mercoledì 27 febbraio 2019

Il sapere non è sapienza

Penteo


Due versi chiave delle Baccanti di Euripide (395-396)

Il sapere non è sapienza to; sofo;n d  j ouj sofiva
e avere la pretesa di comprendere fatti non mortali to; te mh; qnhta; fronei`n.

 La sofiva è lo scopo di quella cultura che Nietzsche chiama tragica:" la sua principale caratteristica consiste nell'elevare a meta suprema, in luogo della scienza, la sapienza". La sapienza si tuffa nel fiume della vita. La scienza al contrario è il fine dell'uomo teoretico il quale "non osa più affidarsi al terribile fiume  dell'esistenza: angosciosamente egli corre su e giù lungo la riva"[1] .
La scienza lavora incessantemente a quel grande colombario dei concetti-cimitero delle intuizioni”[2].
All’idea di classicità, Nietzsche sostituisce in definitiva quella di tragicità: la civiltà greca non è una civiltà classica ma piuttosto una civiltà tragica”[3].

Vale la pena di riferirne anche l'esegesi di T. Mann:"A questa tragica saggezza, che benedice la vita in tutta la sua falsità, durezza e crudeltà, Nietzsche ha dato il nome di Dioniso"[4]. Su questa opposizione sapere/sapienza riferisco, di seconda mano, Eliot che pure è uno dei miei massimi maestri:"Eliot affermava:"Qual è la conoscenza che noi perdiamo nell'informazione e qualè la sapienza (wisdom) che perdiamo nella conoscenza?"[5].

 Interessante a questo proposito è un elogio dello stupore di H. Hesse: "Per stupirci siamo qui!" dice un verso di Goethe. Tutto inizia con questa stupefazione e con essa termina, tuttavia non è un cammino vano. Sia che io ammiri un musco, un cristallo, un fiore, un maggiolino d'oro, sia che guardi un cielo solcato dalle nuvole, un mare con il pacato gigantesco respiro della sua risacca, l'ala di una farfalla con la trama ordinata delle sue costole vitree…in quello stesso istante io ho abbandonato e dimentico il mondo avido e cieco dell'umana necessità e, anziché pensare a comandare, acquistare, sfruttare, combattere o organizzare, non faccio altro, per quell'istante, che provare la "stupefazione" goethiana e, contemporaneamente, non divengo solo fratello di Goethe e di tutti i poeti e saggi, ma sono anche fratello del cosmo vivente che contemplo e sperimento: della farfalla, del coleottero, della nuvola, del fiume e del monte. Percorrendo la via dello stupore, sono infatti sfuggito per un attimo al mondo delle differenziazioni e sono entrato in quello dell'unità, dove ogni cosa o creatura dice all'altro: Tat twam asi ("Sei Tu")...non vogliamo lamentarci che nelle nostre università non si insegni a percorrere le strade più semplici per conseguire la saggezza e che, al posto dello stupore, si insegni l'esatto contrario: a contare e a misurare invece che perdersi nell'estasi, l'oggettività invece della malia, il rigido attenersi alle differenziazioni anziché subire l'attrazione del Tutto e Uno. Le università non sono scuole di saggezza, sono scuole di sapere, ma tacitamente postulano come conosciuto ciò che esse non possono insegnare: la capacità di osservare, la stupefazione goethiana, e i loro spiriti migliori non conoscono altra finalità più nobile che costituire un altro gradino perché Goethe e altri nuovi saggi si manifestino di nuovo"[6]. Seneca sostiene che la sapienza è l’unica libertà:  “Sapientia quae sola libertas est[7].

il sapere non vale nulla, non è sapienza quando non riconosce sopra di sé il sacro e il divino  che inspiegabilmente lega"con amore in un volume ciò che per l'universo si squaderna". Agostino afferma: “Ecce pietas est sapientia[8].

E' il caso di Edipo   che crede di azzeccarci con l'intelligenza senza avere imparato nulla dagli uccelli ("gnwvmh/ kurhvsa" oujd& ajp& oijwnw'n maqwvn", Edipo re  v. 398) e fallisce. "Coloro che hanno interpretato l'Edipo re  secondo il modulo della "tragedia di conoscenza" hanno postulato che Sofocle abbia voluto rappresentare due tipi di conoscenza differenti per mezzi e possibilità, dal cui incotro-scontro risulterebbe il senso stesso del dramma. Si è parlato di un "sapere umano" e un "sapere divino"[9], di una conoscenza umana sensitiva e fondata sull'apparenza ed una conoscenza divina vera, cioè dovxa e ajlhvqeia, illusione e saggezza[10]. Edipo sulla scena sofoclea rappresenterebbe l'uomo raziocinante che si basa sulla conoscenza dei sensi e del proprio intelletto e che agisce di conseguenza, ma le coincidenze degli eventi fanno sì che alla fine tutte le sue costruzioni intellettuali si rivelano fallaci, mentre il sapere degli dei, incontrollabile e spesso incomprensibile per gli uomini, risulta essere l'unico sapere veritiero...In realtà, quello di Edipo non è un generico "sapere umano", ma rappresenta allusivamente il sapere di alcune correnti di sapere razionalistiche dell'epoca, e analogamente non si deve parlare tanto di generico "sapere divino", quanto piuttosto di sapere oracolare delfico, con le sue peculiari modalità espressive e celebrante un dato sistema di valori etici"[11]
Insomma la gnwvmh è fallace e gli uomini non possono comprendere tutto. Non solo le vie della divinità sono imperscrutabili ma anche quelle dell'incoscio.

Il motivo antiintellettualistico, ricorrente nell'Edipo, avrà un'infinità di riprese: da Euripide, il "filosofo della scena", quando giunge alla stanchezza postfilosofica delle Baccanti , al movimento abbastanza recente dello Sturm und Drang ("il mio cuore-annota Werther  il 9 maggio 1772-è l'unica cosa della quale sono superbo...Quello che io so, lo può sapere chiunque, ma il mio cuore lo possiedo io solo". ), fino a Elias Canetti il quale in La provincia dell'uomo  afferma che "L'ignoranza non deve impoverirsi con il sapere...Per ogni risposta deve saltare fuori una domanda che prima dormiva appiattata...Le sole risposte inaridiscono il corpo e il respiro"(pp. 1600-1601).
E' il  profeta  a nutrire la forza della verità (v.356) che non è potenza economica né militare, ma nemmeno cerebrale, anzi è consapevolezza dei limiti angusti che racchiudono le nostre facoltà intellettive.

Nell'episodio di Aconzio e Cidippe , una famosissima storia d'amore compresa nel terzo libro degli Aitia  di Callimaco, poi imitata da Ovidio nelle Heroides  (XXI lettera: Cidippe ad Aconzio) il poeta di Cirene afferma che l'ampiezza e la varietà del conoscere è un bene soltanto se conferisce a chi lo possiede e lo usa la capacità di padroneggiare la lingua:
" il molto sapere è un grave male, per chiunque non è padrone
della lingua: è proprio come per un bambino avere un coltello"(fr.75 Pf, vv. 8-9).

Ora sentiamo T. Mann: “e se si usa dire per esempio che in casa d’altri non bisogna mettere gli occhi addosso alle donne, perché tale comportamento è pericoloso, si è soliti tuttavia farlo, perché altro è la saggezza e altro è la vita”[12].

Il sapere può essere usato come un’arma contro l’uomo comune.
Viceversa le armi possono essere uno strumento di offesa e difesa dell’uomo comune dagli intellettuali.
Lo dice Adilph Cusins, il professore di greco del Maggiore Barbara di B. Shaw: “As a teacher of Greek I gave the intellectual man weapons against the common man. I now want to give the common man weapons against the intellectual man[13], come professore di greco, io ho dato agli intellettuali le armi contro l’uomo comune. Io ora voglio dare all’uomo comune le armi contro l’intellettuale. 

E. Dodds indica un nesso tra questa sentenza del primo stasimo delle Baccanti e la transvalutazione denunciata da Tucidide di cui abbiamo detto[14] : “ ‘cleverness is not wisdom’, ‘the world’s Wise are not wise’ (Murray). Here again the Chorus take up a thought expressed in the preceding scene: to; sofovn has the same implication as in 203[15]; it is the false wisdom of men like Pentheus, who fronw'n oujde;n fronei' (332, cf. 266 ff., 311 ff.), in contrast with the true wisdom of devout acceptance (179, 186)…for the paradoxical form cf. I A. 1139 oJ nou'~ o{d j aujto;~ nou'n e[cwn ouj tugcavnei[16], Or. 819 to; kalo;n ouj kalovn[17]. Such paradoxes are the characteristic product of an age when traditional valuations are rapidly shifting in the way described in the famous passage of Thucydides on the transvaluatation of values, 3, 82”[18], ‘l’ingegnosità non è sapienza’, ‘la Maniera del mondo, non è saggia’ (Murray). Qui di nuovo il Coro assume un pensiero espresso nella scena precedente: il sapere ha la stessa implicazione che al v. 203; è la falsa sapienza di uomini come Penteo, il quale pur avendo la mente non ha la sapienza (332, cfr. 266 ss.[19] 311 ss.[20]), in contrasto con la vera saggezza della della pia accettazione (179, 186[21])…per il modulo paradossale cfr. Ifigenia in Aulide 1139 , Oreste 819. Tali paradossi sono il prodotto caratteristico di un’età in cui le valutazioni tradizionali stanno rapidamente cambiando nel modo descritto nel famoso passo di Tucidide sulla transvalutazione dei valori, 3, 82.

L’attacco antisofistico si basa sulla contrapposizione tra sofiva e sofovn, con la conseguenza che la sofiva si viene a caratterizzare in modo non intellettualistico e si collega a una visione delle cose recepita dalla tradizione. Ciò significa escludere un approccio di tipo protagoreo”[22].
L’uomo rinunci dunque alla sua saggezza. Perché, dice un verso singolare, la saggezza non è saggezza: “To; sofo;n d’ouj sofiva”. E non è inutile notare che la pretesa saggezza dell’uomo è designata con una parola neutra, molto intellettuale[23], una parola che le dà un carattere di artificiosità; mentre la parola sofiva- che indica la saggezza ritrovata dall’uomo quando riesce a rinunciare al suo spirito critico-è una buona vecchia parola della lingua corrente ed è di genere femminile, il che vale a sottolineare il suo carattere vitale e fecondo”[24].

-to; te mh; qnhta; fronei`n (v. 396): Sull'incomprensibilità da parte della mente umana dei misteri della divinità si esprime anche Dante:"Matto è chi spera che nostra ragione/possa trascorrer la infinita via/che tiene una sustanza in tre persone./State contenti, umana gente, al quia ; ché, se potuto aveste veder tutto,/mestier non era parturir Maria"[25]. E pure il suo Ulisse pecca, come Edipo, per la presunzione e l'uso eccessivo dell'intelligenza, tant'è vero che l'autore, all'inizio del canto dei consiglieri fraudolenti, afferma:"Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio/quando drizzo la mente a ciò ch'i' vidi,/e più lo 'ngegno affreno ch'i' non soglio,/perché non corra che virtù nol guidi;/sì che, se stella bona o miglior cosa/m'ha dato 'l ben, ch'io stesso nol m'invidi"[26].
Infine Re Lear : “Per apprendere come veramente stiano le cose, Lear  è costretto a perdere del tutto la ragione, seguendo così il modello disegnato da Paolo[27]: “Nessuno si illuda. Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per divenire sapiente; perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio. Sta scritto infatti: Egli prende i sapienti per mezzo della loro astuzia”.  La citazione paolina, non a caso, proviene proprio dal Libro di Giobbe[28][29].




[1] La nascita della tragedia , p. 122 e p. 123.
[2] G. Vattimo, Op. cit., p. 159.
[3] G. Vattimo, Op.cit., p. 69.
[4] T. Mann, Nobiltà dello Spirito, p. 814.
[5] E. Morin, op. cit., p. 45.
[6]H. Hesse,  La bellezza della farfalla , in Hesse L'arte dell'ozio , pp. 401-402.
[7] Seneca, Ep., 37, 4.  
[8] Confessiones, 5, 5, ecco la sapienza è pietà.
[9]Diller 1950.
[10]Cfr. su questa linea soprattutto Reinhardt 1933, trad. it. pp. 111-52; Bowra 1944, p. 162-211; Champlin 1969.
[11]G. Ugolini, Sofocle e Atene , p. 161.
[12] Giuseppe il nutritore, p. 43.
[13] Major Barbara, Act III.
[14] Cap. 17.
[15] Le tradizione ricevute dai padri, quelle che possediamo/
coeve con il tempo, nessun ragionamento le abbatterà,/
neppure se per opera di menti appuntite viene trovato il sapere (oujd j eij di j a[krwn to; sofo;n hu{rhtai frenw'n) (Baccanti, vv. 201-203), parla Tiresia. “Il richiamo alla tradizione è il filo rosso della tragedia” (D. Susanetti, Op. cit., p. 182).  Ndr
[16] Questa astuzia, sebbene costui abbia astuzia, non funziona. Clitennestra parla ad Agamennone che fa il finto tonto Ndr.
[17] E’  secondo stasimo: il  Coro di fanciulle argive che deplora l’assassinio di Clitennestra, un atto ambiguo : può apparire bello ma non lo è. Ndr.
[18] E. R. Dodds, Euripides Bacchae,  p. 121
[19] Quando un uomo saggio abbia preso buoni spunti/per le sue parole, non è grande impresa il parlare bene;/tu hai sì una lingua sciolta, come se avessi senno,/ma nei tuoi discorsi non c'è senno (Baccanti, 266-269). Ndr
[20] Via Penteo, da' retta a me:/non presumere che il potere abbia potenza sugli uomini,/e non credere, se tu hai un'opinione, ed è un'opinione malata,/di avere una qualche sapienza; invece accogli il dio nella nostra terra/e fai libagioni e baccheggia e incoronati la testa. (Baccanti,  309-313) Ndr.
[21] O Carissimo,  poiché ho inteso udendo la tua voce/saggia da un uomo saggio, stando nella reggia/eccomi pronto con questo costume del dio;/bisogna infatti che quello essendo figlio della figlia mia/(Dioniso che si rivelò dio agli uomini)/per quanto ci è possibile sia esaltato come grande./Dove bisogna danzare, dove fermare il piede,/e scuotere la testa canuta? Fai da guida tu vecchio/a me vecchio, Tiresia: tu infatti sei saggio./Poiché non potrei stancarmi né di notte né di giorno/di battere la terra con il tirso: ci siamo dimenticati volentieri/di essere vecchi (Baccanti, 178-190). E’ Tiresia che parla a Cadmo.  Ndr.
[22] Di Benedetto, Op cit., p. 354.
[23] Aggiungil Guidorizzi definisce il sofovn: “una forma laica e razionale di sapienza” (Euripide, Baccanti, p. 202).
[24] A. Bonnard, La civiltà greca, p. 471.
[25]Purgatorio , III, 34-39.
[26]Inferno , XXVI, 19-22.
[27] I Corinzi 3, 18.
[28] Giobbe, 5, 13.
[29] Piero Boitani, Il Vangelo secondo Shakespeare, p. 47.

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