mercoledì 13 marzo 2019

"La mente inquieta. Saggio sull'Umanesimo" di Massimo Cacciari. Parte 7

Franz Marc, Camaleonte
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Massimo Cacciari, La mente inquieta. Saggio sull’Umanesimo (Einaudi, Torino, 2019)

Presenterò l'intero volume l'11 aprile alla Sapienza di Roma (sala Odeion)

Stralci dal capitolo IV

Torniamo a La mente inquieta: “Un camaleonte l’animale uomo, sia quando inventa maschere per travestirsi e ingannare, che quando ‘ri-vela’ in forme sempre nuove, dietro facciate come quella di Palazzo Rucellai, i propri interessi, i propri affari e le proprie cure. Plasmare, fingere, bisogna sempre, se si vuole affrontare il mestiere che Leon Battista, come poi Machiavelli e lo stesso Guicciardini, sanno per personale esperienza essere il più faticoso di tutti: il vivere e per affrontarlo non basterà industria, consiglio, arte, saranno necessari mani, piedi e nervi”[1]. (p. 61)

Per quanto riguarda “un camaleonte l’animale uomo”, possiamo pensare ad Alcibiade, a Catilina e allo Sperelli di D’Annunzio che li imita.
Plutarco scrive di Alcibiade che per accalappiare le persone era capace di imporsi trasformazioni più rapide e radicali del camaleonte ("ojxutevra"...tropa;" tou' camailevonto""), il quale infatti non è creatura altrettanto versatile in quanto non in grado di assumere il colore bianco, mentre per quest'uomo, che passava con uguale disinvoltura attraverso il bene e il male, non c'era niente di inimitabile né di non provato: "jAlkibiavdh/ de; dia; crhstw'n ijovnti kai; ponhrw'n oJmoivw" oujde;n h'jn ajmivmhton oujd j ajnepithvdeuton": a Sparta viveva da sportivo (gumnastikov"), si comportava da persona semplice e sobria (eujtelhv"), perfino austera (skuqrwpov"); in Ionia invece appariva raffinato (clidanov"), gaudente (ejpiterphv"), indolente (rJav/qumo"); in Tracia si ubriacava (mequstikov") e andava a cavallo ( iJppastikov"); e quando frequentava il satrapo Tissaferne superava nel fasto e nel lusso la magnificenza persiana ("uJperevballen o[gkw/ kai; poluteleiva th;n Persikh;n megaloprevpeian"[2]). Insomma assumeva di volta in volta le forme e gli atteggiamenti più consoni a quelli cui voleva piacere, o per dirla con Cornelio Nepote era "temporibus callidissime serviens"[3] abilissimo nell'adattarsi alle circostanze.
Anche Montaigne mette in rilievo questo aspetto di Alcibiade:"Ho spesso notato con grande ammirazione la straordinaria facoltà di Alcibiade di adattarsi tanto facilmente a usanze così diverse, senza danno per la sua salute: oltrepassando ora la sontuosità e la pompa persiana, ora l'austerità e la frugalità spartana; così moderato a Sparta come dedito al piacere nella Ionia"[4].
Cicerone attribuisce a Catilina nell'orazione Pro Caelio[5] aspetti del carattere simile a questo e ad altri di Alcibiade.
Questa indole multiforme sapeva adeguarsi alle circostanze: "Illa vero iudices, in illo homine admirabilia fuerunt, comprehendere multos amicitia, tueri obsequio, cum omnibus communicare quod habebat, servire temporibus suorum omnium pecunia, gratia, labore corporis, scelere etiam, si opus esset, et audacia, versare suam naturam et regere ad tempus atque huc et illuc torquere et flectere, cum tristibus severe, cum remissis iucunde, cum senibus graviter, cum iuventute comiter, cum facinerosis audaciter, cum libidinosis luxuriose, vivere" (Pro Caelio, 6,13), quei famosi aspetti invero, giudici, fecero stupire in quell'uomo: afferrare molti con l'amicizia e conservarli con la compiacenza, mettere in comune con tutti ciò che aveva, venire incontro alle circostanze critiche di tutti i suoi amici con il denaro, la sua influenza, la fatica corporale, e se ce n'era bisogno anche con il delitto e l'ardimento, modificare la sua indole e indirizzarla secondo le circostanze, volgerla e piegarla di qua e di là, vivere con gli austeri severamente, con i gioviali allegramente, con i vecchi seriamente, con i giovani benevolmente, con i criminali temerariamente, con i libidinosi dissolutamente.
Il protagonista de Il Piacere[6] può trovare un antenato in Alcibiade, soprattutto in quello della decadenza: "Il senso estetico aveva sostituito il senso morale. Ma codesto senso estetico appunto, sottilissimo e potentissimo e sempre attivo, gli manteneva nello spirito un certo equilibrio... Gli uomini d'intelletto, educati al culto della Bellezza, conservano sempre, anche nelle peggiori depravazioni, una specie di ordine. La concezione della Bellezza è, dirò così, l'asse del loro essere interiore, intorno al quale tutte le passioni gravitano"[7]. L'esteta dannunziano pensa di sé: "Io sono camaleontico, chimerico, incoerente, inconsistente. Qualunque mio sforzo verso l'unità riuscirà sempre vano. Bisogna omai ch'io mi rassegni. La mia legge è in una parola: NUNC. Sia fatta la volontà della legge"[8]

Alcibiade quindi anticipa Catilina, Sperelli, e anche l'esteta-seduttore di Kierkegaard, il seduttore sensuale ed estensivo, don Giovanni, "l'incarnazione della carne ovvero la spiritualizzazione della carne da parte dello spirito proprio della carne"[9] che vive di preda e ama "il casuale, l'accidentale", poiché "il sensuale è il momentaneo. Il sensuale cerca la soddisfazione istantanea, e quanto più è raffinato, tanto più sa trasformare l'istante del godimento in una piccola eternità"[10].

Masaccio
Distribuzione dei beni ai fedeli e morte di Anania
Torno a Cacciari: “Tutte le ‘ragioni del corpo’ dovranno allearsi a quelle della diligenza, della sollecitudine, della cura per navigare il fiume della Vita, sfidarne tempeste e naufragi (Fatum et fortuna)[11]” (…)
La pazienza che occorre nel navigare il fiume Bios è altrettanto impiger dell’impazienza di quelli che si affannano a sopravvivere trascinati dalla corrente. Virtus sarà costruire bonae artes come naviculae, cui aggrapparsi, per giungere alla sponda ultima, ‘contenti’ soltanto di avere così bene vissuto” (p. 62).

Molto frequenti sono le metafore nautiche nei classici greci e latini. Ne ricordo una relativa alla città di Tebe desolata dal mivasma che si rivela essere Edipo, il suo re: "la città infatti, come anche tu stesso vedi,troppo/già ondeggia (saleuvei) e di sollevare il capo /dai gorghi del fluttuare insanguinato non è più capace" (Edipo re, vv.22-24).

I limiti della nostra libertà “non sono semplicemente quelli dell’universale Fato, bensì quelli che derivano dal nostro intimo essere contraddizione: creatori e perturbatori, artefici e contraffattori, lupi gli uni agli altri e insieme ‘animali politici’, pronti perfino a “soffrire le fatiche della patria” (Alberti[12])”.

Al nostro “essere contraddizione” si può aggiungere essere segni di contraddizione come Cristo[13].

Complexio oppositorum, da cui si origina il meglio e il pessimo del thauma che è l’uomo (…) Thauma, insomma, che occorre guardare e dipingere secondo la “dolce prospettiva”[14].
“Come messer Filippo ha insegnato. Ma all’interno di tale spazio palpita in tutta la sua concretezza il dramma di quella summa di opposti che è l’uomo -e tale dramma occorre anche saper rendere secondo i suoi colori, le sue ombre, in tutta la gravità delle sue masse, dei suoi pesi. Questo vedrai, fermissima immagine, alla cappella Brancacci[15], o scolpito per sempre da Donatello sul volto dei suoi profeti” (p. 62)
Cacciari rimanda alle tavole 7-8 poste nell’ultima parte del suo libro
La tavola 7 riproduce un affresco di Masaccio: Distribuzione dei beni ai fedeli e morte di Anania (1425-1428).
Il commento nota che l’atto di carità vi appare come un grande dovere, scevro da ogni sentimentalismo, compiuto da figure che sono “spazio concentrato” (Argan), grande architettura capace di sopportare immensi carichi, espressione di un’antica virtus, che qui rivive, nella città reale fatta dai suoi cittadini, quelli che Masaccio aveva ritratto volto per volto , “in infinito numero” (Vasari), sopra la porta che andava in convento (anche questo dipinto è andato distrutto) in occasione della loro partecipazione alla festa per la cosacrazione del Carmine”.

Donatello
Profeta Abacuc (detto lo Zuccone)
La tavola 8 mostra il Profeta Abacuc (detto lo Zuccone) di Donatello, marmo, 1423-35, particolare. Firenze, Museo dell’Opera del Duomo
Riferisco parte del vommento: “Sono contemporanei alla cappella Brancacci i profeti Geremia e Abacuc di Donatello. Movimento e animazione, la manifestazione, cioè, in sembianze fisiche dell’agitazione interna della figura, travolge ogni tardo-gotica suavitas, si oppone alla misura ghibertiana, “fino alla terribilità” (Chastel) (…) Donatello resterà fedele a questa immagine dell’uomo: ciò che dona vita è la stessa energia che inquieta e non dà pace, che agita sempre corpo e pensiero, come il pathos che sconvolge le menadi ai piedi della croce sul pulpito di San Lorenzo. E’ questa energia a dover essere classicamente espressa; questo significa conoscere, sapere, in tutti i sensi, le opere dei classici (…) resta forse insuperata la violenza espressiva dello ‘Zuccone’, di questa figura cui Donato, mentre la lavorava, si rivolgeva dicendo: “favella, favella, che ti venga il cacasangue!” (Vasari)
Torniamo alla pagina 62 di La mente inquieta. “Vedrai nell’opera di quei sommi che sono davvero tutt’uno con l’opera che realizzano, pur sapendola peritura, e che mai fuggono da tale dolorosa coscienza. Pittori e filosofi tutti, come lo sarà ancora il protagonista del Candelaio bruniano”.





[1] Refrain, quasi, dei Libri della famiglia. “Siendo ogni vita (…) grieve e laboriosa”, anzi, non trovandosi “niuna cosa (…) più faticosa del vivere”, occorrerà affrontarla “colle mani e co’ piedi, con tutti e’ nervi, con ogni industria e consiglio”
[2]Plutarco, Vita di Alcibiade, 23, 4- 5.
[3]Liber de excellentibus ducibus exterarum gentium, Alcibiades , 1, 4.
[4] Montaigne, Saggi, p. 221.
[5] Del 56 a. C.
[6] Del 1889.
[7]D'Annunzio, Il Piacere , pp. 42-43.
[8]D'Annunzio, Il Piacere , p. 278.
[9] S. Kierkegaard, Enten-Eller (del 1843), Tomo Primo, p. 158.
[10]S. Kierkegaard, Enten-Eller , Tomo Quarto trad. it. Adelphi, Milano, 1981, p. 40.
[11] Per le Intercenales disponiamo ora dell’eccellente edizione di F. Bacchelli e L. D’Ascia (a cura di), “Delusione” e “Invenzione” nelle intercenali di Leon Battista Alberti, Bologna 2003, che ne hanno steso anche un’ampia e importante introduzione,
[12] Cfr. L A, Alberti I libri della famiglia, in Opere volgari cit. p. 183
[13] "Ecce positus est hic in ruinam multorum in Israel et in signum cui contradicetur (...) ut revelentur ex multis cordibus cogitationes". Nuovo Testamento (Luca, 2, 34)
[14] “Paulo stava nello scrittoio per trovar i termini della prospettiva, e che quando ella (moglie) lo chiamava a dormire, egli le diceva: “Oh che dolce cosa è questa prospettiva!”.
Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri (1568)
 [15] Di santa Maria del carmine a Firenze ndr.

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