martedì 19 febbraio 2019

Le "Troiane" di Euripide. Introduzione. Parte 2

Pelagio Palagi
Le Troiane in atto di incendiare le navi


Le Troiane di Euripide (415 a. C.)
Parte 2

Il Coro della Medea nella prima strofe del secondo stasimo biasima l'eccesso anche nel campo erotico: "Gli Amori che arrivano all'eccesso (a[gan) non procurano/buona reputazione né virtù agli uomini: ma se Cipride/giungesse/con moderazione (a{li" ), nessun'altra dea sarebbe così gradevole./Non scagliare mai, o signora, contro di me dal tuo arco d'oro/il tuo dardo inevitabile dopo averlo intinto di desiderio (vv. 627-635).

Nietzsche mette in rilievo il valore della misura nella sfera dell'apollineo:"Apollo, come divinità etica, esige dai suoi la misura e, per poterla osservare, la conoscenza di sé. E così, accanto alla necessità estetica della bellezza, si fa valere l'esigenza del "conosci te stesso" e del "non troppo", mentre l'esaltazione di sé e l'eccesso furono considerati i veri demoni ostili della sfera non apollinea, dell'età titanica, e del mondo extraapollineo, cioè del mondo barbarico"[1].

A questa idea della misura è collegabile la teoria della classe media. La troviamo nelle Supplici [2] di Euripide. Qui Teseo[3] non è il vile seduttore di Arianna, ma l'eroe patrio garante dei valori della povli", il fondatore della democrazia e la prefigurazione di Pericle. I fautori della tirannide invece sono personaggi negativi.
Teseo si oppone all'araldo tebano il quale sostiene il vantaggio di una città governata da un solo uomo ( che poi è Creonte) ponendo, tra l'altro, una domanda retorica:" Come potrebbe il popolo, che non ragiona rettamente, reggere uno Stato?" (vv. 417-418).
Il capo degli Ateniesi "non controbatte l'araldo per quel che riguarda la critica ai demagoghi"[4], ma propugna la teoria della classe media.
Tre sono le classi dei cittadini: i ricchi sono inutili e desiderano avere sempre di più, quelli che non hanno mezzi di sussistenza sono temibili ("deinoiv", v. 241) poiché si lasciano prendere dall'invidia e, ingannati dalle lingue dei capi malvagi, lanciano strali contro i possidenti.
Questa parte della teoria che vede nei poveri dei potenziali delinquenti si trova anche nella Costituzione degli Ateniesi dello Pseudo Senofonte. L’anonimo autore chiamato “il vecchio oligarca”, da August Boeck identificato con Crizia, cervello e capo politico dei “Trenta tiranni”, sostiene che nel popolo c’è il massimo di ignoranza , di disordine e malvagità: la povertà infatti spinge piuttosto alle turpitudini, come la mancanza di educazione e l’ignoranza che in alcuni nasce dall’indigenza (1, 5).
In conclusione:"Triw'n de; moirw'n hJ jn mevsw/ sw/zei povlei"-kovsmon fulavssous j o{ntin j a]n tavxh/ povli"", ( Supplici, vv. 244-245), delle tre parti quella che sta in mezzo salva le città, custodendo l'ordine che essa dispone. Anche Plutarco nella Vita di Teseo mette in rilievo la cura del figlio di Egeo per l’ordine: egli unificò la popolazione e fondò la democrazia dell’Attica ma non permise che questa, risultante da una massa indistinta riversatasi là, fosse disorganizzata e confusa (ouj mh;n a[takton oujde; memeigmevnhn periei'den, 25, 2).

 La teoria della bontà della via di mezzo e della classe media si ripropone negli anni successivi. Nell'Elettra[5] di Euripide Oreste considera la ricchezza un giudice cattivo, ma, aggiunge, la povertà ha una malattia:"didavskei d ' a[ndra th'/ creiva/ kakovn "(v. 375), nel bisogno insegna all'uomo a fare il male.

Concludo con l’Oreste (del 408). (p. 191) “Egli[6] vede negli aujtourgoiv, nei lavoratori in proprio, coloro che soli sono in grado di salvare la polis . Il v. 920 dell'Oreste - "un lavoratore in proprio, di quelli che appunto sono i soli a salvare la patria"[7]-ricorda da vicino Suppl. 244:"delle tre parti quella che sta in mezzo salva le città". La classe media era quindi per Euripide costituita essenzialmente dai contadini che lavorano il fondo di loro proprietà"[8].-

Anche in Shakespeare il potere si rivela spesso quale male
Enrico VI, terza parte: “O God, methink it were a happy life/to be no better than a homely swain” (II, 5, monologo del re che vorrebbe essere un semplice pastore ) O anche Riccardo II

Nel Riccardo II si legge che la Morte tiene la corte nella corona cava (within the hollow crown) che cinge le tempie mortali di un re e là siede beffarda schernendo il suo stato con un ghigno alla sua pompa and grinning at his pomp.

Riccardo II[9] deposto da Bolingbroke che sarà Enrico IV espone “le tristi storie delle morti dei re”
For God’sake let us sit upon the round
And tell sad stories of the death of kings:
How some have been deposed, some slain in war,
Some haunted by the ghosts they have deposed,
Some poisoned by their wives, some sleeping kill’d,
All murdered. For within the hollow crown
That rounds the mortal temples of a king
Keeps death his court; and there the antic sits,
Scoffing his state and grinning at his pomp,
 (Riccardo II, III, 2, 155-177)

Sentiamo ora un pensiero (141) tratto dai Ricordi di Guicciardini "la corruttela italiana codificata e innalzata a regola di vita[10]: “spesso tra il palazzo e la piazza è una nebbia sì folta o uno muro sì grosso che, non vi penetrando l'occhio degli uomini, tanto sa del popolo di quello che fa chi governa o della ragione perché lo fa, quanto delle cose che fanno in India".

Rimane il pianto e il canto delle sciagure.
Ecuba dice:
Poesia è anche questa per gli infelici 120
Far risuonare le sciagure prive di danze.

Euripide tende alle situazioni patetiche, grondanti lacrime.

Anche Seneca accentua il pathos. Nelle Troiane del Cordovano Ecuba rivendica l’incendio di Troia a se stessa che ha partorito Paride dopo avere sognato di dovere generare una fiaccola: non è stato Ulisse né il fallax Sinon a incendiare Troia: “meus ignis iste est” (v. 39). E’ il “darsi animo” notato da Eliot (Shakespeare e lo stoicismo di Seneca).


I versi 190-203 della Medea contengono la poetica di Euripide: la poesia non deve rallegrare i conviti e le feste, già di per sé piacevoli, ma alleviare gli affanni dei mortali. La poesia è una specie di cura omeopatica: racconta casi dolorosi, pieni di lacrime, per consolare le lacrime e gli affanni.
Questi versi possono essere polemici rispetto a a quanto afferma Telemaco nel primo canto dell'Odissea: il cantore deve dilettare ("tevrpein", v. 347) gli uomini che già godono (v. 369) del banchetto, ed essi apprezzano maggiormente il canto che suoni più nuovo a chi ascolta (vv. 351-352).
Nell’Elena, Menelao afferma addirittura che le lacrime sono la sua gioia (v. 125).

Ecuba nomina l’odiosa sposa (stugna;n a[locon, Troiane 132) di Menelao, onta per Castore e ignominia per l’Eurota.
Elena dunque non è Afrodite ma Nemesi.

K. Kerényi fa questa distinzione: "O Nemesi o Afrodite: queste sono le due possibilità della bellezza femminile, di cui ci parl ano le trasformazioni del mito di Nemesi e di Helena. O rimanere la figlia di Nemesi e, dal fondo del senso della colpevolezza, elevarsi a punizione dell'umanità (ed Omero respinge questa soluzione) oppure (e la Helena dell'Iliade è l'eterno simbolo di quest'altra) servire l'esigente ed indifferente Signora e portare lo splendore, immune di colpa, di Afrodite, quale destino proprio e destino tragico per gli uomini mortali"[11].
"In un colloquio con Priamo essa si definisce kuvnwpi", "svergognata"[12]. Eppure! Gli anziani del travagliatissimo popolo dei Troiani stanno immobili, come le cicale, seduti presso le porte della città: essi, i saggi, i bravi oratori, immuni dal fascino femminile. Ma quando essa appare, accompagnata dalle sue due fanciulle - e le lagrime dei suoi occhi non si potevano distinguere, perché essa era involta in un luminoso velo bianco-gli anziani esclamano tra di loro: "Ouj nevmesi" - non è una nemesi, che per una tale donna Troiani e Greci soffrano da tanto tempo e soffrano ancora. Essa è, infatti, come una delle dee immortali"[13]. Parole semplici e naturali, in quella determinata situazione - e tuttavia per mezzo di esse avviene qualche cosa di indicibilmente grande: il riscatto della bellezza dal peccato"[14].

Ebbene questo riscatto non è riconosciuto dall'Ecuba delle Troiane che nel III episodio dirà a Menelao: "ti lodo se uccidi la tua sposa, Menelao. Ma evita di vederla che non ti prenda con il desiderio (mh; s jj e{lh/ povqw/, 891). Ella infatti possiede tanta seduzione che attira gli sguardi degli uomini, distrugge le città, brucia le case ("ejxairei' povlei",-pivmprhsin oi[kou"", vv. 892-893).

 Euripide qui probabilmente ricorda " JElevnan ejpei; prepovntw" eJlevna", e{landro", eJlevptoli"", Elena poiché chiaramente distrugge navi, uomini, città dell'Agamennone (vv. 689-691 del II stasimo) di Eschilo.



CONTINUA



[1] La nascita della tragedia, p. 37.
[2] Del 422 a. C.
[3] Alcuni personaggi del mito, come Teseo appunto, o Eracle, possiedono una pluralità di significati. Più avanti vedremo lo stesso di Orfeo.
[4]V. Di Benedetto, Euripide: teatro e società, p. 180.
[5] Probabilmente degli anni intorno al 415.
[6] Euripide.
[7]Aujtourgo;", oiJvper kai; movnoi sw/zousi gh'n.
[8]Di Benedetto, op. cit., p. 208.
[9] Riccardo II Plantageneto (Bordeaux, 6 gennaio 1367Pontefract, 14 febbraio 1400) è stato re d'Inghilterra dal 1377 al 1399. La tragedia di Shakespeare è del 1595.
I Plantageneti sono assimilabili ai Pelopidi e ai Labdacidi per gli aspetti tragici di queste famiglie.
[10]F. De Sanctis, Storia della letteratura italiana, 2, p. 107
[11] K. Kerényi, La nascita di Helena di Miti e Misteri , pp. 54 e 5
[12]Iliade, III, 180. Noi l'abbiamo trovato nell'Odissea (IV, 145) e l'abbiamo tradotto "faccia di cagna".
[13]156-158.
[14]K. Kerényi, Miti e misteri , p. 54.

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