giovedì 21 febbraio 2019

Le "Troiane" di Euripide. Introduzione. Parte 3


Le Troiane di Euripide (415 a. C.)


Parte 3


Torniamo al prologo delle Troiane. Ecuba continua la sua monodia dicendo, con un’altra metafora marina, che Elena l’ha fatta arenare nelle secche della sciagura ( ejς tavnd j ejxwvkeil j a[tan, v. 137).
Intanto Troia brucia e va in fumo (tuvfetai [Ilion, v. 145).
Tufw`n , tifone, uragano.

Tifone rappresenta il Caos che viene cosmizzato dalla III generazione divina ma rimane sempre in agguato e ogni tanto ritorna
Erodoto racconta che Tifone (identificato con Seth) uccise Osiride, poi venne ucciso da Oro, il figlio di Osiride che i Greci chiamano Apollo. Oro fu l’ultimo dio che regnò sull’Egitto (2, 144, 2)
Sentiamo anche C. Pavese: "Il mito greco insegna che si combatte sempre contro una parte di sé, quella che si è superata, Zeus contro Tifone, Apollo contro il Pitone. Inversamente, ciò contro cui si combatte è sempre una parte di sé, un antico se stesso. Si combatte soprattutto per non essere qualcosa, per liberarsi. Chi non ha grandi ripugnanze, non combatte"1.

Tifone figlio di Tartaro e di Gea , il più potente dei figli di Gea, genera diversi figli con Echidna: la Chimera, il leone di Nemea, Orto, il cane a due teste, l’aquila che divora il fegato di Prometeo, la Sfinge. (Apollodoro)
Secondo Esiodo invece la Sfinge (Fivx) è figlia di Echidna e di suo figlio Orto, dunque è nata da un incesto.
Zeus uccise Tifone e lo seppellì sotto l’Etna.
febbraiol

La Parodo (vv. 153-234) è cantata da due semicori di prigioniere troiane.
Nella prima coppia strofica c’è uno scambio di battute con Ecuba, la seconda invece è cantata interamente dal Coro

Ecuba pre-sente e antivede, raffigura la sciagura ( eijkavzw a[tan, v. 163), congetturo la sciagura
Ecuba è dunque eijkasthv~, una capace di congetturare come il loico Temistocle di Tucidide.

Temistocle è l'eroe dell’ intelligenza laica: egli che "oijkeiva/ xunevsei" appunto, con la sua facoltà di capire, era "tw'n te paracrh'ma di j ejlacivsth" boulh'" kravtisto" gnwvmwn", ottimo giudice della situazione presente attraverso un rapidissimo esame" e "tw'n mellovntwn ejpi; plei'ston tou' genhsomevnou a[risto" eijkasthv"" (I, 138, 3), e ottimo a congetturare (supporre) il futuro per ampio raggio in quello che sarebbe accaduto. Prevedeva benissimo i danni o i vantaggi quando erano ancora avvolti nell’oscurità: “tov te a[meinon h] cei'ron ejn tw/' ajfanei' e[ti proewvra malista”.

a[tan del v. 163.
Nell’Iliade Ate è l’acciecamento mentale
Nel IX canto dell’Iliade , Fenice racconta che le Preghiere ("Litaiv ", v. 502) le figlie di Zeus, zoppe, rugose e losche d'occhi, seguono Ate che è gagliarda, veloce e percorre la terra danneggiando gli uomini; esse pongono riparo se vengono richieste; ma se uno le rifiuta, le Litài chiedono a Zeus che l'Ate insegua il riluttante ed egli paghi il fio. Ate insomma è una smisurata forza irrazionale contro la quale spesso la volontà e l'educazione umana sono impotenti.
Un vero e proprio trofeo di Ate ( [Ata" tropai'on, Eschilo, I sette a Tebe , v. 956) si trova sulle porte di Tebe sulle quali urtavano i fratelli figli di Edipo ammazzandosi a vicenda, poi, impadronitosi dei due, il demone cessò ("duoi'n krathvsa" e[lhxe daivmwn", v. 960).
L’Ate spinge gli uomini alla guerra dunque.

Ecuba teme la vergogna (aijscuvnan, 172) che verrà di fronte ai Greci dalla delirante Cassandra, la figliola menade .

Per quanto riguarda il pudore, nelle Troiane di Seneca, Ecuba invita le donne del coro a spogliarsi: “uteroque tenus pateant artus” (v.88). Il pudore infatti non è servito a niente (come la “stolta virtù” del Bruto minore di Leopardi.
Dunque sia libera (vacet, 92) la furibunda manus (93) di colpire il petto nudo.

Ma vedremo che la follia di Cassandra è più saggia della saggezza del mondo.

Platone assimila la follia religiosa a quella erotica: nel Fedro ricorda che il tema dell'irrazionalità della passione amorosa è stato già trattato da Saffo e Anacreonte ed elenca quattro modi di essere fuori di sé: quello dei profeti come la Pizia di Delfi, quello dei fondatori di religione, quello dei poeti, e quello degli innamorati.
C'è da notare che maivnomai, "sono pazzo", maniva, "follia" e mavnti" , “profeta”, hanno la radice comune man(t) -/mhn-.

Platone nel Fedro sostiene che agli uomini i beni più grandi derivano da una mania data dagli dèi (244a): infatti la profetessa di Delfi, quella di Dodona e la Sibilla procurano benefici agli uomini quando si trovano in stato di mania, mentre in stato di senno non ne procurano alcuno. Gli antichi che hanno coniato i nomi hanno chiamato manikhv la più bella delle arti che prevede il futuro. Sono stati i moderni, ajpeirokavlw~, con ignoranza del bello, che mettendoci dentro una tau, mantikh;n ejkavlesan (244c), l’hanno chiamata mantica.

Ecuba però continua a lamentarsi. Si assimila a un fuco (khfhvn, Troiane 193),
Come fuco, la disgraziata,
forma cadaverica,
immagine inconsistente del mondo dei morti (193-195)
khfhvn-h'no" significa fuco e anche persona debole, incapace di tutto

Nelle Baccanti (v. 1365) Cadmo, anche lui annientato dal dolore, si assimila a un cigno decrepito-khfh'na- abbracciato dalla figlia
Ca. Perché mi getti attorno le braccia, figlia infelice,
come un cigno alato il decrepito padre canuto? (1364-1365)

Nelle Opere, Esiodo sostiene che uomini e dèi provano sdegno per chi vive inoperoso ajergov~2 simile, per carattere, a fuchi senza pungiglione (304-305)

Ecuba si sente quale un’immagine di morti priva di consistenza (nekuvwn ajmenhno;n a[[galma, v. 193), una forma di cadavere (nekrou` morfav), simile alle teste svigorite della Nevkuia omerica (ajmenhna; kavrhna, Odissea, XI, 29).

Ella sente in sé das Sein des Gewesen3, l’essere dell’essere stato.
Le Troiane giovani temono la schiavitù sessuale: di essere spinta nei letti dei Greci ( levktroi~ plaqei`s 4 JEllavnwn, v. 203).

Il letto è sempre un mobile molto importante nelle tragedie di Euripide, specialmente nell’Alcesti e nella Medea. Il mobile più importante della casa (Kott)

Nelle Troiane c’è anche la consueta propaganda antispartana (cfr. specialmente Andromaca e Oreste) che mal si concilia con la contrarietà alla guerra.
Il Coro depreca la propria schiavitù a Corinto dove dovrebbe attingere da misera serva (provspolo~ oijktrav, v. 206) le sacre acque di Pirene5.
Ma la città più odiata è sempre Sparta, la povli~ nemica di Atene, situata sulla corrente dell’Eurota, odiosissima dimora di Elena (ta;n ejcqivstan qeravpnan JElevna~, v. 211).

Nell’Andromaca, la protagonista eponima lancia un anatema contro la genìa dei signori del Peloponneso, chiamati yeudw'n a[nakte~ :" o i più odiosi (e[cqistoi) tra i mortali per tutti gli uomini, abitanti di Sparta, consiglieri fraudolenti, signori di menzogne, tessitori di mali, che pensate a raggiri e a nulla di retto, ma tutto tortuosamente, senza giustizia avete successo per la Grecia (vv.445-449).
The Andromache, written early in the Peloponnesian War, shows a loathing of Spartan arrogance and cruelty and deviousness6, l’Andromaca, scritta nei primi anni della guerra del Peloponneso, mostra un aborrimento per l’arroganza, la crudeltà e la tortuosità degli Spartani.
Dal canto suo Peleo, il nonno di Neottolemo, esecra le Spartane e i loro costumi: neppure se lo volesse, potrebbe restare onesta7 ("swvfrwn", v. 596) una delle ragazze di Sparta che insieme ai ragazzi, lasciando le case con le cosce nude ("gumnoi'si mhroi'"", v.598) e i pepli sciolti, hanno corse e palestre comuni, cose per me non sopportabili " (Andromaca, vv.595-600).
Menelao, lo Spartano, è un pessimo personaggio nell’Andromaca dove perseguita la vedova di Ettore la quale lo apostrofa dandogli del fau`lo~ (v. 325), della nullità, e del pallone gonfiato e falsificato dalla dovxa, la reputazione, che gonfia appunto la vita di tanti uomini che non valgono nulla: “oujde;n gegw`si bivoton w[gkwsa~ mevgan”(v. 320).
Con effetto quasi tumorale.

Peleo si scaglia contro Menelao : lo chiama infame assassino di Achille (v. 615). E aggiunge che non vale nulla (v. 641), che non ha avuto nessun merito nella presa di Troia. In Grecia c’è l’usanza sbagliata di riconoscere solo ai capi il vanto delle imprese, e il comandante, non facendo niente più di uno solo, ottiene una fama maggiore
oujde;n plevon drw'n eJno;" e[cei pleivw lovgon” (Andromaca, v. 698)8.

Bertolt Brecht fa eco a questa critica: “Il giovane Alessandro conquistò l’India./Da solo?/Cesare sconfisse i Galli./Non aveva con sé nemmeno un cuoco?”9.


CONTINUA
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Le guerre le vogliono i potenti e gli speculatori, le iene del campo di battaglia.
1Il mestiere di vivere, 28 dicembre 1947.
2 e[rgon energia, sinergia, liturgia, ted Werk, ingl. work
3 Participio passato di sein.
4 Da pelavzw.
5 Fonte di Corinto che, situata sull'istmo, era un nodo commerciale (jempovrion, Tucidide, I 13, 5) e i suoi abitanti erano potenti per le ricchezze (crhvmasiv te dunatoi; h\san).
Questa città di mercanti sarà la più decisa nel volere lo scoppio della grande guerra nell'estate del 432, quando si riunì a Sparta l'assemblea federale della lega peloponnesiaca cui furono invitati anche gli ambasciatori degli Ateniesi dei quali i delegati della città dell'istmo danno un ritratto (I, 68-71) inciso con l'acume dell'odio eppure non troppo diverso da quello, nobilmente elogiativo, che fornirà Pericle nell'orazione sui caduti durante il primo anno di guerra (II, 35-46).
6 M. Hadas, op. cit, pp. VIII-IX
7 Plutarco dà un'interpretazione non malevola dello stesso fatto: il legislatore volle che le fanciulle rassodassero il loro corpo con corse, lotte, lancio del disco e del giavellotto..per eliminare poi in loro qualsiasi morbidezza e scontrosità femminile, le abituò a intervenire nude nelle processioni, a danzare e a cantare nelle feste sotto gli occhi dei giovani (Vita di Licurgo , 14). E' interessante il fatto che Erodoto (I, 8) viceversa fa dire a Gige: "la donna quando si toglie le vesti, si spoglia anche del pudore".
8 Spesso il merito di un impresa va a chi non l’ha compiuta. La Medea di Euripide rinfaccia a Giasone l’aiuto che gli ha dato per compiere l’impresa: “il drago, che avvolgendo il vello tutto d'oro/lo sorvegliava con le spire contorte senza dormire,/dopo averlo ucciso, sollevai per te la luce della salvezza” (Medea, vv. 480-482).

9 Domande di un lettore operaio, vv. 16-19, da Poesie di Svendborg, 1939, ,in Brecht, Poesie, p. 157.

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