarà una medaglia d’oro di quattro cento zecchini di peso, stampatavi in sul ritto qualche immaginazione significativa dell’età d’oro, e in sul rovescio il nome dell’inventore della macchina con questo titolo ricavato dalla quarta egloga di Virgilio, QUO FERREA PRIMUM DESINET AC TOTO SURGET GENS AUREA MUNDO.
La terza macchina debbe essere disposta a fare gli uffici di una donna conforme a quella immaginata, parte dal conte Baldassar Castiglione, il quale descrisse il suo concetto nel libro del Cortegiano, parte da altri”. Leopardi ricorda poi il mito di Pigmalione che “in tempi antichissimi ed alieni dalle scienze si poté fabbricare la sposa colle proprie mani, la quale si tiene che fosse la miglior donna che sia state insino al presente”.
All’autore di questa macchina, la donna perfetta, “Assegnasi una medaglia d’oro in pesso di cinquecento zecchini, in sulla quale sarà figurata da una faccia l’araba fenice del Metastasio posata sopra una pianta di specie europea, dall’altra parte sarà scritto il nome del premio col titolo: INVENTORE DELLE DONNE FEDELI E DELLA FELICITà CONIUGALE”
E veniamo ai fondi dai quali Sillografi trarranno gli zecchini per i premiati- “L’Accademia ha decretato che alle spese che occorreranno per questi premi suppliscasi con quanto fu ritrovato nella sacchetta di Diogene[2], stato segretario di essa Accademia, o con uno dei tre asini d’oro che furono di tre Accademici sillografi, cioè a dire di Apuleio, del Firenzuola e del Machiavelli, tutte le quali robe pervennero ai Sillografi per testamento dei suddetti, come si legge nelle Storie dell’Accademia.”
Mi sono dilungato su questa operetta siccome ha previsto il nostro vivere di oggi sempre più “più meccanicamente”. La macchina “inventata di fresco” a me particolarmente odiosa è quello dei telefonini i quali, usati come li usano i più, contribuiscono ad annientare i rapporti umani, l’educazione la cultura e, quindi, lo stesso Umanesimo di cui si tratta in La mente quieta di Cacciari. I cellulari sono tra i latori del nichilismo che prima trasvaluta, poi annienta tutt i valori, infine annienta la vita.

giovanni ghiselli.

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Con questo “lavoro” cerco per lo meno di ricordare i valori che potenziano, abbelliscono e lietificano la vita: l’amore, l’amicizia, la cultura, la solidarietà, l’aiuto reciproco, l’attenzione per gli uomini e per la natura. Io, non essendo capace né desideroso di una vita egoista, ci metto anche il comunismo in senso etimologico: vivere con gli altri, per gli altri, fatto che ritorna accresciuto sul proprio benessere e sulla propria felicità.
Concludo con un’altra citazione tratta da Leopardi: “così a scuotere la mia povera patria, e secolo, io mi troverò avere impiegato le armi dell’affetto e dell’entusiasmo e dell’eloquenza e dell’immaginazione nella lirica; le armi della ragione, della logica, della filosofia, ne’ Trattati filosofici ch’io dispongo; e le armi del ridicolo ne’ dialoghi e novelle Lucianee che sto preparando” (27. luglio 1821) Zibaldone, 1394.



[1] Già presentata nel blog con il commento.
[2] Cioè nulla data la povertà di Diogene ndr.

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