venerdì 22 febbraio 2019

Le "Troiane" di Euripide. Introduzione. Parte 4

"Le Troiane" di Euripide al Teatro Millepini di Asiago
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Le Troiane di Euripide (415 a. C.)


Parte 4


Le guerre le vogliono i potenti e gli speculatori, le iene del campo di battaglia.
Il Cappellano della pièce di Brecht Madre Courage e i suoi figli dice che la guerra non finirà mai; se ci sarà crisi “le verranno in soccorso gli imperatori, i re e il papa”

Non mancano motivi propagandistici anche in altre tragedie di Euripide: nello Ione ([1]) la genealogia dei Greci che fa discendere solo gli Ateniesi dagli amori di Creusa con il dio Apollo serve a legittimare l'imperialismo di Atene;
l'Ifigenia in Aulide ([2]), scritta verso la fine della vita del poeta, quando Sparta si era accordata con la Persia per sconfiggere la lega attica, contiene un grido di guerra contro i nemici orientali: "è naturale che gli Elleni comandino sui barbari, e non i barbari, madre, sui Greci: loro infatti sono schiavi, noi liberi", proclama la fanciulla (Ifigenia in Aulide, vv. 1400-1401) dopo avere offerto la sua vita per la patria: "do il mio corpo per l'Ellade. Sacrificate, espugnate Troia. Questo infatti sarà il mio monumento a lungo, questi i figli, le nozze e la gloria mia"(vv.1397-1399).

Torniamo alle Troiane
Atene, l’illustre e felice terra di Teseo ( ta;n kleina;n ei[q j e[lqoimen-Qhsevw" eujdaivmona cwvran, vv. 208-209) è, naturalmente, la meta preferita. Parole stonate ma il pubblico seduto a teatro doveva essere compiaciuto.
Viene elogiata anche la valle di Tempe, bagnata dal fiume Peneo e bellissima base dell’Olimpo (krhpi`d j Oujluvmpou kallivstan, v. 215).
C’è un vagheggiamento di terre lontane. Questa valle si trova in Tessaglia, tra i monti Ossa (1978 m) e Olimpo (2895).

L’imperatore Adriano fece preparare nel grande parco della villa di Tivoli un ambiente che ricordasse la valle di Tempe in dimensioni ridotte.

Un’altra destinazione plausibile, comunque non aborrita, è “l’etnea terra di Efesto, madre dei monti siculi. Sento dire che è celebrata per le corone del valore” (ajkouvw-karuvssesqai stefavnoi~ ajreta`~, vv. 222-223).

Questa celebrazione della Sicilia mi sembra ambigua: siamo nella primavera del 415, quando Alcibiade propugnava e faceva approvare la spedizione contro l’isola: può significare tanto che la Sicilia era una conquista appetibile, tanto che era un obiettivo difficile da conseguire, quindi rischioso. E’ questo l’argomento usato da Nicia che era contrario alla vertiginosa impresa.
Alcibiade diceva, tra l’altro: “hJ ejmh; neovth~ kai; a[noia para; fuvsin dokou`sa ei\nai” Tuc. VI, 17, 1) la mia giovinezza e follia che sembra contro natura ha trattato con la potenza del Peloponneso e l’ha persuasa. Ora voi non dovete cambiare idea sulla spedizione in Sicilia come se fosse contro una grande potenza: “Kai; to;n ej~ th;n Sikelivan plou`n mh; metagignwvskete wJ~ ejpi; megavlhn duvnamin ejsovmenon” (VI, 17, 2),

Nicia invece consigliava la riflessione e metteva in guardia i concittadini dall'egoismo dell'antagonista il quale, troppo giovane per comandare, voleva trarre vantaggio dalla carica a costo dei pericoli della città (Tucidide, VI 12, 2).

Le corone del valore (v. 223) possono riferirsi alle gare panelleniche vinte dagli atleti siciliani mandati dai tiranni celebrati da Pindaro. In particolare Ierone di Siracusa ([3]) e Terone di Agrigento ([4]).

Di questa celebrazione della Sicilia risente forse Lucrezio quando a proposito della grande isola scrive: “quae cum magna modis multis miranda videtur/gentibus humanis regio visendaque fertur,/rebus opima bonis, multa munita virum vi ,/nil tamen hoc habuisse viro praeclarius in se/nec sanctum magis et mirum carumque videtur ” (De rerum natura, I, 726-730) terra che mentre appare in molti modi grande e mirabile/alle genti umane e si dice che vada veduta,/ricca di beni, munita di grande forza di uomini,/ tuttavia sembra non avere in sé niente di più glorioso/di quest’uomo, né più santo, mirabile e caro.
La lode della Sicilia e dei Greci di Sicilia culmina dunque nel poema con l’encomio agiografico di Empedocle di Agrigento.

Infine dalle Troiane è menzionata la Magna Grecia, ricordata come la terra bagnata dal bellissimo fiume Crati che scorre vicino a Sibari e tinge le chiome di biondo (v. 227).
Anche la regione che questo fiume nutre e rende prospera è una terra di uomini vigorosi (eu[andron ga`n, v. 229 cfr. ‘ndrangheta da ajndragaqiva, coraggio virile).
Mi sembra che prevalga l’avvertimento di non compiere mosse affrettate e passi falsi. Può essere pure che i territori desiderabili per le Troiane siano indicati come asili sacri. Forse Euripide cercava una strada per l’ospitalità offerta da qualche signore siciliota o italiota.
Forse con il Crati si allude alla non lontana colonia panellenica di Turi fatta fondare da Pericle nel 444.

I Episodio vv. 235-510
Arriva l’araldo Taltibio e inizia la prima scena del primo episodio.

Le donne sono state già sorteggiate: Cassandra per Agamennone come levktrwn skotiva numfeuthvria (v. 252), sposa tenebrosa del letto. Questo buio (oJ skovto~shadow, Schatten ) è simbolico della morte di entrambi gli amanti.

Eros ha colpito con la sua freccia (ejtovxeus j ([5]), v. 255) Agamennone. Una freccia mortale.

Eros qui è il dio del dolore (daivmwn ajlginovei"), come nelle Argonautiche (4, 64) di Apollonio Rodio.

Taltibio chiede ottusamente se non sia per Cassandra una cosa grande ottenere un letto regale (v. 259). Ecuba non lo degna nemmeno di una risposta, ma gli chiede quale sorteggio abbia avuto di Polissena.


La “vil razza dannata degli araldi” è malvista da Euripide.

Negli Eraclidi, il coro dei vecchi ateniesi afferma che gli araldi ingrandiscono quanto è accaduto raddoppiandolo e innalzandolo come una torre ([6]) (pa`si khvruxi novmo~ di;~ tovsa purgou`n, v. 293).
Si tratta dell’araldo di Euristeo che ha minacciato Demofonte il quale lo ha cacciato. Ma si può pensare alla critica del personaggio Euripide al personaggio Eschilo nelle Rane di Aristofane. E pure a tanti giornalisti dei nostri giorni.
Anche nell'Oreste, l'araldo Taltibio fa una brutta figura nel racconto del messo che riferisce a Elettra i discorsi dell’assemblea di Argo: "Ed ecco si alza Taltibio che con tuo padre saccheggiava i Frigi. E parlò, lui che è da sempre sottoposto ai potenti, doppiamente, mostrando ammirazione per tuo padre, ma non approvando tuo fratello, intrecciando parole buone e cattive, dicendo che il figlio aveva istituito usanze non buone verso i genitori: e sempre rivolgeva occhiate ammiccanti agli amici di Egisto.
Siffatta è questa genia: sul carro di quello che ha buona fortuna, saltano sempre gli araldi (ejpi; to;n eujtuch` phdw`s j ajei; khvruke~): ed è loro amico colui che nella città ha cariche e poteri" (vv. 888-897).
Un poco come i giornalisti di oggi, quasi tutti.

 Taltibio risponde alla domanda di Ecuba su Polissena con una frase ambigua: le è stato ordinato di servire alla tomba di Achille (Troiane, v. 264). Quindi: considerala felice, sta bene (e[cei kalw`~, v. 268). E’ lo stare bene secondo la sapienza silenica.
Andromaca è stata assegnata a Neottolemo[7], Ecuba a Odisseo.

Andocide nell’orazione Contro Alcibiade, forse non autentica, scrive che Alcibiade propose di ridurre in schiavitù tutti gli abitanti di Melo, quindi comprò una prigioniera ed ebbe un figlio da lei. La nascita di questo bambino è mostruosa più di quella quella di Egisto (nato da Tieste e da sua figlia Pelopia) perché il figlio di Alcibiade nacque da due nemici. La spregiudicatezza (tovlma) di Alcibiade è senza limiti: fece un figlio con questa donna, le uccise il padre, le distrusse la città, e rese il figlio nemico implacabile a sé e ad Atene. Tali situazioni voi le considerate deinav quando le vedete nelle tragedie, mentre vi lasciano indifferenti quando sono crimini reali (22, 23)
Plutarco nella Vita di Alcibiade dice che il concubinaggio con la Melia e il fatto che allevò il figlio avuto da lei venne considerato dagli Ateniesi un gesto di filantropia, anche se fu proprio Alcibiade il principale responsabile del massacro, in quanto appoggiò la proposta ufficiale dell’eccidio (16, 6)

La vecchia regina se ne duole poiché le è toccato in sorte di servire l’Itacese, un uomo abominevole, fraudolento nemico di giustizia (musarw`/ dolivw/ levlogca fwti; douleuvein - polemivw/ divka~, vv. 283-284), una bestia feroce contraria alla legge (paranovmw/ davkei).

Ulisse malfamato
La cattiva reputazione di Odisseo risale a Pindaro che nella Nemea VIII contrappone all’astuzia di Odisseo, ai suoi discorsi ingannevoli la schiettezza dell’a[glwsso~ Aiace (v. 24).
Quindi, nel Filottete di Sofocle, Neottolemo viene ingannato pro;~ tou` kakivstou, dal peggiore di tutti, nato da malvagi. Se ne lamenta lo stesso figlio di Achille.

Nell’Ecuba di Euripide il coro presenta Odisseo come lo scaltro furfante dal dolce eloquio (131-132) che convince l’esercito a sacrificare Polissena.
Non basterà l’accorata supplica di Ecuba a salvarla (a[li~, v. 278).

Nel Ciclope di Euripide, il Sileno lo definisce krovtalon drimuv, sonaglio petulante, stridulo chiacchierone, razza di Sisifo (vv. 103-104). Krovto~, rumore.

Nelle Troiane di Seneca, Ulisse avanza dubio gradu vultuque (v. 521) ed è machinator fraudis et scelerum artifex (v. 750).
Infine nell’Eneide, Ulisse è scelerum inventor (II, 164).


CONTINUA

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[1] Del 411 circa
[2] Rappresentata postuma
[3] Cfr.Olimpica I. che celebra la vittoria di Ierone nella gara del cavallo montato nella 76 Olimpiade (476 a, C,). Ierone era succeduto nel 478 a Gelone come tiranno di Siracusa.
[4] Cfr. Olimpica II. Celebra la vittoria di Terone di Agrigento nella corsa delle quadrighe, nella stessa Olimpiade del 476.
[5] tovxon, arco, tossico da toxicum, il veleno con il quale si ungevano le frecce
[6] Euripide ha snellito la tragedia e non ama le parole torreggianti.
L'estetica di Callimaco prescrive quella Musa sottile (Mou'san leptalevhnAitia , fr. 1 Pfeiffer, v. 24) che il coro delle Rane attribuisce a Euripide, il cincischiatore di concettuzzi, la cui lingua aguzza, inquisitrice di versi, sminuzzerà (kataleptologhvsei) le parole colossali di Eschilo, grande fatica di polmoni (pleumovnwn polu;n povnon, v. 829 ). Non solo: lo stesso Euripide personaggio della commedia di Aristofane si vanta di avere prima di tutto reso snella l'enfatica poesia di Eschilo (i[scana me;n prwvtiston aujthvn) e di averle tolto gravezza con parolette e rigiri (kai; to; bavro" ajfei'lon-ejpullivoi" kai; peripavtoi"Rane, vv. 941-942).
[7] Alcibiade volle comprare una delle donne di Melo rese schiave e avere un figlio da lei.

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