martedì 28 dicembre 2021

La storia di Päivi. 9 La preghiera santa mentre urino nella puszta.

 

Andavamo dunque verso la puszta. Sulla destra c’era il sole già piuttosto vicino al tramonto. Eravamo tre coppie in due automobili: noi viaggiavamo soli e concordi nella nera Volkswagen; gli altri quattro ci seguivano nella Renault blu di Bruno, lo sfortunato ragazzo pesti devotus futurae [1]. Con il senno di adesso le due automobili scure potevano evocare, addirittura anticipare il corteo tetro verso l’ultimo viaggio.

La bambina frutto del nostro amore sarebbe stata soppressa in autunno,

Bruno sarebbe morto l’estate successiva in un incidente stradale in Africa e Silvano si trova tra i defunti, quelli che hanno compiuto la vita, da un paio di anni.

 

A un tratto Päivi mi chiese di fermare la macchina e lasciar passare gli altri: doveva scendere per un bisogno; lo sentivo anche io dopo le due birre bevute nell’ombroso cortile. Ci separammo, ovviamente. Io camminai verso occidente finché giunsi a una siepe oltre la quale vedevo l’immergersi lento del sole nella pianura infinita.

Mentre con gettito lungo, non frenato da una prostata grossa come quella di Marlon Brando nell’Ultimo tango a Parigi di Bertolucci, urinavo le birre contro i raggi lucenti della sera estiva, piena di voli, rivolgevo tale preghiera al dio che scalda e nutre la vita: “Signore del mondo, ti prego, dammi la forza di  farmi amare da questa ragazza dal volto che irradia ricchezza spirituale; fai che io possa trarre dalla luce dei suoi occhi da Tartara, dai suoi capelli fulgidi,  una luce di comprensione; fai che Päivi a sua volta possa ricavare a sua volta da me la volontà di uscire dalla caverna dell’egoismo dove non giungono i tuoi raggi pieni d’amore. Se in vita mia qualche volta ho fatto del bene, se talora ho venerato debitamente il tuo nume, Mente dell’Universo [2], se ho meritato di te assai o poco, ti prego esaudisci questa preghiera devota”.

Ero un poco ebbro.

Il primo fra tutti gli dèi calava grande, non oscurato da caligine né ombreggiato dalle nuvole dei moscerini; l’aria era calda, ma viva e trasparente; al di là del cespuglio, su un campo di granoturco volavano a gara i passeri frullando rapidamente e tripudiavano a gara altri uccelli contenti; a destra, i cani paravano greggi di pecore intente a brucare l’erba dove andavano e venivano pure grosse oche bianche dai colli stirati, e neri maiali dalle zanne candide e aguzze. In quel tramonto tutto era santo, tutto era sacro. C’erano mito, c’era poesia e c’era amore. I solchi arati spiravano promesse di nascite nuove e i venti esalavano soffi pieni di vita.

Mi sentivo in armonia con la terra, con gli animali pascenti e di guardia, con gli uccelli che li sorvolavano allegramente salutando la luce, con la mia donna che più in là urinava anche lei impastando la terra con il proprio liquido organico, nondimeno era molto dotata di anima, e, mentre sentivo il benessere delle radici nella grande madre di tutti, mi prefiguravo la spinta che io e Päivi ci saremmo dati a vicenda verso le altezze sublimi dello spirito e della cultura. Ci sarebbe stata una calda unione di corpi ma anche la fusione di due anime che, intimamente unite, sarebbero volate insieme nel regno della bellezza eterna. Questi sono i momenti epifanici della vita. Ne avrai avuti alcuni anche tu, lettore. Bisogna notarli e farne tesoro.

 

 

[1] Cfr. Eneide, I, 712. Si tratta di Didone infelix pesti devota futurae, infelice sacra alla rovina futura

[2] Cicerone nel Somnium Scipionis, chiama il sole"dux et princeps et moderator luminum reliquorum, mens mundi et temperatio ", guida e principe e governatore degli altri astri, mente del cosmo e forza regolatrice ( De Republica, VI, 17).


Bologna 28 dicembre 2021 ore 18, 46

giovanni ghiselli

p. s.

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