domenica 5 maggio 2024

Ifigenia CLXIII Un altro telegramma e un ricordo: la morte della nonna Margherita


 

Dopo la lunga nuotata mi riposai, quindi contai quante volte batteva il cuore mio in sessanta secondi: quarantotto. “Segno di buona salute” , pensai, non senza sorridere di contentezza. Il battito cardiaco evocava l’eroe della mia infanzia, Fausto Coppi, che aveva una frequenza ancora più bassa della mia.

Se una donna della mia levatura mi avesse motivato e aiutato, se avesse acceso il mio animo,  avrei compiuto egregie cose anche io.

 

Mentre tornavo dalla piscina, verso le sei ed ero arrivato davanti alla porta del secondo collegio, mi venne incontro un messaggero sconosciuto, un a[gnwsto" a[ggelo"  che mi domandò se fossi gianni ghiselli e mi consegnò un telegramma. Lo presi e pensai: “vediamo se questo messo mi è stato inviato dal buon Dio o da qualche demone equivoco”

Era della mia donna. Diceva: “sono a Bologna. Telefonami questa sera alle nove. Ti amo tanto. Mi fido. Fidati. Ifigenia”.

 

Non avevo ancora smaltito del tutto l’emozione dubitosa delle due cartoline quando mi fu consegnato questo messaggio più preciso e perentorio. Erano già passate le sei e un quarto: volevo rispondere alla richiesta, obbedire all’imperativo della bella donna, poi andare alla festa dell’addio per ricordare e abbellire dell’altro le tracce antiche delle feste lontane; sicché dovevo salire le scale di corsa, eppure attento a non inciampare, fare una doccia in  gran fretta ma  senza scivolare magari su una saponetta lasciata cadere da qualcuno, poi andare alla posta il più rapidamente possibile, siccome per avere la linea bisognava attendere molto e alle 10 la serata solenne iniziava mentre la posta chiudeva. Volevo sentire Ifigenia, chiederle per quale arcana ragione non mi avesse mandato mai l’espresso più volte annunciato, e, se avesse risposto in maniera appena plausibile, le avrei detto che l’amavo anche più di prima della nostra separazione penosa.

Mi lanciai dunque a fare la doccia, mi lavai i capelli, poiché volevo essere al meglio, non tanto per la festa notturna, quanto per parlare con lei, pur solo al telefono del tutto aniconico allora.

Mi resi dunque il più possibile arraente e seduttivo per Ifigenia senza che lei potesse vedermi. Come feci nel gennaio del 1978 quando volli lavarmi e indossare le lenti a contatto prima di dare il bacio di addio alla carissima nonna Margherita morta il giorno prima. Erano le sette della mattina e la mamma mi aveva svegliato perché andassi a dare l’ultimo bacio alla madre sua. Dovevo fare presto: i becchini impazienti, insolenti, avevano fretta di chiudere la bara con il coperchio di legno e metallo, con i chiodi e le viti e con una fiamma bluastra per giunta. Pregai la mamma di trattenerli: mi lavai i denti, mi ficcai negli occhi le lenti di plastica, quindi scesi le scale di corsa e andai a baciare la nonna che da viva, quando mi vedeva con il volto sciupato dagli occhiali diceva: “gianni, non presentarti da me in questo stato: così perdi il meglio di te e non assomigli più a tuo nonno che era un gran porcaccione, ci provava sempre con tutte, ma era comunque un bellissimo uomo alla tua età”. Li ricordo entrambi con affetto e gratitudine grandi. Ho preso molto di buono e di bello da ciascuno di loro.

 

Bologna 5 aprile 2024 ore 17, 32 giovanni ghiselli    

 

 

 

 

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