venerdì 29 marzo 2019

Contro il diritto di uciidere chiunque si trovi dentro casa nostra

Aristofane
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La licenza di uccidere in casa propria, praticamente chiunque si voglia ammazzare per qualsiasi motivo magari dopo averlo invitato a cena o a letto, prelude alla restaurazione della pena di morte e al ritorno della guerra civile che ha tanto insanguinato l'Italia, da secoli, anzi da millenni, a partire da Romolo e Remo. Chiunque uccida, si trova in stato di grave turbamento e comunque può dire di avere ucciso in tale stato.
Il 6 aprile presenterò la Lisistrata, una commedia pacifista di Aristofane, a Cento.
Ne anticipo qui l'introduzione data da altre due commedie di Aristofane contro la guerra: gli Acarnesi e la Pace
Questo deve valere come monito ai fautori della licenza di uccidere

Aristofane nacque ad Atene intorno al 445 a. C. e morì probabilmente nella sua città poco dopo il 385.
Ricaviamo dalle sue commedie le notizie sulla vita. Ne scrisse una quarantina conseguendo cinque vittorie: a noi sono arrivati undici drammi: gli Acarnesi (425), i Cavalieri (424) le Nuvole (423), le Vespe (422), la Pace (421), gli Uccelli (414), la Lisistrata (411) le Tesmoforiazùse (411), le Rane (405), le Ecclesiazùse (392), il Pluto (388).

Tre commedie contro la guerra

Aristofane negli Acarnesi dichiara guerra alla guerra.
 Il protagonista Diceopoli, il cittadino giusto, fieramente avverso al conflitto, convince il coro che la guerra è un male e lo induce a dire: "io non accoglierò mai in casa Povlemo" (v. 977), la personificazione degli orrori bellici, visto come " un uomo ubriaco (pavroino" aJnhvr, v. 981) il quale "ha operato tutti i mali e sconvolgeva, e rovinava"(983) e, pur invitato a bere nella coppa dell'amicizia, "bruciava ancora di più con il fuoco i pali delle viti/e rovesciava a forza il nostro vino fuori dalle vigne"(986 - 987).
 Il campagnolo pacifista Diceopoli si fa portavoce dei contadini, esasperati poiché la guerra del Peloponneso nella fase archidamica (431 - 421) aveva distrutto ogni anno i raccolti.
 Respinto Polemos, arriva la Pace connessa alla festa, all'amore e alla bellezza dell'arte: infatti è compagna della bella Cipride e delle Cariti amabili (v. 989). Quindi giunge l'inviato di un marito che porta doni e chiede una coppa di pace: "i[na mh; strateouit j ajlla; kinoivh mevnwn" (kinevw nel senso di “sbatto” - v. 1052), perché non vuole andare in guerra, ma rimanere in casa a fare l'amore. Diceopoli, che ha sofferto l'incomprensione dei concittadini, rilutta ad aiutare il marito ma arriva anche una messaggera con la richiesta della sposa:
" che il pene del marito rimanga a casa" (o{pwς a}n oijkourh'/ to; pevoς tou' numfivou, 1060). Questa preghiera fa breccia nel cuore del cittadino giusto, il pacifista Diceopoli alter ego di Aristofane:
"perché una donna non merita di soffrire per la guerra"(Acarnesi, 1062).

Nella seconda commedia pacifista (Pace del 421) la festa che segue alla pace odora di frutta, conviti, di grembi di donne che corrono verso la campagna (kovlpou gunaikw'n diatrecousw'n eij" ajgrovn, v. 536) e di tante altre cose buone.
Qui si racconta che gli dèi[1] si sono allontanati dagli uomini per non vederli sempre combattere e li hanno abbandonati a Polemo il quale ha gettato la Pace in un antro profondo (v. 223). Intanto però il pestello (aJletrivbano", v. 269) degli Ateniesi, il cuoiaio (oJ bursopwvlh" , v. 270) che sconvolgeva l'Ellade, insomma Cleone, è morto. Così pure Brasida, il pestello dei Lacedemoni.
La pace accresce le possibilità di vita secondo Trigeo, anche questo, come Diceopoli, un contadino pacifista: essa consente di navigare, rimanere dove si è, fare l'amore, dormire, andare a vedere le feste, banchettare, giocare al cottabo, e gridare iù iù (vv. 341 - 345). Vogliono le guerre i fabbricanti di lance e i mercanti di scudi per i loro guadagni (vv. 447 - 448). Alla fine costoro riceveranno le pernacchie, mentre i contadini potranno tornare al lavoro dei campi richiamando alla memoria l'antica vita che la Pace largiva: i panieri di frutta secca, i fichi e i mirti, il dolce mosto, le viole accanto al pozzo e le olive di cui si ha desiderio. La pace per i campagnoli significava la zuppa d'orzo verde e la salvezza (ci'dra kai; swthriva, v. 595), sicché le vigne e i teneri fichi, e quante altre piante vi sono, rideranno liete accogliendola. Segue nell'agone un'eziologia della guerra meno ridicola di quella presentata negli Acarnesi[2]: Pericle, spaventato dalle accuse intentate a Fidia, per non seguire la stessa sorte, mise a fuoco la città e provocò tanto fumo che tutti i Greci lacrimavano. La distrazione di massa si dice oggi. Alla pace ritrovata seguono progetti e preparativi di feste a base di scorpacciate culinarie e sessuali: Teoria ha un culo da Festa quinquennale e va molto bene; la focaccia è cotta, la torta col sesamo è impastata e tutto il resto è pronto: "tou' pevou" de; dei' " (v. 870), manca solo il bischero.
Quindi Trigeo cita due esametri omerici[3]: "è privo di legami sociali, di leggi, di focolare quello che/ama la guerra civile agghiacciante (vv. 1097 - 1098).
Ogni guerra in fondo è una guerra civile secondo i princìpi dell’umanesimo.

Nei conflitti interni molti valori si capovolgono: lo afferma Tucidide a proposito della stavsi" di Corcira, quando ci fu una tranvalutazione generale e le stesse parole cambiarono il loro significato originario:"Kai; th;n eijwqui'an ajxivwsin tw' ojnomavtwn ej" ta; e[rga ajnthvllaxan th'/ dikaiwvsei. Tovlma me;n ga;r ajlovgisto" ajndreiva filevtairo" ejnomivsqh" (III, 82, 4), e cambiarono arbitrariamente l'usuale valore delle parole in rapporto ai fatti. Infatti l'audacia irrazionale fu considerata coraggio devoto ai compagni di partito. 
"Un'audacia " ajlovgisto"" prende il nome di coraggio, la prudenza si chiama pigrizia, la moderazione viltà, il legame di setta viene prima di quello di sangue, e il giuramento non viene prestato in nome delle leggi divine, bensì per violare le umane. Sinistro carnevale, mondo a rovescio, in cui è necessario lottare con ogni mezzo per superarsi e in cui nessuna neutralità è ammessa. Così appare, a Corcira, per la prima volta tra gli Elleni, la più feroce di tutte le guerre (Tucidide, III, 82 - 84)"[4].
 Nel Bellum Catilinae di Sallustio, Catone, parlando in senato dopo e contro Cesare, il quale aveva chiesto di punire i congiurati "solo" confiscando i loro beni e tenendoli prigionieri in catene nei municipi, denuncia questo cambiamento del valore delle parole:"iam pridem equidem nos vera vocabula rerum amisimus: quia bona aliena largiri liberalitas, malarum rerum audacia fortitudo vocatur, eo res publica in extremo sita est " (52, 11), già da tempo veramente abbiamo perduto la verità nel nominare le cose: poiché essere prodighi dei beni altrui si chiama liberalità, l'audacia nel male, coraggio, perciò la repubblica è ridotta allo stremo.

Nella II Parabasi della Pace il Coro di contadini proclama la sua gioia per la libertà dagli impegni bellici e la possibilità che la pace offre di stare vicino al fuoco a bere con i compagni, arrostire ceci, mettere ghiande al fuoco e sbaciucchiare la serva tracia mentre la moglie si lava. Poi quando arriva l'estate con la dolce canzone della cicala[5] Trigeo gode nel vedere maturare vigne precoci e mangiare i fichi dicendo "w|rai fivlai" (v. 1168), che bella stagione! Tutto questo succede invece dell’essere arruolati ancor prima dei cittadini e di dover obbedire a un capitano vigliacco. Alla festa finale arriva un mercante di falci che ha ripreso la sua attività ed è grato a Trigeo, mentre il mercante di armi è addolorato. Il cimiero che lui vende può servire al massimo per pulire la tavola e la corazza per cacarci dentro. Le lance segate in due potranno fare da pali di viti. Infine c'è la festa di nozze fra Trigeo e Opora (il raccolto): lui ce l'ha grande e grosso, lei ha la fica dolce (tou' me;n mevga kai; pacuv - th'" d’hJdu; to; su'kon - 1350 - 1351).

 La terza commedia pacifista è la Lisistrata del 411.


[1] Disgustati, come ha detto di recente il Pontefice.
[2] Che faceva dipendere lo scoppio del conlitto da ratti di prostitute,
[3] Da Iliade 9, 63 - 64.
[4] M. Cacciari, Geofilosofia dell'Europa, pp. 42 - 43.
[5] Questa non dà segni ambigui come la rondine.

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