mercoledì 13 febbraio 2019

Le "Troiane" di Euripide. Lettura e commento comparativo dei vv. 1-284. Parte 1



Prima parte della conferenza che terrò nel liceo Filateco di Ferentino il 20 febbraio 2019

Le Troiane di Euripide (415 a. C.)
Era il terzo dramma della trilogia Alessandro, Palamede.
Il dramma satiresco forse era Sisifo. E’ l’unica trilogia di Euripide a contenuto unitario.
Il motivo predominante è la condanna della guerra.
Pochi mesi prima della rappresentazione di questa tragedia c’era stato il massacro e la schiavizzazione degli abitanti della piccola isola di Melo da parte degli Ateniesi.
Cruciali sono i versi con i quali Andromaca accusa i Greci di essere loro i veri barbari: “w\ bavrbar j ejxeurovnte~ [Ellhne~ kakav-tiv tonde pai`da kteivnet j oujde;n ai[tion; (764-765), o Greci inventori della barbarie, perché uccidete questo bambino che non è colpevole di niente? Ammazzare un bambino per paura di suo padre è la viltà e la barbarie più grande che ci sia.

Cfr. Nel De republica di Cicerone, Lelio dice a Scipione che Romolo secondo i Greci fu re di barbari, ma, commenta, “se tale nome dobbiamo darlo ai costumi e non alla lingua, non considero i Greci meno barbari dei Romani “sin id nomen moribus dandum est, non linguis, non Graecos minus barbaros quam Romanos puto” (I, 58).

Prologo vv. 1-151.
Ma partiamo dal prologo dove Poseidone espone fatti e antefatti. Da una parte, quella da dove viene il dio, c’è il mare Egeo con le Nereidi, che come le Muse, figlie di Zeus e della Memoria danzano guizzando con agili piedi, dall’altra la città distrutta dalla ferocia degli uomini e dal risentimento delle due dèe ostili ai Troiani: Era e Atena.

Nietzsche sostiene che la morale del risentimento è quella giudaico-cristiana, che è poi la morale degli schiavi, mentre nella religione greca prevale il sentimento della gratitudine (cfr. Saffo).
 Invero nella civiltà e nella religione greca non mancano personaggi né dèi pieni di risentimento.

Il dio del mare saluta e compiange la città caduta, finché arriva Atena che si appella alle relazioni di parentela tra loro (suggenei`~ oJmilivai . Poi chiede un favore. Sono dunque rapporti di interesse, sebbene tra consanguinei.
Cfr. Giasone nella Medea il quale "dra'/ ta; sumforwvtata " (v. 876) fa quello che è più utile[1], come riconosce la moglie abbandonata, quando finge di sottomettersi beffeggiandolo. Giasone non cambia donna perché ne ha trovata una più buona o più bella, in quanto egli non è capace di giudicare eticamente o “esteticamente, cioè disinteressatamente”[2]. “Ora, come esistono persone amorali, esistono delle persone aestetiche[3].

Nell’Oreste[4], il figlio di Agamennone, in lode dell'amicizia di Pilade, consiglia:"acquistate amici, non solo parenti:/poiché chiunque collimi nel carattere, pur essendo un estraneo,/è un amico più caro ad aversi di diecimila consanguinei (murivwn kreivsswn oJmaivmwn ajndri; kekth`sqai fivlo~)"(miriade vv. 804-806).
Tutt’altra è la posizione di Sofocle, specialmente nell’Antigone.

Atena è capricciosa e ha capovolto in odio la simpatia per il Greci. Nella scelta di parte è una specie di saltimbanco (lat. desultor)[5], femminile desultrix.
Poseidone in effetti le domanda: “tiv d j w|de phda`/~ misei`~ te livan kai; filei`~ o]n a[n tuvch/~;” (67) perché salti così da una disposizione all’altra, e odi eccessivamente e ami chi ti capita?
liavn: l’eccesso, il troppo, è uno dei peccati capitali dei Greci
Comunque Atena ha un motivo per odiare i Greci i quali non hanno punito Aiace di Oileo dopo che ha trascinato via Cassandra dal suo tempio . La pena degli Elleni sarà il loro duvsnosto~ nosto~ (v. 75), ritorno negato.
Non tutti gli Achei magari sono colpevoli, ma Atena vuole la decimazione e chiede a Poseidone: “ plh`son de; nekrw`n- plenus, pletora-quantità eccessiva- inglese plenty e plethora quantità eccessiva , koi`lon –cavo, concavo-caverna-.Eujboiva~ mucovn”, riempi di cadaveri la cava insenatura dell’Eubea (v. 84).
In fondo gli dèi scatenano le guerre, magari con dei fantasmi, per alleggerire la terra del peso eccessivo degli uomini (cfr. le tragedie di Euripide Elena, Elettra, Oreste) e la morte può toccare a tutti.
Poseidone conclude il suo discorso con l’accusa di mwriva nei confronti di chi distrugge le città: "mw'ro" de; qnhtw'n o{sti" ejkporqei' povlei", -naou;" te tuvmbou" q j, iJera; tw'n kekmhkovtwn,-ejrhmivvva/ dou;" aujto;" w[leq ' u{steron"(v. 95-97), è stolto tra i mortali chi distrugge le città, gettando nella desolazione templi e tombe, sacri asili dei morti; tanto poi egli stesso deve morire.
E’ stolto tra i mortali chi devasta le città,
consegnando al deserto templi e tombe, luoghi sacri
dei morti: egli stesso dopo è già morto

Cfr. Tucidide V, 90: i Melii dicono agli Ateniesi che bisogna salvare il bene comune e la giustizia poiché in caso di insuccesso loro diverrebbero un esempio per una durissima punizione.

Infatti Senofonte in Elleniche II, 2, 3 racconta che gli Ateniesi dopo Egospotami temevano di subire quanto avevano inflitto ai Melii cui tra l’altro avevano imposto 500 cleruchi. Quindi Lisandro riportò a Melo gli isolani superstiti II, 2, 9.

Se un uomo sa di essere uomo, come Teseo nell’Edipo a Colono ("e[xoid j ajnh;r w[n",v.567), sa pure che deve morire e non ammazza altri uomini, anzi, li aiuta, se può.

Ma torniamo al prologo delle Troiane.

Entra in scena Ecuba intonando una monodia in anapesti (vv. 98-152)
 e consiglia a se stessa l’accettazione del destino con una metafora nautica: “naviga plei` secondo la rotta, naviga secondo il destino plei` kata; daivmona e non porre la prora della vita contro l’onda , ma naviga secondo le sorti” (vv. 103-105).
E’ una dichiarazione amara di amor fati.

Ecuba constata che il polu;~ o[gko~ (v. 108), il grande vanto degli antenati era oujdevn, niente, era un gonfiore che si è dissolto.

Per Seneca il potere è un nucleo di male.
Il regno è un bene scivoloso, un potere claudicante (p. 13)
“ Quisquamne regno gaudet? O fallax bonum/quantum malorum fronte quam blanda tegis!”(Oedipus, 5-6).
Minor in parvis fortuna furit (Fedra, IV coro , 1124).
Precarietà del successo
Nelle Troiane di Seneca, Agamennone al culmine della sua carriera di a[nax mostra di avere coscienza di questa legge della rovinosa caduta probabile per chi è salito in alto:"Violenta nemo imperia continuit diu,/moderata durant; quoque Fortuna altius/evexit ac levavit humanas opes,/hoc se magis supprimere felicem decet/variosque casus tremere metuentem deos/nimium faventes. Magna momento obrui/ vincendo didici. Troia nos tumidos facit/nimium ac feroces? Stamus hoc Danai loco,/unde illa cecidit " (vv. 258-266), nessuno ha conservato a lungo il potere con la violenza, quello moderato dura; e quanto più la Fortuna ha levato in alto la potenza umana, tanto più il fortunato fa bene a trattenersi e paventare le varie cadute temendo gli dèi che lo favoriscono troppo. Vincendo ho imparato che i grandi regni vengono sepolti in un attimo. Troia ci rende troppo superbi e spietati? Noi Danai stiamo in piedi nel luogo dal quale quella è caduta. 
Troviamo un locus analogo nel primo coro dell'Agamennone di Seneca quando le donne di Micene notano che la Fortuna/ fallax (vv. 57-58) inganna con grandi beni collocandoli troppo alti in praecipiti dubioque (v. 58), in luogo scosceso e insicuro. Infatti le cime sono maggiormente esposte alle intemperie, ai colpi della Fortuna, e predisposte alle cadute rispetto alle posizioni medie:"quidquid in altum Fortuna tulit,/ruitura levat./Modicis rebus longius aevum est;/felix mediae quisquis turbae/sorte quietus…" (Agamennone, vv. 101-104), tutto ciò che la Fortuna ha portato in alto, per atterrarlo lo solleva. E' più lunga la vita per le creature modeste: fortunato chiunque sia della folla mediana contento della sua sorte.
Cfr. la “teoria della classe media” nelle Supplici e nell’Oreste di Euripide

Il senso della misura e la teoria della classe media.
In fondo la differenza tra Caos e Cosmo è data dall’apparire della misura.
“In principio, fu Voragine. I Greci la chiamarono Chaos. Che cosa è Voragine? E’ un vuoto, un vuoto oscuro. Dove niente può essere distinto” (J. P. Vernant, L’Universo, gli dèi, gli uomini, p. 9).

La formulazione più chiara e sintetica del valore della misura è quella del Solone di Plutarco. Quando Creso, il pacchiano re barbaro gli fece vedere i suoi smisurati tesori e gli chiese se conoscesse qualcuno più felice di lui, nominò personaggi non famosi e non ricchi, ma "belli e buoni". Allora Creso lo giudicò strambo (ajllovkoto") e zotico (a[groiko"), tuttavia volle domandargli se lo mettesse in qualche modo nel novero degli uomini felici. Il legislatore ateniese quindi rispose: "Ai Greci, o re dei Lidi, il dio ha dato di essere misurati (metrivw" e[cein e[dwken oJ qeov"), e per questa misuratezza ci tocca una saggezza non arrogante ma popolare, non regale né splendida "[6]. Erodoto e Sofocle, in quanto seguaci della religione delfica del “nulla di troppo”, condannano spesso la dismisura. Diamo la formula del Secondo Stasimo dell'Antigone:" Sia nel tempo prossimo sia nel futuro/come nel passato avrà vigore/ questa legge: nulla di smisurato/ si insinua nella vita dei mortali senza rovina (ejkto;" a[ta")" (vv. 611-614). Anche il "sacrilego" Euripide considera santo questo valore:"ajcalivnwn stomavtwn-ajnovmou t& ajfrosuvna"-to; tevlo" dustuciva", cantano le Menadi nel primo Stasimo ( Baccanti, vv. 387-389), di bocche senza freno, di stoltezza senza misura, il termine è sventura.

Il Coro della Medea nella prima strofe del secondo stasimo biasima l'eccesso anche nel campo erotico:"Gli Amori che arrivano all'eccesso (a[gan) non procurano/buona reputazione né virtù agli uomini: ma se Cipride/giungesse/con moderazione (a{li" ), nessun'altra dea sarebbe così gradevole./Non scagliare mai, o signora, contro di me dal tuo arco d'oro/il tuo dardo inevitabile dopo averlo intinto di desiderio (vv. 627-635).

Nietzsche mette in rilievo il valore della misura nella sfera dell'apollineo:"Apollo, come divinità etica, esige dai suoi la misura e, per poterla osservare, la conoscenza di sé. E così, accanto alla necessità estetica della bellezza, si fa valere l'esigenza del "conosci te stesso" e del "non troppo", mentre l'esaltazione di sé e l'eccesso furono considerati i veri demoni ostili della sfera non apollinea, dell'età titanica, e del mondo extraapollineo, cioè del mondo barbarico"[7].

A questa idea della misura è collegabile la teoria della classe media. La troviamo nelle Supplici [8] di Euripide. Qui Teseo[9] non è il vile seduttore di Arianna, ma l'eroe patrio garante dei valori della povli", il fondatore della democrazia e la prefigurazione di Pericle. I fautori della tirannide invece sono personaggi negativi.
Teseo si oppone all'araldo tebano il quale sostiene il vantaggio di una città governata da un solo uomo ( che poi è Creonte) ponendo, tra l'altro, una domanda retorica:" Come potrebbe il popolo, che non ragiona rettamente, reggere uno Stato?" (vv. 417-418).
Il capo degli Ateniesi "non controbatte l'araldo per quel che riguarda la critica ai demagoghi"[10], ma propugna la teoria della classe media.
Tre sono le classi dei cittadini: i ricchi sono inutili e desiderano avere sempre di più, quelli che non hanno mezzi di sussistenza sono temibili ("deinoiv", v. 241) poiché si lasciano prendere dall'invidia e, ingannati dalle lingue dei capi malvagi, lanciano strali contro i possidenti.
Questa parte della teoria che vede nei poveri dei potenziali delinquenti si trova anche nella Costituzione degli Ateniesi dello Pseudo Senofonte. L’anonimo autore chiamato “il vecchio oligarca”, da August Boeck identificato con Crizia, cervello e capo politico dei “Trenta tiranni”, sostiene che nel popolo c’è il massimo di ignoranza , di disordine e malvagità: la povertà infatti spinge piuttosto alle turpitudini, come la mancanza di educazione e l’ignoranza che in alcuni nasce dall’indigenza (1, 5).
In conclusione:"Triw'n de; moirw'n hJ jn mevsw/ sw/zei povlei"-kovsmon fulavssous j o{ntin j a]n tavxh/ povli"", ( Supplici, vv. 244-245), delle tre parti quella che sta in mezzo salva le città, custodendo l'ordine che essa dispone. Anche Plutarco nella Vita di Teseo mette in rilievo la cura del figlio di Egeo per l’ordine: egli unificò la popolazione e fondò la democrazia dell’Attica ma non permise che questa, risultante da una massa indistinta riversatasi là, fosse disorganizzata e confusa (ouj mh;n a[takton oujde; memeigmevnhn periei'den, 25, 2).

 La teoria della bontà della via di mezzo e della classe media si ripropone negli anni successivi. Nell'Elettra[11] di Euripide Oreste considera la ricchezza un giudice cattivo, ma, aggiunge, la povertà ha una malattia:"didavskei d ' a[ndra th'/ creiva/ kakovn "(v. 375), nel bisogno insegna all'uomo a fare il male.

 Concludo con l’Oreste (del 408). (p. 191) “Egli[12] vede negli aujtourgoiv, nei lavoratori in proprio, coloro che soli sono in grado di salvare la polis . Il v. 920 dell'Oreste - "un lavoratore in proprio, di quelli che appunto sono i soli a salvare la patria"[13]-ricorda da vicino Suppl. 244:"delle tre parti quella che sta in mezzo salva le città". La classe media era quindi per Euripide costituita essenzialmente dai contadini che lavorano il fondo di loro proprietà"[14].


CONTINUA

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[1] Vedi la scheda “L’interpretazione pragmatica delle azioni umane” successiva al v. 368.

[2] P. P. Pasolini, Il caos, p. 178.
[3] P. P. Pasolini, Le belle bandiere, p. 113.
[4] Del 408 a. C.
[5] Cfr. Ovidio, Amores I, 3, 15: “non mihi mille placent, non sum desultor amoris”, non me ne piacciono mille, non sono il saltimbanco dell’amore.
[6] Plutarco , Vita di Solone , 27.
[7] La nascita della tragedia, p. 37.
[8] Del 422 a. C.
[9] Alcuni personaggi del mito, come Teseo appunto, o Eracle, possiedono una pluralità di significati. Più avanti vedremo lo stesso di Orfeo.
[10]V. Di Benedetto, Euripide: teatro e società , p. 180.
[11] Probabilmente degli anni intorno al 415.
[12] Euripide.
[13]Aujtourgo;", oiJvper kai; movnoi sw/zousi gh'n.
[14]Di Benedetto, op. cit., p. 208.



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