martedì 14 dicembre 2021

Plauto Aulularia atto quarto, scena decima seconda parte.


 

Euclione ripete il verbo voluisse del verso precedente indirizzandolo contro Licone: “ At ego deos credo voluisse, ut apud me te in nervo enicem “ 743,  io invece credo che gli dei abbiano voluto che io ti facessi morire incatenato in casa mia.

 

Gli dèi spesso vengono utilizzati dagli uomini secondo la loro convenienza.

 

Incalzato da Euclione, il giovane tira fuoi un’altra scusante: “vini vitio atque amoris feci” (745), l’ho fatto per colpa del vino e dell’amore.

 

Il vecchio chiama Licone homo audacissime , poi impudens, sfrontatissimo e sfacciato. Spiega che se ci fosse il diritto-ius- di scusare i misfatti come fa lui potremmo strappare alle matrone i loro gioielli, poi  scusarci dicendo che l’abbiamo fatto da ubriachi per amore. Nimis vilest vinum atque amor-si ebrio atque amanti impune facere quod lubeat licet, 750- 751, si avviliscono troppo il vino e l’amore se all’ubriaco e all’innamorato è consentito di fare impunemente quello che gli va.

 

Vero è che il summum ius è summa iniuria, ma è pure summa iniuria l’infimum ius che  non punisce gli omicidi stradali  per fare solo un esempio.

 

Il giovane aggiunge che si è presentato ultro di propria iniziativa supplicatum a supplicare ob stultitiam meam (752) per impetrare indulgenza nei confronti della mia follia.

Euclione non si lascia intenerie: “non mi homines placent qui quando male fecerunt purĭgant,/ tu illam scibas non tuam esse, non  attactam oportuit” (754-755) non mi piacciono gli uomini che quando hanno fatto del male vogliono giustificarsi, tu  sapevi che quella non era tua, non avresti dovuto toccarla.

 

Nemmeno a Nietzsche piacciono i delinquenti che non sono all’altezza del loro delitto.

Il filosofo apprezza Prometeo per la dignità che il Titano conferisce alla propria trasgressione dicendo -:"io sapevo tutto questo:/di mia volontà, di mia volontà ho compiuto la trasgressione, non lo negherò (eJkw;n eJkw;n h{marton, oujk ajrnhvsomai)/ aiutando i mortali ho trovato io stesso le pene (aujto;~ huJrovmhn povnou~ )

( Eschilo, Prometeo incatenato, 265-267).

Tale rivendicazione del fatto  che ha  causato la dura condanna di Prometeo “contrasta stranamente con il mito semitico del peccato originale in cui l’origine del male è dato dalla curiosità, dal raggiro menzognero, dalla seducibilità, dalla lascivia. Ciò che distingue la concezione ariana è l’elevata idea del peccato attivo come vera virtù prometeica” (La nascita della tragedia capitolo 9).

Penso anche io che commettere il male senza volere non sia una scusa  attenuante, bensì un motivo aggravante.

Chi uccide senza volere, può sempre  rifarlo; chi decide di uccidere invece può decidere di non farlo più. Comunque chi uccide  va messo in condizione di non poterlo più fare.

Non certo uccidendolo poiché ammazzare un assassino indifeso significa essere come lui o anche peggiore di lui.

Bologna 14 dicembre 2021 ore 19, 42

giovanni ghiselli

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