sabato 25 maggio 2024

Gratitudine e ingratitudine.


 

La gratitudine è  un aspetto dell’educazione umana.

 Nella Ciropedia[1] di Senofonte  leggiamo che un motivo serio di punizione e disonore è l'ingratitudine (ajcaristiva):"kai; o}n aj;n gnw'si dunavmenon me;n cavrin ajpodidovnai, mh; ajpodidovnta dev, kolavzousi kai; tou'ton ijscurw'". Oi[ontai ga;r tou;" ajcarivstou" kai; peri; qeou;" aj;n mavlista ajmelw'" e[cein kai; peri; goneva" kai; patrivda kai; fivlou""(I, 2, 7), e quello di cui sanno che potendo contraccambiare un favore, non lo contraccambia, lo puniscono severamente. Credono infatti che gli ingrati trascurino completamente gli dei, i genitori, la patria e gli amici.

"Come cosa caratteristica dei Persiani-osserva Jaeger-  Senofonte rileva che l'ingratitudine è severamente punita in questo tribunale, in quanto essa appare come origine dell'impudenza e pertanto di ogni malvagità"[2]. 

 Senofonte annette al vizio capitale dell'ingratitudine quello dell'impudenza che anzi considera madre di tutte le turpitudini:"e{pesqai de; dokei' mavlista th'/ ajcaristiva/ hJ ajnaiscuntiva: kai; ga;r au}th megivsth dokei' ei\nai ejpi; pavnta ta; aijscra; hJgemwvn"(I, 2, 7), pare che all'ingratitudine di solito si accompagni l'impudenza: questa infatti sembra essere la guida più grande verso tutte le brutture.

 

L'ingratitudine è biasimata come vizio capitale già da Penelope saggia ( "perivfrwn") quando  rimprovera gli Itacesi dicendo all'araldo:"ajll j oJ me;n uJmevtero" qumo;" kai; ajeikeva e[rga--faivnetai, oudev tiv" ejsti cavri" metovpisq  j eujergevwn"( Odissea , IV, 694-695), il vostro animo appare evidente e indegne le vostre azioni, e non c'è più gratitudine alcuna in seguito ai benefici.

 

Nei Memorabili  di Senofonte,  Socrate fa notare al figlio Lamprocle che particolarmente grave è considerata ad Atene l'ingratitudine verso i genitori, e per questa mancanza di riconoscenza sono previste delle pene, mentre negli altri casi, la città si limita a disprezzare coloro i quali ricevendo del bene non mostrano gratitudine:"periora'/ tou;" eu\ peponqovta" cavrin oujk ajpodovnta""(II, 2, 13).

 

 Euripide  mette in evidenza il grande valore della gratitudine quale componente dell'amicizia nella tragedia Eracle dove Teseo non ha dimenticato l'aiuto ricevuto dall'amico che lo ha riportato in luce dal regno dei morti (v. 1222) e, disponendosi ad aiutarlo a propria volta, gli dice:" cavrin de; ghravskousan ejcqaivrw fivlwn" (v. 1223), io odio la gratitudine degli amici che invecchia.

 

Pure Sofocle attribuisce grande valore alla gratitudine considerandola una virtù senza la quale non può darsi animo nobile: Tecmessa per indurre Aiace a non suicidarsi ripete la parola chiave cavri" in poliptoto :"cavri" cavrin gavr ejstin hJ tivktous j ajeiv:-o{tou d j ajporrei' mnh'sti" eu\  peponqovto",-oujk a]n gevnoit j ou|to" eujgenh;" ajnhvr" (Aiace, vv. 522-524), la riconoscenza infatti genera sempre riconoscenza; quello dal quale cade il ricordo del bene ricevuto, ebbene costui non può essere un uomo nobile.

Dopo il suicidio dell’eroe, nell’esodo della tragedia, Teucro aggredito da Agamennone lamenta la caducità della gratitudine: “Feu': tou' qanovnto" wJ" tacei'a ti" brotoi'"-cavri" diarrei' kai; prodou'" j aJlivsketai” (Aiace, vv. 1266-1267), ahi, come svanisce rapida per i mortali ogni gratitudine verso un morto e cade tradita”

L’Aiax mastigophorus di Livio Andronico traduce liberamente: “praestatur laus virtuti, sed multo ocius/verno gelu tabescit”, si offre lode al valore ma essa si scioglie molto più in fretta del gelo a primavera. 

 

Torno a Sofocle: nel Filottete Neottolemo afferma che l'amicizia di un uomo capace di gratitudine vale più di qualsiasi tesoro:"o{sti" ga;r eu\  dra'n eu\ paqw;n ejpivstatai-panto;" gevnoit j a]n kthvmato" kreivsswn fivlo" " (vv. 672-673), infatti chi sa fare il bene dopo averlo ricevuto, dovrebbe essere un amico più prezioso di ogni ricchezza

 

Nella commedia pastorale As you like it (1599) di Shakspeare il nobile musico Amiens rifugiatosi con il suo duca spodestato nella foresta di Arden, canta: “Blow, blow, thou winter wind,-Thou art not so unkind-As man’s ingratitude.-Thy tooth is not so keen,-Because thou art not seen-Although thy breath be rude-…Freeze, freeze, thou bitter sky-That dost not bit so nigh-As benefits forgot” (II, 7), soffia, soffia, tu vento d’inverno, tu non sei tanto scortese, quanto l’ingratitudine umana. Il tuo dente non è tanto aguzzo  perché non ti si vede, anche se il tuo fiato è aspro…Gela, gela, tu amaro cielo, che non mordi così dentro quanto i benefici scordati.

 

Secondo Shakespeare fu l'ingratitudine, più forte delle braccia dei traditori, a vincere la resistenza del grande Cesare che allora cadde:"Ingratitude, more strong than traitors' arms,/quite vanquished him: then…great Caesar fell" (Giulio Cesare , III, 2). 

Nel Tito Andronico l'imperatrice Tamora, ex regina dei Goti, suggerisce all'imperatore Saturnino di prendere tempo prima di annientare la fazione di Tito che lo ha appoggiato nell'ascesa al trono: rischierebbe di essere soppiantato "for ingratitude,/Which Rome reputes to be a heinous sin" (I, 1), che Roma considera essere un peccato odioso.

 

 

L'ingratitudine è il marchio della persona volgare: Nietzsche nel 1864 (a vent'anni) scrisse una Dissertazione  su Teognide di Megara  simpatizzando con le teorie del lirico antico. Lo colpì fortemente il biasimo espresso  per l'ingratitudine dell'animo plebeo:"Teognide ritiene che non c'è niente di più vano e di più inutile che fare bene ad un plebeo, dal momento che non ringrazia mai”[3]. Quindi cita alcuni versi della Silloge  (105-112) che riporto in traduzione mia :

"E' un favore del tutto vano fare del bene ai vili:/è come seminare la superficie del mare canuto./Infatti seminando il mare, non mieti folta messe,/né facendo del bene ai malvagi puoi riceverne bene in cambio:/ché i malvagi hanno mente insaziabile: se tu sbagli,/l'affetto per tutti i favori di prima si versa per terra./I buoni invece gustano al massimo quanto ricevono("oiJ d  jajgaqoi; to; mevgiston ejpaurivskousi paqovnte"", v. 111),/e serbano memoria dei beni e gratitudine in seguito".

 

L'ingratitudine è anche una forma di disprezzo di se stessi. Lo mette in rilievo  Céline che non si faceva pagare le visite mediche:"Ero troppo compiacente con tutti, lo sapevo. Nessuno mi pagava. L’ho poi visitato gratis, soprattutto per curiosità. E' un torto. Le persone si vendicano dei favori che loro fate"[4].

 

Bologna 25 maggio 2024 re 18, 14 giovanni ghiselli ore 18, 14

p. s.

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[1] In in otto libri, composta dopo il 36I.

[2]Jaeger, Paideia,  p. 285.

[3]p. 167.

[4] L. F. Céline, Viaggio al  termine della notte,  p. 257.

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