NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

LE NUOVE DATE! Protagonisti della Storia Antica | Biblioteche Bologna   -  Tutte le date link per partecipare da casa:    meet.google.com/yj...

martedì 28 dicembre 2021

Terenzio, "Adelphoe". 8


PER VISUALIZZARE IL GRECO SCARICA IL FONT 
HELLENIKA QUI E GREEK QUI


Atto III scena prima. Le difficoltà del parto

 
Sostrata (madre di Panfila, la ragazza amata da Eschilo) Canthara (nutrice di Panfila)
Sostrata è in ansia mentre la figlia Panfila è prossima a partorire quid nunc fiet? Che cosa accadrà ora? 288
Il parto all’epoca era molto più pericoloso di oggi. Si ricorderà che Giulia la figlia di Cesare, sposata con Pompeo per garantire la pace tra i due uomini di potere, morirà di parto nel 54 a. C. a 22 anni.
 
Sui dolori del parto si trovano diverse testimonianze nelle tragedie e non solo
La sofferenza del parto ancora più doloroso della guerra.
 
La Medea di Euripide afferma di preferire la guerra al parto  inaugurando un tovpo" che arriva alle soldatesse di oggi.
“Dicono di noi che viviamo una vita senza pericoli/ in casa, mentre loro combattono con la lancia,/ pensando male: poiché io tre volte accanto a uno scudo/ preferirei stare che partorire una volta sola. ( Medea, vv. 248- 251).
 
Ennio (239-169 a. C.) traduce i versi di Euripide quando fa dire alla sua Medea exul :"nam ter sub armis malim vitam cernere/quam semel parĕre”, infatti preferirei decidere la vita sotto le armi tre volte che partorire una volta sola.  
 
Le sofferenze del parto sono ricordate nell' Elettra di Sofocle da Clitennestra quando l’adultera assassina tenta di giustificarsi per il trattamento riservato al marito il quale non era incolpevole: egli sacrificò Ifigenia dopo averla seminata, senza avere passato il travaglio della madre quando la partorì:"oujk i[son kamw;n ejmoi;-luvph", o{t' e[speir' , w{sper hJ tivktous' ejgwv" ( vv. 531-532). Qui il seminare conta meno del partorire, diversamente dalle Eumenidi di Eschilo..
 
Nelle Fenicie di Euripide la Corifea commenta la pena di Giocasta per Polinice dicendo:"deino;n gunaixi;n aiJ di' wjdivnwn gonaiv,-kai; filovteknovn pw" pa'n gunaikei'on gevno"" (vv. 355-356), sono terribili per le donne i parti attraverso le doglie, e tutta la razza femminile è in qualche modo amante dei figli.
Giocasta lo è stata anche troppo; Medea evidentemente fa eccezione.
 
Nell' Ifigenia in Aulide la Corifea comprende la pena di Clitennestra per la figliola,  ricordando quale prova terribile sia il parto:"deino;n to; tivktein kai; fevrei fivltron mevga-pa'sivn te koino;n w{sq' uJperkavmnein tevknwn" (vv. 917-918), tremendo è partorire e comporta una grande magia d’amore comune a tutte, tanto da soffrire per i figli.
Partorire dunque è una delle cose tremende (ta; deinav). 
 
Tanto più perché il parto può causare una perdita di bellezza: nell’Hercules Oetaeus di Seneca, Deianira, vedendo la fulgida bellezza della giovanissima Iole, lamenta l’oscurarsi della propria con queste parole: “Quidquid in nobis fuit olim petitum, cecidit et partu labat” (vv. 388-389), tutto quello che una volta in noi era desiderato, è caduto e con il parto vacilla.
 
Le matrone romane potevano arrivare a vergognarsi di avere partorito e allattato i figli poiché dopo non potevano più essere eccitanti con un bel seno. Lo ricavo da Properzio che esorta l'amante alla rixa amorosa nella luce:"necdum inclinatae prohibent te ludere mammae:/viderit haec, si quam  iam peperisse pudet " (II, 15, 20-21), non ancora le mammelle cadenti ti impediscono tali giochi: badi a questo una se si vergogna di aver partorito. 
 
Sentiamo anche Schopenhauer
“Come ad esempio, la formica femmina, dopo l'accoppiamento, perde per sempre le ali, superflue, anzi pericolose per la prole, così, di solito, dopo una o due gravidanze, la donna perde la sua bellezza e probabilmente, perfino, per la stessa ragione. In conformità con ciò, le giovinette considerano nel segreto del loro cuore, i loro lavori domestici o professionali una cosa secondaria, forse, perfino, un semplice trastullo: come loro unica seria professione esse considerano l'amore, le conquiste e ciò che vi si collega, come acconciature, balli, eccetera"[1]. E, poco più avanti:" per la donna una sola cosa è decisiva, vale a dire a quale uomo essa sia piaciuta" (p. 838).
 
Sentiamo anche H. Hesse:"Domandai al servitore Leo perché mai gli artisti sembrassero talvolta uomini soltanto per metà, mentre le loro immagini apparivano così inconfutabilmente vive. Leo mi guardò stupefatto della mia domanda. Poi…rispose:" Lo stesso avviene per le madri. Dopo che hanno partorito i figli e dato loro il proprio latte, la propria bellezza ed energia, diventano a loro volta poco appariscenti e nessuno più le cerca"[2].
 
Nei Memorabili di Senofonte, Socrate, ricordando al figlio Lamprocle i benefici dei genitori alle proprie creature e il dovere della gratitudine, fa presente che “il nascimento” mette a repentaglio la vita della madre:" hJ de; gunh; uJpodexamevnh te fevrei to; fortivon tou'to, barunomevnh te kai; kinduneuvousa peri; tou' bivou" (II, 2, 5), la donna, dopo avere concepito, porta questo peso, aggravata e con rischio della vita.
     
In Anna Karenina di Tostoj c'è  il parto doloroso della giovane moglie di Levin il quale partecipa, mentalmente, alla sua sofferenza, forse ingrandendola :" La faccia di Kitty non c'era più. Al posto dov'era prima, c'era qualcosa di terribile e per l'aspetto di tensione e per il suono che di là usciva. Egli lasciò cadere la testa sul legno del letto, sentendo che il cuore gli si spezzava. L'orribile urlo non taceva, si era fatto ancora più orribile, e, come se fosse arrivato all'ultimo limite dell'orrore, a un tratto si spense" [3].
 
Medea dunque avverte gli uomini che il parto può essere più tremendo della guerra.
Del resto il letto è il campo di battaglia della donna.
 
Rachele, moglie di Giacobbe e madre di Giuseppe, soffrì e morì di parto nel dare alla luce la seconda creatura: “Quando il dolore travalicò ogni limite umano, ella gridò e fu un gridare terribilmente selvaggio, che non si accordava con il suo volto e non si addiceva alla piccola Rachele. In quell’ora, infatti, in cui ancora una volta fu giorno, ella non era più in sé, non era più lei, lo si udiva da quel suo orrendo muggito: non era pià lei, la sua era una voce completamente estranea…Erano doglie spasmodiche che non affrettavano l’opera, ma serravano soltanto in una morsa di tormenti infernali quella povera santa, così che la maschera del suo volto contratta nell’urlo era divenuta cianotica e le sue dita artigliavano l’aria…E poi da Rachele si levò un ultimo grido, come l’esplosione estrema di una furia demoniaca, quale non si può lanciare una seconda volta senza morire, quale non si può udire una seconda volta senza perdere la ragione…il figlio di Giacobbe era uscito, il suo undicesimo e il suo primo, venuto fuori dall’oscuro grembo insanguinato della vita, Dumuzi-Absu, il vero figlio dell’abisso”[4].
 
La  Medea di Seneca pensa di incenerire l'istmo di Corinto e di assumere la ferocia massima negando la propria femminilità:"Per viscera ipsa quaere supplicio viam,/si vivis, anime, si quid antiqui tibi/remanet vigoris; pelle femineos metus/et inhospitalem Caucasum mente indue./Quodcumque vidit Pontus aut Phasis nefas,/videbit Isthmos. Effera ignota horrida,/tremenda caelo pariter ac terris mala/mens intus agitat: vulnera et caedem et vagum/funus per artus " (vv. 40-48), attraverso le viscere stesse cerca la via per il castigo, se sei vivo, animo, se ti rimane qualche cosa dell'antico vigore; scaccia le paure femminili e indossa mentalmente il Caucaso inospitale. Tutta l'empietà che il Ponto o il Fasi hanno visto, le vedrà anche l'Istmo. La mia mente medita dentro di sé malvagità feroci, inaudite, terrificanti, terribili per il cielo parimenti e per le terre: ferite e strage e un cadavere smarrito tra le  membra.
 
Ora però è già tempo di tornare a Terenzio
La nutrice Canthara fa coraggio a Sostrata: “Modo dolores, mea tu, occipiunt primulum: -iam nunc times  ( 289- 290), sono appema cominciate le doglie e tu già hai paura, come se non avessi assisito ad altri parti e non avessi partorito tu stessa.
Il ricordo di difficoltà superate in passato è di aiuto nelle  prove successive.
La madre ansiosa della puerpera lamenta l’assenza dello schiavo Geta da mandare per la levatrice quem ad obstĕtricem mittam 291 o per chiamare Eschino.
La nutrice incoraggia ancora Canthara ricordandole che Eschino va da loro ogni giorno e che è un ragazzo onesto tanto è vero che dopo averla sedotta non è sparito poi è uno natum ex tanta famiglia 297 è “di buona famiglia”, cioè importante e molto benestantie.
Il matrimonio come ascensore sociale. Oggi che la scuola non funziona più in questo modo, può succedere con il matrimonio che del resto c’entra poco con l’amore.
Sostrata riconosce che Eschino è una fortuna per tutti loro 298
 

Bologna 28 dicembre 2021 ore 9, 53
giovanni ghiselli

p. s
Statistiche del blog
Sempre1195327
Oggi63
Ieri277
Questo mese8132
Il mese scorso9836
 
 


[1] Parerga E Paralipomena ,Tomo II, pp. 832-833.
[2] H. Hesse, Il pellegrinaggio in Oriente,  (del 1932) p. 33.
[3] L. Tolstoj, Anna Karenina (del 1877), p. 720.
[4] T. Mann, Giuseppe e i suoi fratelli, Le storie di Giacobbe, pp. 413- 414.

Nessun commento:

Posta un commento