domenica 5 maggio 2024

Il mito di Er, la scelta del destino nella Repubblica di Platone


 

Questo mito mi sta molto a cuore poiché insegna che dobbiamo restare fedeli al nostro carattere una volta che l’abbiamo scelto, ossia individuato tra le varie possibilità.

Er, Panfilio di stirpe, era morto in guerra, ma al dodicesimo giorno dopo il decesso, quando si trovava già sulla pira,  tornò in vita e raccontò quello che aveva visto nell’aldilà (Platone, Repubblica, 614b).

Er disse che l’anima, quando esce dal corpo,  si incammina, con molte altre, verso un luogo soprannaturale eij~ tovpon tina; daimovnion , un prato, dove ci sono due voragini (cavsmata. 614c) contigue, nella terra, e altre due  nel cielo di fronte, in alto.

In mezzo a queste aperture siedono dei giudici i quali ordinano ai giusti di procedere in alto a destra attraverso il cielo (eij~ dexiavn te kai; a[nw dia; tou` oujranou`)  e agli ingiusti di precipitare in basso a sinistra.

 

A Er i giudici dissero che doveva osservare e divenire nunzio agli uomini  delle cose dell’aldilà (a[ggelon ajnqrwvpoi~ genevsqai tw`n ejkei`, 614d).

 

Er dunque vedeva parte delle anime giudicate che salivano verso il cielo per una delle due voragini volte in alto, parte scendevano nella terra attraverso la voragine aperta verso il basso, mentre dalle altre due aperture contigue scendevano dall’alto anime pure, e salivano dal basso anime piene di lordura e di polvere (ejk th`~ gh`~ mesta;~ aujcmou` te kai; kovnew~).

 

Le anime giunte sul prato (eij~ to;n leimw`na, 614e) vi si attendavano come per un consesso festoso e si salutavano, quante si conoscevano.

 

Quelle che venivano da sotto terra rievocavano piangendo il loro viaggio ipogeo di mille anni (ei\nai de; th;n poreivan cilievth, 615).

Quelle che venivano dal cielo invece facevano un racconto di delizie e di spettacoli straordinari per la bellezza (eujpaqeiva~ dihgei`sqai kai; qeva~ ajmhcavnou~ to; kavllo~).

 

I puniti raccontavano che di ogni ingiustizia avevano pagato il fio dieci volte tanto, ossia avevano subito dolori dieci volte maggiori di quelli inflitti, e i premiati corrispettivamente ricordavano che pure i benefici erano stati ricompensati in misura dieci volte maggiore.

Più grandi erano le retribuzioni per l’empietà e la pietà verso gli dèi e i genitori e massime per le uccisioni di propria mano.

 

La storia di Ardieo.

Un esempio negativo molto evidente di cui Er aveva sentito dire era quello del grande criminale Ardieo (   jArdiai`o~ oJ mevga~, 615 c). Costui era diventato tiranno in una città della Pamfilia, mille anni prima, e aveva ucciso padre, fratello, non senza molte altre scelleratezze. Chi l’aveva incontrato disse che quell’orribile criminale non sarebbe mai arrivato nel prato del consesso festoso. Infatti era uno di quelli così inguaribilmente malvagi (ti~ tw`n ou{tw~ ajniavtw~ ejcovntwn eij~ ponhrivan, 615c) che non potevano risalire. La maggior parte di questi incurabili erano tiranni. Quando si avvicinavano alla bocca d’uscita, questa emetteva un muggito (ejmuka`to). Allora intervenivano uomini a[grioi, diapuvroi ijdei`n (615 e) selvaggi, infuocati a vedersi che  afferravano tali delinquenti e li portavano via. I pessimi come Ardieo , venivano legati mani, piedi e testa, buttati a terra, scorticati, trascinati fuori strada su piante spinose e gettati nel Tartaro.

 

Dopo sette giorni passati nel prato dunque, le anime dovevano viaggiare per altri quattro giorni finché giungevano in un luogo da dove vedevano dall’alto una luce diritta (fw`~ euquv)  distesa per tutto il cielo e la terra (dia; panto;~ tou` oujranou` kai; gh`~) come una colonna (oi|on kivona, 616c), molto simile all’arcobaleno, ma più fulgida e pura. Questa è l’anima del mondo.

Le anime degli umani camminavano ancora per un giorno e, arrivati a metà della luce, vedevano teso dalle due estremità il fuso di Ananche (ejk de; tw`n a[krwn tetamevnon   jAnavgkh~ a[trakton), l’asse dell’universo attraverso cui avvengono tutti i movimenti circolari. Il fuso aveva otto fusaioli (ojktw; ga;r ei\nai tou;~ xuvmpanta~ sfonduvlou~, 616d), i contrappesi del fuso, racchiusi gli uni negli altri.

Questi fusaioli rappresentano il cielo delle stelle fisse e i sette pianeti. Partendo dall’esterno: Stelle fisse, Saturno, Giove, Marte, Mercurio, Venere, Sole, Luna. Così nel Timeo. E’ l’ordine pitagorico.

         Il fuso si volgeva poggiato sulle ginocchia di Ananche.

Su ognuno dei fusaioli circolari che rotavano lentamente incedeva in alto una Sirena sumperiferomevnhn (617b) tratta anch’essa nel moto circolare mentre emetteva una voce in armonia con quella delle altre sette.

Le anime dunque vedevano il fuso di Ananche,  l’asse dell’universo.

Il fuso è uno strumento rigonfio al centro e sottile nelle estremità che si usava per filare la lana

 

Le Moire

Sedevano in trono tre persone diverse dalla folla: le figlie di Ananche, le Moire vestite di bianco e con dei serti (stevmmata, 617c) sul capo.

Queste sono Lachesi, Cloto e Atropo che cantavano sull’armonia delle sirene.

 Lachesi cantava ta; gegonovta, eventi passati, Cloto ta; o[nta, i presente, Atropo ta; mevllonta, quelli futuri.

Le tre Moire accompagnavano con la mano i moti del fuso.

Per i loro nomi cfr. lagcavnw “ricevo in sorte”, klwvqw, “filo” e trevpw “volgo” preceduto da aj- privativo, quindi l’inflessibile.

 

 

Le anime dovettero presentarsi a Lachesi, quella che dà le sorti.

Quindi un portavoce (profhvth~) dispose in fila la folla, poi  prese delle sorti, dei modelli di vita dalle ginocchia di Lachesi.

Infine il profhvth~ , salito su un’alta tribuna, diede voce al pensiero di Lachesi, la vergine figlia di Ananche (   jAnavgkh" qugatro;" kovrh" Lacevsew" lovgo~).

 Disse: “Questo è l’inizio di un altro ciclo di mortalità della razza mortale.

, e non sarà il demone a sorteggiare voi, bensì voi sceglierete il demone 

( “ oujc uJma'" daivmwn lhvxetai, ajll j uJmei'" daivmona aiJrhvsesqe" (617 e).

Chi è sorteggiato a scegliere per primo, prenda per primo la vita cui sarà congiunto”. Il sorteggio dunque riguarda solo il turno della scelta.

 La parola di Lachesi aggiunge che la virtù è senza padrone (ajreth; de; ajdevspoton, 617e) e ciascuno ne avrà di più o di meno, a seconda che la apprezzi o la disprezzi. Responsabile è chi ha fatto la scelta[1], non la divinità” (aijtiva eJlomevnou: qeo;~ ajnaivtio~ (617 e).

 

 

Riferite queste parole, il portavoce di Lachesi gettò le sorti con il turno della scelta, e ognuno tirò su quella che aveva vicino. Er non poté farlo.

Quindi il prfhvth~ mise in terra davanti a loro svariati modelli di vite: umane e di animali.

C’erano vite di tutti i tipi, e anche mescolanze di tipi.

Il profhvth~ aggiunse che anche chi sceglieva per primo non doveva essere negligente, e l’ultimo  non doveva scoraggiarsi ma scegliere con senno: mhvte oJ a[rcwn aiJrevsew~ ajmeleivtw mhvte oJ teleutw`n ajqumeivtw (619b).

 

 Socrate che fa questo racconto dice a Glaucone che bisogna studiare soprattutto come  scegliere la migliore tra le vite possibili.

Buona è la vita che tende alla giustizia, cattiva quella che va verso l’ingiustizia. Bisogna essere refrattari a lasciarsi colpire dalle ricchezze e da simili malanni come la tirannide. Bisogna fuggire tutti gli eccessi in entrambi i sensi (feuvgein ta; ujperbavllonta eJkatevrwse, 619).

 

.Er raccontò che il primo scelse la tirannide senza accorgersi che questa racchiude il destino di mangiare i propri figli e altre sciagure. Poi se ne avvide e si mise a piangere. Quest’uomo veniva dall’apertura nel cielo poiché aveva vissuto la vita precedente in uno Stato bene ordinato praticando la virtù, per abitudine, senza filosofia (e[qei a[neu filosofiva~, 619d).

Era più facile che scegliessero precipitosamente e sbagliassero quelli scesi dal luogo beato, in quanto inesperti di travagli (a{te povnwn ajgumnavstou~), mentre quelli che venivano dalla terra, siccome erano tribolati e avevano visto altri soffrire, non facevano la scelta ejx ejpidromh`~ in modo affrettato.

Di nuovo il tw`/ pavqei mavqo~.

Così c’era una permuta di beni e di mali.

Ma se uno passa la vita filosofando, poi la sua scelta non cade tra le ultime, è facile che quest’uomo abbia due buone vite di seguito.

Comunque, dice Er, lo spettacolo era degno di essere visto, uno spettacolo pietoso, ridicolo e meraviglioso (qevan ajxivan ijdei`n kai; geloivan kai; qaumasivan, 620).

 

Vediamo però che  la scelta non è del tutto libera siccome è condizionata dalle quantità di sorti rimaste disponibili quando tocca  scegliere  a ciascuno secondo il  numero d’ordine raccolto in precedenza. Inoltre le anime erano condizionate  dalle esperienza fatte nella vita precedente.

 Vediamo come.

Aiace Telamonio scelse la vita di un leone poiché rifuggiva dal nascere uomo in quando ricordava il giudizio delle armi (- memnhmevnh~ tw`n o{plwn krivsew~-  620b).

Agamennone, per avversione al genere umano, scelse la vita di un’aquila.  Orfeo, scelse la vita di un cigno non volendo nascere da grembo di donna mivsei tou` gunaikeivou gevnou~ , in odio del genere femminile per la morte  sofferta dalle donne[2]. 

Il buffone Tersite scelse la natura di una scimmia.

L’anima di Odisseo, prese la sorte per ultimo e, guarito da ogni ambizione per il ricordo dei travagli precedenti, scelse la vita di un uomo privato e amante del quieto vivere ("bivon ajndro;" ijdiwvtou ajpravgmono"", Repubblica  620c).

La trovò messa da parte e negletta dagli altri, ma disse che l’avrebbe presa anche se avesse dovuto fare la scelta per primo.

 

Quindi Lachesi diede a ciascuno come custode (fuvlaka) il demone (daivmona, 620d) che si era scelto.

Poi Cloto  Atropo e Ananche confermavano le scelte e le rendevano immutabili.

In seguito le anime  venivano portate  attraverso una terribile calura e arsura fino al fiume Amelete perché ne bevessero l’acqua. Una certa misura era obbligatoria. I meno prudenti ne bevevano più della misura (plevon tou` mevtrou, 621) e mentre bevevano scordavano tutto. Infine si addormentavano, scoppiava un tuono e le anime venivano spinte a una nuova nascita cui si lanciavano come stelle cadenti.

 A Er era stato impedito di bere e non sapendo come, si era trovato il mattino sulla pira. Socrate commenta il mito con poche parole dicendo che per entrare nell’apertura e nella via che va in alto bisogna praticare sempre la giustizia in modo da essere cari a noi stessi e agli dèi qui in terra e dopo, nel viaggio millenario di cui si è detto (621d)

 

Questo mito è un’immagine concentrata del nostro destino di mortali. A me piace molto, e pur essendo una fantasia, credo che la sua bellezza contenga anche una verità: che noi dobbiamo vivere in sintonia con il nostro daivmwn che è il destino ed è pure il carattere.

Eraclito  con il suo stile ieratico e lapidario insegna che l’uomo e il suo destino coincidono: h\qo~ ajnqrwvpw/ daivmwn[3]”.

Così o Glaucone questo mito si è salvato e potrà salvare anche noi se gli crediamo. Dobbiamo attenerci alla via che va in alto e praticare sempre la giustizia in modo da essere cari a noi stessi e agli dèi e trovarci bene qui in terra e poi nel viaggio millenario appena raccontato. Fine Repubblica di Platone

 

"Qui, proprio qui, sta l'origine dell'infelicità…Avvertiamo allora lo squilibrio tra il nostro essere in potenza e il nostro essere in atto. E questa, questa è l'infelicità"[4].

"Molti provavano, per un istante, una penosa tristezza perché tra la loro vita e i loro istinti c'era un tale dissidio, un tal conflitto che la loro vita non era affatto una danza, bensì un faticoso e affannato respirare sotto i pesi: pesi che in fin dei conti essi stessi si erano accollati"[5].

“Nessuna creatura è più squallida e ripugnante dell’uomo che è sfuggito al suo genio”[6].

 

Sconcio in greco si dice  ajeikhv~, ossia non eijkov~ che è la cosa  neutra che non assomiglia, è l’uomo oggetto non somigliante a se stesso.

Ognuno deve individuare il proprio destino, o ricordarlo secondo il mito di Er, quindi amarlo poiché ciascuno è il proprio destino e l’uomo, se vuole realizzarsi,  deve diventare quello che è.

Lo prescrive la somma del pensiero educativo di  Pindaro: “gevnoio oi|o~   ejssiv” (Pitica II  v. 72), diventa quello che sei.

 

Bologna  5 maggio 2024 ore 10, 50 giovanni ghiselli

p. s.

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[1] E’ l’afferrmazione della responsabilità degli uomini, già fatta da Zeus nel primo canto dell’Odissea:"Ahimé, come ora davvero i mortali incolpano gli dèi! Da noi infatti dicono che derivano i mali, ma anzi essi stessi per la loro stupida presunzione hanno dolori oltre il destino. Così anche ora Egisto oltre il destino si prese la moglie legittima dell’Atride, e lo ammazzò appena tornato,

pur sapendo della morte scoscesa, poiché gliela predicemmo noi,

mandando Ermes, l’Argifonte dalla vista acuta,

di non ammazzarlo e di non corteggiarne la sposa:

infatti da Oreste ci sarà la vendetta dell’Atride,

quando sia adulto e desideri la sua terra.

Così diceva Ermes, ma non persuadeva la mente

Di Egisto, pur pensando al suo bene; e ora tutto insieme ha pagato” (vv. 32-43).

 

[2] Cfr. Virgilio, Georgica IV: spretae Ciconum quo munere  matres-inter sacra deum nocturnique orgia Bacchi-discerptum latos iuvenem sparsere per agros” ( vv. 520-522) spregiate (da questa fedeltà -a Euridice-) le donne dei Ciconi  fra riti religiosi e le orge di Bacco notturno, sparsero per i vasti campi  il giovane fatto a pezzi.

[3] Fr. 91 Diano, il carattere è il destino dell’uomo

 

[4] J. Ortega y Gasset, Meditazioni sulla felicità, p. 42.

[5] H. Hesse, Klein e Wagner, p. 126.

[6] Schopenhauer come educatore, III inattuale (1874), p. 166.

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