venerdì 24 maggio 2024

L’essere “strano”- a[topo~ di Socrate, Leopardi, don Lorenzo Milani


 

 

Cercare di smontare i miti con la ragione è roba da sofoiv. Socrate nel  Fedro afferma la propria diversità da loro

 

Il luogo ameno fuori le mura di Atene non attira Socrate quanto la città

 Nel prologo del dialogo Fedro,  Socrate descrive il paesaggio che incornicia la sua passeggiata con Fedro (227A). C’è un platano alto e molto frondoso,  poi c’è un agnocasto, un grosso cespuglio rigoglioso che stende sul terreno un’ombra bellissima, e offre un piacevole profumo con i suoi fiori viola. Sotto il platano ujpo; th`~ platavnou scorre una fonte gradevolissima- phgh; cariestavth rJei`- (230B) di molta acqua fresca. Non mancano statue che fanno ritenere il luogo sacro alle Ninfe e ad Acheloo. Gradevole e dolce è il venticello del luogo. E   un melodioso suono estivo risponde al coro delle cicale- qerinovn te kai; liguro;n ujphcei` tw`/ tw`n tettovgwn corw`/ (230 C), ma la cosa più elegante è l’ aspetto dell’erba- to; th`~ pova~- disposta in un dolce declivio. Essa è cresciuta in modo che vi si possa appoggiare la testa.

Quindi Socrate ringrazia Fedro che gli ha fatto da guida in quel luogo.

 

Ma Fedro gli risponde : “tu o mirabile Socrate, sembri un tipo stranissimo- ajtopwvtatov~ ti~ faivnh/ (230C)  in quanto pari un forestiero condotto da una guida, non uno del luogo. Tu non esci dalla città neppure per recarti fuori le mura- exw teivcou~- 230 D.

 Socrate poco prima aveva  detto a Fedro che se non credesse al mito di Borea che rapì Orizia figlia del re Eretteo, come non ci credono oiJ sofoiv, non sarebbe l’uomo strano (a[topo~) che è ( Fedro, 229c). Potrei dire, facendo il sapiente, sofizovmeno~, che un colpo di vento di Borea gettò Orizia giù dalle rupi o dall’Areopago. È un’interpretazione ingegnosa, ma chi la fa, poi deve raddrizzare gli Ippocentauri, la Chimera, e Gorgoni e Pegasi e tutte le stranezze della natura. E per questo ci vuole molto tempo libero e io non ne ho: ejmoi; de; pro;~ aujta; oujdamw`~ scolhv (229e).

Io non sono ancora in grado di conoscere me stesso kata; to; Delfiko;n gravmma, perciò mi sembra ridicolo geloi`on dhv moi faivnetai indagare cose che mi sono estranee - ta; ajllovtria skopei`n. Dunque dico addio a tali questioni, esamino me stesso skopw` ejmautovn, per vedere se per caso io non sia una bestia più intricata e più invasa da brame di Tifone o se sono un essere vivente (zw`/on) più mite e semplice, partecipe per natura di una sorte divina e priva di superbia fumosa (Fedro, 230a).

In conclusione Socrate  si scusa con Fedro dicendo; sono  filomaqhv~, amo imparare ma  imparo solo dagli uomini: “ta; me;n ou\n cwriva kai; ta; devndra oujde;n m j ejqevlei didavskein, oiJ d j ejn tw`/ a[stei a[nqrwpoi” (Fedro, 230d), il luoghi di campagna dunque e gli alberi, non vogliono insegnarmi niente, gli uomini della città, invece sì.

La sua sapienza infatti è sapienza umana- ajnqrwpivnh sofiva- come  dice difendendosi nell’Apologia scritta da Platone (20d).

 

Massimo Cacciari commente così: “átopos è Socrate  (…) Socrate non ha luogo, poiché li critica tutti, tutto interroga, tutto apre. Átopos e non ou tópos –non a caccia di immagini astratte di non luoghi o luoghi-buoni da contrapporre semplicemente a quelli di cui abbiamo esperienza. Il luogo dove il filosofo discute per suscitare meraviglia di fronte alla cosa è la città, il luogo comune e di nessuno, e proprio esso va interrogato  e mosso verso il suo Ultimo, verso ciò che appare Im-possibile a coloro che lo intendono e vogliono assicurarselo come una ferma dimora” (Metafisica concreta, p. 355).

 

Del resto quanto allo strano che si attribuisce l’uomo non comune posso citare anche Leopardi:

quasi romito e strano

al mio loco natio

passo del viver mio la primavera” (Leopardi, Il passero solitario, 24-26).

 

“Ci ho messo venticinque anni a sortire dalla classe sociale che scrive e legge L’Espresso e Il Mondo. Non mi devo far ricattare nemmeno per un sol giorno. Mi devono snobbare, dire che sono un ingenuo e un demagogo, non mi devono onorare come uno di loro, perché non sono come loro” (Michele Gesualdi, Don Lorenzo Milani, L’esilio di Barbiana, Introduzione di Tomaso Montanari, p. 7)

Così scriveva Milani al suo avvocato Adolfo Gatti,, nominato d'ufficio nel processo per apologia di reato seguito alla pubblicazione nel marzo 1965 della Risposta ai cappellani militari:  L’obbedienza non è più una virtù

 

Ogni scrittore bravo è “strano”

Abbiamo visto sopra che Aristotele suggerisce di impiegare lo strano, lo srtraordinario per arrivare alla   levxew~ de; ajreth;, al pregio del linguaggio che deve essere chiaro e non pedestre  safh' kai; mh; tapeinh;n ei\nai” (Poetica, 1458a, 18 ).  

 L’autore si scosta dall’ordinario quando usa espressioni peregrine come glossa metafora allungamento e ogni forma contraria all’usuale:“xeniko;n de; levgw glw'ttan kai; metafora;n kai; ejpevktasin kai; pa'n to; para; to; kuvrion” (Poetica, 1458a, 22 ).

 

La stranezza ad alcuni piace anche nell’aspetto umano: Hans Castorp il giovane protagonista del romanzo La montagna incantata si innamora della russa Claudia Chauchat per la forma inconsueta degli occhi dal taglio finnico mongolico che gli ricordava una simpatia adolescenziale per un compagno di scuola di origine slava, e anche per la stranezza del comportamento, di tutta la vita di questa donna equivoca e dunque del tutto diversa dalle borghesi ordinarie che aveva conosciuto.

Bologna 24 maggio 2024 ore 18, 46 giovanni ghiselli

p. s.

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