mercoledì 6 marzo 2019

"La mente inquieta. Saggio sull'Umanesimo" di Massimo Cacciari. Parte 3


Massimo Cacciari, La mente inquieta. Saggio sull’Umanesimo (Einaudi, Torino, 2019)
Presenterò l'intero volume l'11 aprile alla Sapienza di Roma (sala Odeion)

Philosophica Philologia (pp. 29-51)

Homo è chi seppellisce i morti (humus - f. - terra, humo - are seppellire), e li seppellisce per tenerli a cuore con religiosa pietas1.
Dunque in fondo, per disseppellirli sempre”
Dante “inaugura un nuovo cammino intorno ai possibili nessi tra filologia, filosofia, teologia” (p. 28). La sua è “poesia filosofica, dunque, poesia di un sapiente, e perciò superiore anche a quella di Petrarca”.
Leonardo Bruni distingua due generi di poesia: il primo è quello degli ek-statici, di coloro i quali, anche indotti, rozzi pastori come lo era Esiodo, dicono come il dio detta, gli entusiasti, i maniaci, nel senso dello Ione platonico; il secondo è quello di chi è poeta “per scientia e per studio”, per disciplina et arte et prudentia” e tra questi colloca Dante. La Commedia non potrebbe perciò essere definita divina, né il suo autore uno spirito profetico. Sono i neoplatonici e Landino (1424-1498) nel suo Commento sopra la Commedia (1481) a compiere il passo (…) Da un divino furore nasce la potenza immaginativa della poesia ( Landino riprende e sviluppa idee già presenti in Marsilio Ficino -si veda la lettera di questi a Pellegrino Agli del dicembre 1457), furore, tuttavia, che non impedisce affatto quella scienza, quello studio, quella disciplina, insomma quella competenza tecnico-artistica che Bruni esigeva dalla poesia “non sterile, né povera, né fantastica”. “Infuriati” non erano soltanto gli Omero e gli O rfeo, Esiodo e Pindaro; il Dio in-forma di sé direttamente anche i Virgilio e i Dante” (p. 30)
Sul “furore” di Pindaro aggiungo Leopardi: “Chi non sa quali altissime verità sia capace di scoprire e manifestare il vero poeta lirico, vale a dire l’uomo infiammato del più pazzo fuoco, l’uomo la cui anima è in totale disordine, l’uomo posto in uno stato di vigor febbrile, e straordinario (principalmente, anzi quasi indispensabilm. Corporale), e quasi di ubbriachezza? Pindaro ne può essere un esempio: ed anche alcuni lirici tedeschi ed inglesi abbandonati veram. Che di rado avviene, all’impeto di una viva fantasia e sentimento” (Zibaldone, 1856).
I misteri divini non potrebbero diversamente venire espressi; se il Dio detta, è il sapiente dictare del poeta l’unico modo per in-dicarli.

Cfr. i vv.897-902 del secondo stasimo dell’Edipo re:"Non andrò più all'intangibile/ ombelico della terra a pregare,/ né al tempio di Abae,/ né a Olimpia, /se queste parole indicate a dito/ non andranno bene a tutti i mortali"jeij mh; tavde ceirovdeikta-2-pa'sin ajrmovsei brotoi'" . Sono le parole del poeta che dà voce al dio-

La platonica maniva poihtikhv viene così ripresa dal neoplatonismo fiorentino”. Il poeta rivela gli abdita dei e diviene in qualche modo profeta, entrando nella sfera della Rivelazione.
Il divino furore –progenitore di quello eroico del Bruno, non potrà esprimersi, per propria natura, che attraverso immagini di straordinaria potenza” (p. 31).
Cacciari rimanda alle tavole 4 e 5. nella prima si vedono Dante e Beatrice in volo verso il cielo del Sole (Paradiso X, cielo IV quello del sole), una miniatura di Giovanni di Paolo (composta tra il 1438 e il 1450) Londra British Library codice Yates Thompson.
La tavola 5 riproduce una illustrazione del Botticelli per il Paradiso. Dante e Beatrice si rivolgono a San Pietro nell’Ottava sfera, cielo delle stelle fisse (XXIV canto). Pietro, è uno dei fuochi apostolici- la “luce etterna del gran viro” (v.34) che danzano intorno a Beatrice accogliendo la “santa suora” (v. 27)

La parola capace di imporsi per evidenza simbolica è divinamente ispirata e presenta un’immagine capace di destare qau'ma, stupore.

L’immagine non sopraggiunge a posteriori per rappresentare con mezzi ‘tecnici’ adeguati l’idea, non ha funzioni illustrative e tantomeno decorative, ma l’idea stessa è già visione che colpisce, meravigliosa-tremenda, e in essa il poeta lavora e compone”. (p. 31)


Meravigliosa –tremenda mi rimanda allo squillo iniziale del I stasimo dell’Antigone di Sofocle: polla; ta; deina; koujde;n ajn-qrwvpou deinovteron pevlei (331-332)
"Alla luce di questa drammaturgia, l'uomo non appare delineato come una natura stabile, un essere che si potrebbe delineare e definire, ma come un problema; assume la forma di un'interrogazione, di una serie di domande. Creatura ambigua, enigmatica, sconcertante, al tempo stesso agente e agito, colpevole e innocente, libero e schiavo, destinato per la sua intelligenza a dominare l'universo e incapace di dominare se stesso, l'essere umano, unendo in sé il meglio e il peggio, può essere qualificato come un deinov~ , nei due sensi del termine: meraviglioso e mostruoso"3.
Vediamo la traduzione e il commento di alcuni versi siccome il deinovn tornerà più avanti in questa Mente inquieta.
332-333:"Molte sono le cose inquietanti e nessuna/è più inquietante dell'uomo".-ta; deina;: ho tradotto come suggerisce Heidegger in Introduzione alla metafisica 4 nella traduzione della Mursia:"Noi concepiamo l'in-quietante (das Un-heimliche ) come quello che estromette dalla "tranquillità", ovverosia dal nostro elemento, dall'abituale, dal familiare, dalla sicurezza inconcussa".
Insomma l'uomo, deinov" , è meraviglioso e terribile, esaltante e pure capace delle peggiori atrocità.

334-339: questo prodigio anche al di là del mare/canuto con l'austro tempestoso/procede, passando sotto/i flutti gonfi che si spalancano intorno, e tra le divinità,/la suprema, la Terra,/
che non si consuma, che non si stanca, lui cerca di affaticare..-
340-341: "quando vengono girati gli aratri, anno per anno
rivoltandola con la stirpe equina
Prima Antistrofe. vv. 342-352.
L'uomo che sa pensare cattura gli uccelli dalla mente leggera, le fiere delle foreste, i pesci delle profondità marine, e sottomette sia le bestie dei campi sia quelle montane aggiogando cavalli e tori infaticabili .
E la razza degli uccelli dalla mente/alata, circondando con maglie/di reti intrecciate/cattura, e le stirpi delle fiere selvatiche/e la progenie sprofondata nel mare,/l'uomo che sa pensare, e si impossessa/con i suoi mezzi possenti della bestia/che dimora nei campi, che vaga sui monti, e il cavallo/dalla cervice crinita trascina sotto il giogo che cinge il collo/e il montano, infaticabile toro".

Seconda strofe. vv. 353-364
L'uomo ha imparato a organizzarsi e a difendersi da tutti i nemici, tanto interni quanto esterni, ma non ha mai trovato un rimedio risolutivo contro la morte .
E la parola, e pari al vento il/pensiero, e a regolare gli istinti con le leggi/della città ha imparato, e a fuggire/degli inabitabili geli gli strali a cielo scoperto/e gli scrosci delle piogge terribili/con ogni risorsa; senza risorse per niente va/verso il futuro; da Ade soltanto/
non potrà procurarsi lo scampo;/eppure da malattie immedicabili ha escogitato/vie di uscita".-
Solo una cosa pone immediatamente in iscacco ogni far violenza. La morte”5.
vv. 365-383
La tecnologia può essere guidata verso il male e pure verso il bene; l'uomo è grande nella città se trova l'armonia con l'universo e gli dèi, bandito dalla città è quello estraneo al bello morale. Il coro prende distanza da costui. Quindi entra Antigone accompagnata dalla guardia. Il coro ha parole di compatimento e di stupore per l'audacia della ragazza.
vv. 365-367. Possedendo il ritrovato della tecnologia,/ che è un qualche sapere, oltre l'aspettativa/ora si volge al male, ora al bene".-
vv. 368- 375:" e le leggi della terra unendo/e degli dei la giurata giustizia/è grande nella città; bandito dalla città (a[poli") è quello con il quale /coesiste la negazione del bello morale (to; mh; kalovn), per la sfrontatezza (tovlma" cavrin) ban./Non mi stia accanto sul focolare/né sia uno che ha lo stesso pensiero/chi compie queste azioni".-
Ho tradotto to; mh; kalovn (v. 370 “il non bello”) con “la negazione del bello morale” per l’associazione la crasi tra bello e buono che troviamo nella kalokajgaqiva così commentata da Leopardi: Quello dei Greci era : “un popolo che, eziandio nella lingua, faceva pochissima differenza dal buono al bello” (Leopardi, Detti memorabili di Filippo Ottonieri ).

Con questo torniamo a Cacciari: “Questa consapevolezza della potenza propria dell’immagine risulta chiarissima anche in Marsilio Ficino, al quale, non a caso, Tasso darà la parola nel dialogo a lui intitolato, Il Ficino overo de l’arte6:
“…Molto discettano i filosofi, declamano gli oratori, cantano i poeti per esortare l’uomo a un sincero amore della virtù (…) ma non si può dire quanto la vista della bellezza ispiri amore più facilmente delle parole”7 (p. 31)

E’ un’idea platonicamente ortodossa: nel Simposio di Platone Diotima la professoressa dell’amore insegna che Amore è la tendenza a possedere il bene per sempre (206 a) e vuole la procreazione nel bello secondo l'anima e secondo il corpo:"tovko" ejn kalw'/ kai; kata; to; sw'ma kai; kata; th;n yuchvn" (206 b). Per il tovko" ci vuole la bellezza che è Moira e Levatrice nella procreazione. Amore infatti non è desiderio del Bello ma di generare e partorire nel bello (206 d). Ed è anche amore di immortalità poiché la procreazione è immortalità.

Leonardo ha portato avanti l’idea che “il pensiero possa essere meglio immaginato e dipinto. Il bello colpisce; nel bello dice il Simposio, si produce, si crea” (p. 32)
La Filologia dei Poliziano (1454-1494) e dei Valla (1400- 1457) non ha niente a che vedere con la pedanteria e le varie deformità “che Nietzsche attribuiva alla filologia sua contemporanea, contrapponendola alla ‘bellezza’ dei Greci” (p. 33)
Dentiamo Nietzsche: “L’antichità è stata scoperta in tutte le cose principali da artisti, uomini politici e filosofi, non :da filologi, e ciò fino al giorno d’oggi”8.
I filologi non sono se non liceali invecchiati”9.
Proprio invece quella filologia che egli dice di apprezzare, amica del lento, restauratrice metodica del testo da amare, per poterlo poi giustamente giudicare, è propria dei grandi maestri dell’Umanesimo. Nella Oratio super Quintilianum il Poliziano esalta in questo senso la vis loquendi dell’interprete filologo: essa viene, come quella dell’orator di Quintiliano, “ex intimis sapientiae fontibus” (De institutione oratoria, XII, 2, 6); la filologia è fondamento necessario dell’esercizio critico consapevole. Lorenzo Valla ha un passaggio nelle Elegantiae che sembra uscito direttamente dalla penna di Nietzsche (…) Eloquentia non significa rendere attraente, seducente un discorso, ma farlo concreto, sostanziale, ad rem.
La sofiva è lo scopo di quella cultura che Nietzsche chiama tragica: "la sua principale caratteristica consiste nell'elevare a meta suprema, in luogo della scienza, la sapienza". La sapienza si tuffa nel fiume della vita. Il sapere al contrario è il fine dell'uomo teoretico il quale "non osa più affidarsi al terribile fiume dell'esistenza: angosciosamente egli corre su e giù lungo la riva”10.
"La cultura comincia proprio dal punto in cui sa trattare ciò che è vivo come qualcosa di vivo (…) il mondo ellenico, una volta risvegliato, diventa senz’altro aggressivo, e deve esprimersi in una lotta continua contro la presunta cultura del momento attuale ". Se resterete “lontani dall’antichità”, “diventerete i servitori della moda” 11.
Noi insegnanti dobbiamo prendere le distanze dal pedante estraneo al mito e alla vita, quello che Nietzsche definisce "l'eterno affamato, il "critico" senza piacere e senza forza, l'uomo alessandrino12, che è in fondo un bibliotecario e un emendatore, e si accieca miseramente sulla polvere dei libri e degli errori di stampa"13.
Colui che di fronte a Sofocle e ad Aristofane non è mai riuscito a ricevere un'impressione insolita, ad avere un pensiero decente, viene posto al telaio dell'etimologia, o viene invitato a raccogliere residui di dialetti remoti. ”14
I nostri licei allevano un'erudizione micrologica e arida che in ogni caso rimane lontana dall'educazione”15


CONTINUA

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1 Si pensi all’Antigone, all’Aiace di Sofocle e alle Supplici di Euripide (ndr).
2 ceivr-deivknumi.
3J. P. Vernant, Tra mito e politica , p. 253.
4 Trad. it. Mursia, Milano, 1968
5Heidegger, Introduzione alla metafisica, p. 165.
6 Dialogo di Torquato Tasso, scritto nel 1592, pubblicato postumo nel 1666. In esso viene discussa la definizione dell’arte, prendendosi in esame la relazione tra arte e natura, e soffermandosi sull’arte poetica. Sulla scorta dell’influsso del pensiero platonico si sostiene che le arti devono essere rivolte a un fine e servire alla costruzione d’una filosofia. Interlocutori sono Cristoforo Landino (1424-1498) e Marsilio Ficino (1433-1499), ambedue esponenti dell’indirizzo neoplatonico del Rinascimento fiorentino: il dialogo, a differenza di quanto era consuetudine in Tasso, non è ambientato nel mondo contemporaneo, ma nel Quattrocento.
7 M. Ficino, Lettera a Lorenzo de’ Medici e Bernardo Bembo
8 Frammenti postumi ottobre 1876 (4).
9 Op. cit (6)
10 La nascita della tragedia , cap. 18
11 F. Nietzsche, Sull'avvenire delle nostre scuole (1872), Seconda conferenza p
12 Ad Alessandria d’Egitto, la città fondata da Alessandro Magno nella primavera del 331 a. C., i Tolomei istituiscono un Museo dove “vengono a confluire strumenti di lavoro, collezioni di animali, raccolte di libri” Inoltre “dentro il Museo vivono in koinonia gli scienziati e i letterati: lì studiano, lì impartiscono il loro insegnamento, lì consumano i pasti in comune”. (L. Canfora, La Biblioteca e il Museo in Lo spazio letterario della Grecia antica, vol. I, Tomo II, p. 15). Viene in mente la Castalia di Il gioco delle perle di vetro di H. Hesse. Oltre al Museo i Tolomei fondarono una “ grande biblioteca “mirante –secondo l’ambizioso progetto-a contenere tutti i libri del mondo… Tutte le fonti concordano nell’attribuire al II Tolomeo, il Filadelfo (285-246 a. C.), figlio e successore dopo due anni di correggenza, del Soter, l’iniziativa della grande biblioteca ed il merito di averla incrementata in modo ammirevole e rapido. E nondimeno le medesime fonti pongono accanto al Filadelfo, come principale esecutore e ordinatore di questa impresa, Demetrio Falereo, che invece dal Filadelfo fu eliminato non appena questo poté regnare da solo (fr. 69 Wehrli)” L. Canfora, op. cit., p. 20. Demetrio del Falero era l’allievo di Teofrasto che Cassandro impose nel 317 al governo di Atene: nel 307 fu costretto, da Demetrio Poliorcete, a fuggire: si rifugiò in Egitto dove rimase fino alla morte.
13Nietzsche, La nascita della tragedia , cap. 18.
14 Sull’avvenire delle nostre scuole, Terza conferenza.

15 Sull’avvenire delle nostre scuole, Quarta conferenza

1 commento:

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