Excursus sul matrimonio
Liconide continua a parlare con Euclione.
Il giovane chiede perdono al vecchio per avergli ingravidato la figlia. Questa scusa viene inserita nella categoria che non c’è uomo di valore tanto scarso tam parvi preti 790 che dopo essersi macchiata di una colpa non se ne vergogni e non cerchi di smacchiarsi.
Non mi sembra una sentenza realistica, anzi la maggior parte dei malfattori assume il fare male come modus vivendi.
Ma Liconide è un bravo ragazzo e chiede pregando sia il perdono del padre sia la mano della figlia: Nunc te obtestor, Euclio, ut mihi ignoscas eamque uxorem mihi des, ut leges iubent (793)
Il volere della ragazza non entra neanche un poco nella preghiera.
Euclione è disorientato: Ei mihi, quod facinus ex te ego audio? (795). Tradurrei facinus dandogli un senso neutro di azione, fatto, piuttosto che misfatto.
Liconide comunque cerca di fargli intendere che la sua azione sta producendo un evento lieto, e volge il grido di Euclione in bonam partem : Cur eiulas, quem ego avom feci iam ut esses filiai nuptiis? (797) perché gridi tu che ho già reso nonno per le nozze di tua figlia?
Il genitivo della prima declinazione in ai è un arcaismo presente anche nel poema di Lucrezio: “Iphianassai turparunt sanguine foede” De rerum natura, I, 85.
Il ragazzo aggiunge che suo zio ha rinunciato a sposare la ragazza per questo, per lasciarla al nipote.
Probabilmente il vecchio non voleva accollarsi in figlio non suo.
Quindi Liconide suggerisce al futuro suocero di entrare in casa per verificare quanto gli ha detto.
Euclione torna a lamentarsi: “ita mihi ad malum malae res plurimae se adglutinant (801) così moltissime cose cattive si associano per farmi male. Poi entra in casa.
Liconide rimasto solo è contento: tutto è già quasi sistemato
in vado nel porto. Dice a se stesso che aspetterà Strobilo, poi entrerà nella casa della futura sposa. Intanto il vecchio potrà sentire dalla nutrice della ragazza, la buona Stafila, che le parole appena ascoltate sono vere.
Commento questa chiusura del quarto atto con alcune previsioni non buone sulla futura felicità dei due sposi, di tutti gli sposi.
Sul matrimonio.
Nelle Supplici di Eschilo il matrimonio per le Danaidi è sinonimo di orrori: le fanciulle in preda al terrore assimilano la loro voce a quella di Procne, trasformata in usignolo dopo che ebbe ucciso il figlio Iti per punire il marito Tereo il quale le aveva violentato la sorella Filomela. Tereo fu a sua volta mutato in upupa e Filomela in rondine. Questo mito raccapricciante, raccontato o richiamato da diversi autori in varie versioni è emblematico per significare l'orrore di un matrimonio andato a male. Lo ritroveremo e commenteremo meglio un’altra volta. Qui nelle Supplici proseguono i paragoni con gli uccelli: i maschi inseguitori sono sparvieri, "stirpi di nemici consanguinei e profanatori" (vv. 224- 225), mentre le ragazze fuggiasche sono colombe. E' ricorrente il motivo dell'inimicizia mortale tra gli uomini e le donne che pure appartengono alla stessa specie. Un odio empio, nota subito Eschilo, è :"come può restare puro l'uccello che divora l'uccello?" (v. 226).
L'aborrimento delle Danaidi per gli sposi è profetizzato dal Titano protagonista del Prometeo incatenato [1] che prevede alla loro antenata, la giovenca demente, l'assassinio di quarantanove dei mariti da parte di quarantanove sorelle e la lodevole eccezione di Ipermestra la quale risparmierà Linceo:"una delle fanciulle il desiderio sedurrà a non ammazzare lo sposo...Tra i due mali preferirà avere fama di debole che di assassina"[2].
Alla fine del dramma le Danaidi pregano la casta Artemide di guardarle con compassione salvandole dalle nozze, ma le loro ancelle affermano e consigliano di non trascurare Cipride. Anche Afrodite è una dea venerata per le sue opere. Del suo corteggio fanno parte Desiderio, Persuasione seducente e Armonia. Il pensiero di Zeus è imperscrutabile e il matrimonio potrebbe essere la realizzazione delle figlie di Danao come di molte donne prima di loro (vv. 1049-1052). Le supplici oppongono resistenza a questo tentativo di moderarle e pregano il padre onnipotente di risparmiare loro rovinose nozze e di concedere la vittoria alle donne:"kai; kravto" nevmoi gunaixivn" (Eschilo, Prometeo incatenato, 1068-1069).
L'Alcesti di Euripide (del 438 a. C.) drammatizza il mito di un'ottima sposa, anzi il corifèo la definisce "gunhv t j ajrivsth tw'n ujf jhJlivw/ makrw'/ " (v. 151), di gran lunga la più nobile tra le donne che vivono sotto il sole; eppure lo stesso Coro nel primo Stasimo canta:"ou[pote fhvsw gavmon eujfraivnein-plevon hj; lupei'n, toi'" te pavroiqen-tevkmairovmeno" kai; tavsde tuvca"-leuvsswn basilevw", oJvsti" ajrivsth"-ajplakw;n ajlovcou th'sd&, ajbivwton-to;n e[peita crovnon bioteuvsei", (vv. 238-242), non dirò mai che le nozze portino gioia più che dolore, argomentandolo dai fatti passati e vedendo questa sorte del re, il quale, persa l'ottima sposa, vivrà in futuro una vita non vita.
Questo dramma anomalo tuttavia arriva a una sorta di lieto fine con la restituzione della sposa allo sposo. Non così bene andrà a Emma Bovary la quale medita e prepara i suoi adulterii dicendo al primo corteggiatore:"Ma a me…a me è venuto dopo che mi sono sposata, il male"[3].
Triste è la sorte di Orfeo il quale, perduta la moglie amata che lo amava, continua a piangerla per sette anni tutti interi, ammansendo le tigri e trascinando le querce con il suo canto, percorrendo i ghiacci iperborei, il Tanai nevoso e le distese coperte dalle nevi rifee, finché fu fatto a pezzi dalle donne di Ciconi offese da tanta fedeltà, ma non per questo smise di invocare Euridice:" Eurydicen vox ipsa et frigida lingua,/ a miseram Eurydicen! anima fugiente vocabat:/Eurydicen toto referebant flumine ripae " ( Georgica IV , vv. 525-527), la voce da sola e la fredda lingua invocava Euridice, ah povera Euridice! mentre la vita fuggiva, Euridice riecheggiavano per tutto il fiume le rive.
Contro il matrimonio quale esperienza inconciliabile con ogni grandezza si esprime il principe Andrej di Guerra e pace che dice all'amico Pierre:" Non ti venga mai in mente di sposarti, mio caro; questo è il mio consiglio, non prender moglie finché non avrai potuto dire a te stesso che hai fatto tutto il possibile per evitarlo, finché non avrai smesso di amare la donna che hai scelto, finché non la vedrai come in trasparenza, altrimenti sbaglierai crudelmente e senza rimedio. Sposati da vecchio quando non sarai buono a nulla...Altrimenti andrà perduto tutto ciò che in te è buono ed elevato. Tutto si disperderà in piccolezze".[4]
Il timore del rischio di perdere una possibilità di vita, se non eroica, certo meno insignificante di quella del marito borghese viene manifestato anche da Kafka nella Lettera al padre :"Perché, dunque, non mi sono sposato? L'impedimento essenziale, purtroppo indipendente da ogni singolo caso, era che io, non v'è dubbio, sono spiritualmente incapace di sposarmi...ho già accennato che con lo scrivere e tutto ciò che vi si ricollega ho fatto alcuni mediocri tentativi di indipendenza e di evasione, ottenendo scarsissimi risultati...Ciò nonostante è mio dovere, o piuttosto è la mia vita stessa a vegliare su essi, impedire per quanto sia in me che un pericolo, anzi la sola possibilità di un pericolo, li possa sfiorare. Il matrimonio è la possibilità di un tale pericolo"[5].
Per contro nei Diari , in data 19 gennaio 1922, Kafka denuncia la fatica di vivere dello scapolo"Felicità infinita, calda, profonda, redentrice, di star vicino alla cesta del proprio bambino di fronte alla madre. C'è anche un pò del sentimento che dice: Tu non conti più, a meno che tu lo voglia. Per contro il sentimento di chi non ha figli dice: Tu conti sempre, volere o no, ogni istante sino alla fine, nello strazio dei nervi, sempre tu conti e senza risultato. Sisifo era scapolo"[6].
Svevo, nel racconto Corto viaggio sentimentale , rappresenta un uomo anziano, il signor Aghios, che pensa alla libertà negata dal matrimonio:"Venticinque anni prima il signor Aghios s'era scelta la consorte. Quale gioia quando, vincendo ogni difficoltà, egli era arrivato a dirla sua, trovando naturale che, in compenso, egli appartenesse a lei. Egli era stato felicissimo. Oh! tanto! Nella grande libertà del viaggio egli tuttavia pensò che se venticinque anni prima, invece che sentire il bisogno di sposarsi, egli avesse sentito l'istinto del malfattore e l'avesse soddisfatto con un omicidio, certo a quest'ora, a forza di amnistie, egli sarebbe stato del tutto libero, magari di viaggiare"[7].
Ricordo pure C. Pavese il quale nega ogni possibilità di benessere nello stare con la donna:"E' carino e consolante il pensiero che neanche l'ammogliato ha risolto la sua vita sessuale. Lui credeva di godersela ormai virtuoso e in pace, e succede che dopo un po' viene il disgusto della donna, viene un sòffoco come di prostituzione soltanto a vederla. Ci si accorge allora che con la donna si sta male in ogni modo"[8].
E ancora:"Ogni sera, finito l'ufficio, finita l'osteria, andate le compagnie-torna la feroce gioia, il refrigerio di esser solo. E' l'unico vero bene quotidiano"[9].
Vero è pure che questo misantropo e misogino si è ucciso.
Concludo con Il Gattopardo: “ L’amore. Certo, l’amore. Fuoco e fiamme per un anno, cenere per trenta. Lo sapeva lui cos’era l’amore…E Tancredi poi, davanti al quale le donne sarebbero cadute come pere cotte (p. 49)
“Faceva il bilancio consuntivo della sua vita, voleva raggranellare fuori dall’immenso mucchio di cenere della passività le pagliuzze d’oro dei momenti felici: eccoli. Due settimane pima del suo matrimonio, sei settimane dopo, mezz’ora in occasione della nascita di Paolo” (p. 168)
Bologna 15 dicembre 2021 ore 18, 15
giovanni ghiselli
p. s.
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Concludo con Il Gattopardo: “ L’amore. Certo, l’amore. Fuoco e fiamme per un anno, cenere per trenta. Lo sapeva lui cos’era l’amore…E Tancredi poi, davanti al quale le donne sarebbero cadute come pere cotte (p. 49)
“Faceva il bilancio consuntivo della sua vita, voleva raggranellare fuori dall’immenso mucchio di cenere della passività le pagliuzze d’oro dei momenti felici: eccoli. Due settimane pima del suo matrimonio, sei settimane dopo, mezz’ora in occasione della nascita di Paolo” (p. 168)
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“Faceva il bilancio consuntivo della sua vita, voleva raggranellare fuori dall’immenso mucchio di cenere della passività le pagliuzze d’oro dei momenti felici: eccoli. Due settimane pima del suo matrimonio, sei settimane dopo, mezz’ora in occasione della nascita di Paolo” (p. 168)
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[1] Di data incerta. Non è sicura nemmeno la paternità eschilea, per la quale comunque io propendo.
[2]Prometeo Incatenato vv. 865 sgg.
[3] Madame Bovary , p. 91.
[4]L. Tolstoj, Guerra e pace , trad. it. Garzanti, Milano, 1974, p. 41.
[5]F. Kafka, Lettera al padre , trad. it. Il Saggiatore, Milano, 1976, p. 144 e sgg.
[6]F. Kafka, Diari , p. 592.
[7]In Italo Svevo, I Racconti, Rizzoli, Milano, 1988, p.438.
[8] C. Pavese, Il mestiere di vivere, 8 agosto 1944.
[9]C. Pavese, Il mestiere di vivere, 25 aprile, 1946.
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